Buongiorno
lettori di passaggio!
Oggi cerchiamo
di movimentare un po’ le cose, confondere le acque: parleremo di un saggio, il
terzo di cui parliamo su questo blog, in confronto ai 18/19 di letteratura
internazionale. Meno addirittura dei Thriller! Ma come mai i saggi non li
calcola (quasi) mai nessuno? Secondo la mia personalissima ed inutilissima
opinione questo sacrilegio avviene perché si identifica
il saggio come un libro istruttivo, il che di per sé è vero però proprio per questo lo associamo alla scuola e in conseguenza non li leggiamo. Personalmente riesco ad immaginarmi i saggi come opere pesanti anche se sicuramente interessanti. Fortunatamente questo non mi ha mai fermato, soprattutto quando vanno a trattare degli argomenti che risvegliano la mia curiosità.
il saggio come un libro istruttivo, il che di per sé è vero però proprio per questo lo associamo alla scuola e in conseguenza non li leggiamo. Personalmente riesco ad immaginarmi i saggi come opere pesanti anche se sicuramente interessanti. Fortunatamente questo non mi ha mai fermato, soprattutto quando vanno a trattare degli argomenti che risvegliano la mia curiosità.
Questo saggio si
intitola “Naturalmente buoni” ed è stato scritto da Frans De Waal, un
primatologo olandese, e nonostante sia un’opera del 2001 la ritengo ancora
molto attuale. Tratta infatti delle differenze tra uomini e animali. Fondamentalmente
il suo obiettivo è cercare di rispondere alla domanda che affligge diverse
persone, soprattutto oggi: ma l’uomo è davvero migliore o superiore rispetto
agli animali e soprattutto ai nostri parenti stretti, le scimmie antropomorfe.
Non credo sia considerabile spoiler affermare fin da ora che la risposta a
questa domanda non arriva alla conclusione del saggio, ma questo semplicemente
perché non esiste una risposta. Almeno non ancora. Questa è la scienza: porsi
delle domande e ricercare le risposte. Tra gli argomenti trattati ci sono
chiaramente tutte quelle caratteristiche che noi tutti riteniamo essere
prettamente umane: l’essere umanitari, l’empatia, il rispetto nei confronti dei
morti, il lutto. Insomma, grandi temi che non possono essere affrontati in
maniera esaustiva qui, in un commento ad un saggio e non ho la pretesa di farlo
né quella di insegnare qualcosa. Ci tengo però ad esprimervi quali sono state
le mie riflessioni al riguardo, tutto quello che il libro mi ha smosso dentro.
Partiamo dalla differenza
tra uomo e animale, innegabile ma poco approfondita e per tale motivo in parte
esagerata. L’uomo si inserisce sul gradino più alto quando si tratta di animali
in quanto ritiene di essere superiore. L’uomo infatti si organizza, ha una
cultura, una lingua (e ne impara altre), prova empatia e può essere
caritatevole quando si impegna, lavora, studia, cerca le risposte alle domande
della vita e si interroga sui problemi che incontra, tentando di trovarvi una
soluzione. Gli animali no, loro non parlano, tra loro vige la legge del più
forte, del più veloce, ognuno pensa per sé o per il proprio gruppo ristretto
con un unico obiettivo nella vita: sopravvivere. Ma come possiamo essere sicuri
che sia effettivamente così? Davvero loro non provano emozioni e non sono
caritatevoli tra loro? La risposta ci giunge dalla scienza e da uomini come De
Waal che si dedicano a questo.
La parte che
forse mi ha colpito maggiormente in questo saggio è una foto in cui si ritrae
un elefante con un teschio e questa è la didascalia sotto di essa:
“Quindici mesi
dopo aver perso la madre, Agatha fa regolarmente ritorno al luogo fatale per
rigirare e toccare delicatamente il suo cranio”.
