Il libro di questa settimana è “Il giovane Holden” di J. D.
Salinger, opera del 1951, originariamente chiamata “The catcher in the Rye”. Il
titolo non è stato mantenuto perché di difficile traduzione in quanto
riprenderebbe una canzoncina che lo stesso protagonista riprende all’interno
del libro, storpiandola. Letteralmente sarebbe traducibile come “Il prenditore
nella segale”, ma si è optato per chiamarlo
semplicemente con nome del protagonista. Prima di iniziare con la trama e la mia opinione vorrei prima spendere due parole sull’autore e su questo libro.
semplicemente con nome del protagonista. Prima di iniziare con la trama e la mia opinione vorrei prima spendere due parole sull’autore e su questo libro.
Salinger è stato un autore, particolarmente longevo, che ha
offerto e mostrato molto poco di sé. Ha scritto probabilmente più di quello che
è stato pubblicato, soprattutto considerando che dal 1965 non è più stato
pubblicato nulla e che la sua morte è avvenuta nel 2010. Per me è un autore
affascinante, forse perché è stato alla larga dalle luci della ribalta, perché schivo
nei confronti del mondo esterno. “Il giovane Holden” mi era stato regalato
mentre frequentavo le medie e lo avevo iniziato ancora a quei tempi, ma l’avevo
dovuto interrompere. Per le letture a cui ero abituata in quegli anni stava
risultando troppo pesante e noioso. Direi soprattutto noioso. Eppure volevo
leggerlo, sono quei classici che se hai a portata di mano vale la pena leggere,
quindi finalmente posso dire di averlo fatto.
Per quanto riguarda la trama, quest’opera narra la storia di
un giovane, Holden Caulfield, che è appena stato espulso dalla scuola che
frequentava, la Pencey. È il periodo di Natale e quindi, tornerà a casa dai
genitori e dalla sorella più piccola, Phoebe. Però, per una discussione con il
compagno di stanza decide di non rimanere alla scuola fino al mercoledì, ma di
andarsene subito (è il fine settimana) e tornare a New York stando però in
albergo. Così fa e il racconto dura fino al momento in cui decide di tornare a
casa.
È scritto in prima persona, direttamente dal punto di vista
del protagonista ed il periodo storico non è direttamente citato anche se
sembra essere attorno agli anni ’50. Una delle prime cose da dire è che è la
storia di un ragazzo adolescente che si appresta a diventare adulto, ma che
sembra rifiutare questo cambiamento, evitando qualsiasi responsabilità,
particolarmente quella del mancato studio. O meglio, sa di non studiare, ma non
gli interessa, non si assume la responsabilità nel senso che non si
responsabilizza in vista dell’età adulta. Inoltre ripete continuamente di
essere pazzo e di sapere di esserlo, ed in effetti si comporta in modo strano,
con repentini cambi di idea, sbalzi di umore improvvisi che risultano essere
indipendenti da quello che i suoi interlocutori fanno o dicono. Gli piace
raccontare bugie agli estranei e prenderli in giro solo perché in quel momento
gli gira così.
Mi aspettavo probabilmente di più da questo libro, per cui
sono andata a leggere alcuni commenti scritti online di altre persone, e ho
letto che diversi lo descrivono come un personaggio emotivo e fragile, che si
oppone al passaggio all’età adulta e che esprime il desiderio di proteggere i
bambini dagli adulti, che si rivelano falsi. Questa parte però io, onestamente,
non l’ho vista. Cioè sì, lui lo accenna, dice qualcosa al riguardo, ma non mi
sembra un tema particolarmente ricorrente. E il suo desiderio di restare
adolescente comunque verrebbe smentito visto che lui finge continuamente con
tutti quelli che incontra, persone random ma anche amici e conoscenti. Sembra
invece restare apatico per tutto il racconto del romanzo, salvo poi mostrar
qualche emozione al racconto del fratello morto poco tempo prima, Allie, al
ricordo dell’amica Jane e della sorellina Phoebe. Sono emozioni che però non
articola, non le analizza, non vi presta particolare attenzione. E quella poca
attenzione tende ad intellettualizzare e razionalizzare tutto quanto.
Il suo atteggiamento, in tutto il romanzo, risulta
distaccato da tutto e da tutti, fa impulsivamente gran parte di quello che gli
passa per la testa e poi si stufa subito dicendo di annoiarsi, o riferendo che
la persona in questione (contattata da lui, invitata da lui e con dichiarazione
d’amore, sempre da parte di lui) gli dà sui nervi, anche se hanno trascorso
insieme solo poco tempo. Tutto ciò che ha fatto e che lo ha portato all’espulsione
dalla scuola non lo fa stare male (ha dimenticato gli attrezzi che servivano
per una gara sulla metropolitana), non si preoccupa di quello che farà per il
futuro. Sembra che nulla lo interessi. Sarà che quando studi qualcosa poi tendi
a vederla ovunque, ma sembra avere una personalità di tipo antisociale, o anche
detta psicopatica. Questo non vuol dire che sia un criminale, perché avere una
personalità di questo tipo non vuol dire essere un criminale, è un modo di
pensare e di vedere la vita che può anche trasformarsi in criminalità quando
diventa patologico, ma non sono due aspetti legati e concatenati in maniera
assoluta. Sembra essere alienato dal mondo. Non in maniera assoluta e totale, ma
per molti aspetti sì.
In alcuni passi mi sono immaginata Salinger, il suo essere
schivo e la sua riservatezza; forse le ha usate per sviluppare il personaggio
di Holden, come traccia o linea guida.
Il libro in sé è scritto bene, mostra bene il menefreghismo
e l’atteggiamento che Holden tiene per tutto il romanzo e lo fa in modo
costante, senza mai contraddirsi. Devo
però dire che non mi ha soddisfatto come pensavo. Forse perché alla fine le
aspettative ti fregano sempre, quando ti aspetti qualcosa, più bella te la
aspetti più sarà probabile rimanere delusi. In ogni caso non è un brutto libro,
anzi, lo consiglio, anche se non saprei bene a chi consigliarlo esattamente,
non trovo una nicchia di pubblico adatta a un consiglio specifico, quindi se vi
incuriosisce e volete farvi un opinione al riguardo leggetelo.
-Pearl
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