Oggi
torno con un nuovo thriller, e nello specifico un nuovo thriller di Wulf Dörn.
Torno a ribadire che i thriller, nonostante siano uno dei miei generi
preferiti, generalmente non offrono grandi riflessioni dato che tutta
l’attenzione viene assorbita dalla suspense e dalla ricerca del colpevole.
Però, nel mio caso, questi thriller un po’ psicologici, come appunto quelli di
Dörn o di King possono far molto riflettere su
alcuni argomenti della psiche umana.
alcuni argomenti della psiche umana.
“Il
superstite” è il secondo libro che leggo di questo autore ed il secondo libro
da lui scritto, edito nel 2011. Dörn ha lavorato come logopedista nella
riabilitazione di pazienti psichiatrici, quindi la sua conoscenza e la sua
capacità di rendere realistici i vari disturbi deriva da esperienze personali,
da una conoscenza diretta di cosa vuol dire essere malati psichiatrici. E questo,
unito all’umanità che riesce a dare a questi pazienti, mostra chiaramente come
essi siano persone, prima di essere malati psichiatrici o “pazzi”, come
qualcuno li chiama ancora oggi. Un rapido accenno alla trama, giusto per capire
il contesto: Jan è uno psichiatra ossessionato da un evento accaduto quando lui
aveva solo 12 anni, ovvero la scomparsa del fratello più piccolo Sven. Questa
ossessione lo ha portato a studiare i criminali sessuali e i molestatori di
bambini, ed è crollato perdendo il suo lavoro. Il libro inizia con una seconda
possibilità per quest’uomo, un’offerta di lavoro nella sua città natale.
Trovo
interessante che l’ambientazione e la città, nonché la clinica sia la stessa
del primo romanzo, “La psichiatra”, e sono curiosa di sapere se tutti i suoi
romanzi, che al momento sono 6, sono ambientati lì. La trovo una buona idea,
dato che è una città inventata dall’autore, che non esiste nella realtà.
Questo
romanzo è una riconferma di quanto avevo scritto nella recensione al primo
libro, quindi la bravura nel creare la suspense, la capacità di nascondere fino
all’ultimo il colpevole. Insomma, veramente un bravo autore di thriller.
In
realtà non c’è nulla di particolare da riportare, se non un paio di riflessioni
sul senso di colpa e su come a volte sia difficile superarlo ma anche su come
sia difficile, per chi è la causa di questo senso di colpa, non attribuircelo o non calcare la mano.
Quando avvengono delle tragedie, reali o personalmente percepite come tali solo
da noi, è normale attribuire il senso di colpa a qualcuno: dare la colpa a
qualcuno ci fa sentire più sicuri, giustificati nell’escluderlo dal nostro
mondo. Ma attribuire la colpa a qualcuno e causare in lui un forte senso di
colpa è molto pericoloso, perché il senso di colpa può corrodere tutto, può
causare sofferenze anche più grandi di ciò che un’azione, un pensiero o una
frase hanno scatenato in precedenza. Insomma, il senso di colpa può essere
peggiore della colpa stessa. E spesso non può essere evitata perché noi diamo
continuamente la colpa a qualcuno, senza rendercene nemmeno conto. Bisognerebbe
quindi stare attenti a ciò che si dice e filtrare le parole prima di dirle ad
alta voce, riflettere prima di parlare e conoscersi a sufficienza. La capacità
di autocritica risulta fondamentale in questi momenti, perché riuscire a
prendersi la responsabilità di qualcosa si lega alla condivisione della colpa e
al superamento del senso di colpa.
Penso
di aver già usato anche troppo la parola colpa, quindi diciamo che per oggi ci
fermiamo qui, sperando di essere riusciti a scrivere qualcosa che abbia senso e
che sia chiaro, dato che lo ritengo un pensiero abbastanza difficile da
esprimere a parole e in poche righe. Dunque questo libro è consigliatissimo
come già avevo consigliato l’altro. Se non avete mai letto thriller ma vi
piacerebbe provarne uno vi consiglio uno di questi due, “La psichiatra” o “Il
superstite”, perché sono quelli scritti
meglio, almeno tra quelli che ho letto fino ad oggi.
-Pearl
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