Questo è un
elefante, non una scimmia antropomorfa molto simile a noi. Gli animali provano
emozioni? Non c’è una risposta ma c’è solo ciò che noi interpretiamo fino a che
la scienza non farà qualche altro passo avanti. Io questo lo interpreto come un
ricordo, un desiderio di avere accanto qualcuno con la consapevolezza che non
c’è, magari che non ci sarà mai più, addirittura. Io credo nel fatto che gli
animali soffrano per varie cose, e chi ha un animale sa di cosa parlo: il mio
gatto dorme con me quasi ogni notte e quando per qualche motivo non torno a
casa a dormire lui dorme appollaiato su una sedia tutta la notte, in attesa del
mio ritorno. E quando questo avviene corre subito miagolando da me e mostra una
propensione alle coccole maggiore del solito. Ora, chiaramente il mio gatto ha
dei problemi perché non è un comportamento tipico dei felini, ma questo vale
anche e soprattutto per il cane per esempio. Chi di voi possiede un cane provi
a chiudere gli occhi ed immaginare quella volta che avete pensato che il vostro
cane fosse felice. O che fosse triste, insomma che stesse provando un’emozione.
Sono certa che ciascuno di voi ha subito raggiunto e rivissuto il ricordo.
Nel libro,
l’autore parla poi di come gli scienziati come lui operino per osservare cosa
avviene nei gruppi di scimmie e riportare così i dati per poter trarre le
conclusioni. Sono giunta alla conclusione che io non lo potrei fare, perché non
sarei in grado di non intervenire o non stare male quando si verificano episodi
violenti, soprattutto quelli nei confronti dei cuccioli. E questo mi ha fatto
pensare che noi umani giudichiamo tutto e tutti sulla base dei nostri schemi
mentali e interveniamo secondo ciò che noi riteniamo giusto. Questo avviene
anche al di là del mondo animale, agiamo così con amici, parenti, sconosciuti:
vediamo qualcosa che non va o non ci piace e interveniamo perché pensiamo che la nostra personalissima
opinione sia giusta, o almeno più di quella dell’altro. In realtà queste
violenze interne al gruppo hanno uno scopo ed un significato anche se noi non
lo vediamo e intervenire andrebbe a minare l’equilibrio del gruppo e la cultura
stessa del branco. Quest’ultima è fondamentale perché permette di cambiare e
modificare i singoli: è stato fatto un esperimento che ha messo in convivenza
due tipi di scimmie differenti: i macachi reso e quelli orsini. I primi sono
più aggressivi dei secondi e sono organizzati secondo una gerarchia ed un
regolamento molto rigidi, i secondi sono invece tolleranti e dopo una zuffa
tendono a riconciliarsi molto più spesso dei primi, con una padronanza di gesti
di rassicurazione nettamente superiore. Con la convivenza, per essere
sintetici, i reso hanno imparato la tolleranza ma soprattutto la
riappacificazione, e una volta tornati con i loro simili hanno mantenuto questa
tendenza. Questo mostra come l’ambiente e la cultura influenzino ciascuno di
noi e mette anche in chiaro perché bisognerebbe comprenderla e difenderla di
più.
L’uomo è un
animale sociale, e per quanto si sforzi di allontanarsi dalla comunità ed
essere individualista all’ennesima potenza, ha bisogno della società ma
soprattutto ha bisogno degli altri. Sono tutti bravi ad essere eroi da soli, ed
è vero che le relazioni sono difficili e a volte anche dolorose, ma senza di
esse come possiamo sopravvivere? Nel libro si mostra e si parla di come una
società individualista sia condannata all’aggressività.
Un’ultima
riflessione che ho fatto non è legata direttamente al libro ma più che altro al
senso generale e alla lotta tra onnivori
e vegetariani/vegani. Non ho nulla da dire al riguardo perché lo ritengo un
tema controverso e complesso, volevo
solo citarlo perché, ripeto, non ho nulla da insegnare, ma stimolare il
pensiero e provare punti di vista differenti dai nostri è sempre utile.
Correte dunque a
prendere questo libro, in biblioteca o altrove (io l’ho acquistato ad una
bancarella di libri usati) e leggetelo. È decisamente interessante e l’autore è
preparato e ama il suo lavoro, un’accoppiata decisamente vincente.
-Pearl
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