Stephen
King è uno dei maggiori autori, anche se si potrebbe dire “lo scrittore per
eccellenza”, di thriller e inoltre è molto prolifico perché ha scritto
veramente tantissimi libri; non li ho contati tutti, ma sono sicuramente più di
cento. Molti lo etichettano come scrittore di Horror, altri di Thriller,
infatti Misery, che ho preso in biblioteca, è catalogato con entrambe le
etichette. Io preferisco
definirlo un Thriller perché non c’è nulla di paranormale all’interno della trama; questa è una scelta mia personale, senza valenza di alcun tipo. È una distinzione che faccio per catalogare i libri nella mia mente.
definirlo un Thriller perché non c’è nulla di paranormale all’interno della trama; questa è una scelta mia personale, senza valenza di alcun tipo. È una distinzione che faccio per catalogare i libri nella mia mente.
Misery
è stato scritto nel 1987 ed è un thriller psicologico che racconta la
situazione in cui si viene a trovare Paul Sheldon, uno scrittore, a seguito di
un incidente stradale causato da una tempesta e dall’alcol assunto dallo stesso
protagonista. A ritrovarlo è una donna che lo riconosce, perché sua fan, e lo
porta a casa sua; lui ha le gambe rotte, lei è un’infermiera e decide di
curarlo lì, da un lato perché ha dei problemi psicologici, dall’altro perché
una sua fan. Misery è un personaggio creato da lui e protagonista di molti suoi
romanzi, e che lei ama, ma che lui odia; un po’ come è stato per Conan Doyle e
Sherlock Holmes. Lui nel suo ultimo romanzo ha ucciso Misery e lei vuole che
lui la riporti in vita.
La
trama è questa, e il romanzo inizia quando lui è già stato preso da Annie (la
sua fan numero uno), quindi poi tutto il resto del libro è centrato sulla sua
vita all’interno della casa, più che altro nella stanza in cui lei lo tiene
rinchiuso. È un romanzo di circa 300 pagine ma è scorrevole e si focalizza
molto sui pensieri e le riflessioni del protagonista. Inoltre tutto quello che
avviene è assolutamente realistico e umano, infatti all’inizio del romanzo
l’autore ringrazia tre persone che lo hanno aiutato nella stesura per rendere
la storia credibile e realistica: due psichiatri ed un investigatore.
È
un libro che mi è piaciuto molto, soprattutto perché l’aspetto psicologico del
protagonista, ma soprattutto della carnefice, è molto ben fatto, spiegato bene
ed è assolutamente coerente con la realtà. Infatti, avendo io letto anche altri
romanzi in cui i protagonisti hanno, o dovrebbero avere, un disturbo
psicologico o comunque vengono approfonditi con un’analisi di tipo psicologico
poco plausibile o proprio campata per aria, il fatto che invece qui la
psicologia dei personaggi sia descritta così bene ha aumentato la mia
impressione, peraltro già buona, del romanzo. Questo è quello che secondo me
dovrebbe essere il lavoro dello scrittore: fare molte ricerche, saper scrivere
(che non è del tutto scontato), e creare una storia avvincente e scorrevole.
È
facile da leggere, il difficile è staccarsi dalle pagine, nel senso che,
nonostante sia molto riflessivo, quello che io riuscivo a pensare mentre lo
leggevo era: “Un altro capitolo.”, “E adesso che succede?”. Non riuscivo a
fermarmi. Inoltre i capitoli sono per lo più molto brevi, di circa due pagine;
alcuni sono anche di mezza facciata, brevissimi e questo secondo me spinge il
lettore ad andare avanti nella lettura rispetto a romanzi che invece sono
suddivisi in capitoli di 20/30 pagine.
Riesce
molto bene a mantenere la suspense e, ripeto, i personaggi sono costruiti
benissimo.
Lo
consiglio soprattutto agli amanti del genere o anche a chi vuole provare a
leggere qualcosa di diverso e magari non ha mai letto un thriller o, ancora di
più, un thriller psicologico. Lo consiglio anche a chi è interessato a romanzi
in cui i protagonisti sono caratterizzati a livello psicologico perché a volte,
se gli autori non fanno abbastanza ricerche, rischiano di passare idee
sbagliate e stigmatizzate o basate su pregiudizi del disturbo mentale.
-Pearl
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