Questa settimana
parliamo del libro “L’inventore di sogni”, opera scritta da Ian McEwan e
pubblicata per la prima volta nel 1993, in Italia nel 1997. È il primo libro
che leggo di questo autore e ne leggerò sicuramente altri, perché mi
interessava molto “Espiazione”. Purtroppo però, sono ancora in un periodo in
cui sono costretta a scegliere libri piuttosto brevi perché le ore che posso
dedicare alla lettura sono
veramente poche. Da ottobre rimedierò!
veramente poche. Da ottobre rimedierò!
“L’inventore di
sogni” narra la storia di Peter Fortune, un bambino a cui piace fantasticare.
In realtà non parla direttamente della sua storia, fa una piccola introduzione
su chi è, cosa gli piace fare, insomma una sorta di presentazione, e poi i
successivi capitoli sono dei sogni, o comunque fantasie che il protagonista fa.
In totale sono otto capitoli, piuttosto brevi perché in totale sono circa un
centinaio di pagine, di cui gli ultimi 7 (quindi tutti a parte il primo) sono
questi sogni che lui fa. I capitoli che ho preferito, anche se nel complesso il
libro mi è piaciuto tutto, sono quello del gatto e l’ultimo, dove lui sogna di
essere adulto.
Del protagonista
possiamo dire che è un bambino di 10 anni con una sorella di nome Kate che, con
i loro genitori, vivono in un quartiere tranquillo. Peter tende ad estraniarsi
dalla realtà in modi diversi, a volte sognando, altre volte fantasticando ad occhi
aperti.
Sullo stile
utilizzato inizialmente sono rimasta un po’ delusa. Questo perché mi aspettavo
qualcosa di più, qualcosa di diverso, descrizioni più approfondite e anche temi
un po’ più approfonditi. Quando poi però ho scoperto che era un libro per
bambini, la mia impressione è cambiata; infatti avevo scelto il libro in base
all’autore e alle pagine, senza preoccuparmi di trama o target di riferimento.
Considerandolo dunque per quello che è, un libro per bambini, lo stile è
perfetto. Differentemente da altri autori, con poche parole sono riuscita ad
immaginarmi i protagonisti, la casa ed anche il quartiere in cui vivono. E
credo che sia una qualità importante in uno scrittore saper rendere vivide e
vive le immagini di quello che si racconta. Posso dire che Ian McEwan ce l’ha
fatta.
L’argomento
potrebbe sembrare banale, un bambino che sogna, non sembra l’argomento più
interessante ed innovativo del mondo, ma un bambino potrebbe trovare divertenti
le sue fantasie e un adulto può ritrovarsi a riflettere su cosa vuol dire
fantasticare, sul perché non è qualcosa di negativo e su come questa capacità
manchi quasi totalmente nelle nuove generazioni.
Quando ero piccola
mi piaceva tantissimo un gioco che con i miei fratelli chiamavamo “Io sono, tu
sei”, che non è altro che il semplice gioco di ruolo, io faccio un personaggio
e tu ne fai un altro. Una volta eravamo animali, un’altra supereroi, un’altra
ancora facevamo finta di essere a scuola, insomma, si spaziava in un campo di
possibilità infinito. E questi sono i giochi che ricordo più positivamente,
erano quelli che preferivo. Crescendo ho continuato a fantasticare, però da
sola, cambiando scenari e storie che tendevano per lo più a ripetersi e, non mi
vergogno di dire, che lo faccio ancora oggi. Quando prendevo la bici per andare
da qualche parte immaginavo di essere su una navicella spaziale, come in Star
Wars, e scappare dai cattivi che mi sparavano, i tombini erano delle bombe e
dovevo evitarle, dopo la terza bomba colpita precipitavo e dovevo proseguire a
piedi.
Oggi, invece,
osservando i bambini che ci stanno attorno, cugini, nipoti, figli di amici
eccetera, questa capacità non riesco a vederla; la maggior parte di loro non
riesce a fare un gioco dove ci sono cose che non possono vedere: giocano a
calcio, con le bambole solo se hanno la bambola in braccio, giochi in scatola e
non giocano mai, o quasi mai, da soli. E lo trovo molto triste.
In questo libro si
mostra chiaramente come fantasticare non è solo un divertimento per Peter, lui
fantastica sempre su problemi reali che si trova ad affrontare nella vita di
tutti i giorni: è arrabbiato con i genitori perché non lo lasciano uscire a
giocare, è geloso del cugino più piccolo perché attira tutta l’attenzione;
insomma problematiche che tutti i bambini hanno. La fantasia gli permette di
rielaborare le cose e trovare una soluzione, e per questo è triste che i
bambini perdano questa capacità.
L’ultimo capitolo
parla di un sogno che Peter fa sull’essere adulto, e tutto parte da una
riflessione sul fatto che gli adulti non usano la fantasia ma si basano su una
vita più pratica, più lenta e meno movimentata, il che è vero, spesso molti
adulti si sono dimenticati come si può fantasticare e come ci si può divertire
solo immaginando qualcosa. Certo, gli adulti hanno responsabilità che i bambini
non hanno, ma sarebbe bello riuscire a fantasticare ancora, almeno con loro,
per insegnargli e mostrargli quanto è divertente e facile rendere le giornate
più allegre. Anche quando non hai quello che vorresti, puoi crearlo nella tua
mente, e sarà altrettanto divertente, anzi, lo sarà di più.
Mi è piaciuto
molto il fatto che l’autore abbia alla fine sottolineato come si possa
utilizzare la fantasia e come ci si possa divertire anche da adulti. Forse i
bambini non capiscono come si divertono i grandi, ma avranno tempo di capirlo
con il passare degli anni, senza perdersi tutto il divertimento che possono
avere ora che sono piccoli e che possono essere quello che vogliono: animali,
pirati, soldati, scienziati, supereroi, alieni. La scelta è infinita.
La fantasia aiuta
a conoscersi e a sviluppare altre capacità, come il problem solving, la
creatività; aiuta a cavarsela in tante occasioni diverse e per questo
consiglieri il libro ai bambini, perché è un libro piacevole, ma soprattutto agli
adulti, perché non smettano di insegnare ai figli a sognare ad occhi aperti e
perché riscoprano quanto sia bello farlo, per crescere persone migliori ed
essere persone migliori.
-Pearl
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