Ed eccolo finalmente, lo avevamo promesso ed oggi siamo
liete di accogliere nel nostro blog il primo libro di fantascienza mai
recensito da nostro team! Possiamo così colmare una grande lacuna, come un arto
mancante, che finalmente è stato probabilmente sostituito, visto il genere, con
un arto meccanico o robotico.
Un po’ mi sento emozionata mentre qui, a “tarda” ora (le
21.15), mi trovo a scrivere questa recensione, subito dopo il termine della mia
lettura. Voglio essere sicura di non dimenticare nulla di quanto vorrei dire e
quindi mi sono rimboccata le maniche e mi sono messa a scrivere.
Il primo libro di fantascienza sul blog è un grande
classico, un opera del 1950 frutto del genio di uno dei maggiori autori del
genere, riconosciuto in tutto il mondo: Ray Bradbury. Io non lo avevo mai
sentito prima, ma se provate a cercare su Google qualcosa riguardante libri di
fantascienza, lo troverete sicuramente, e infatti è così che l’ho trovato anche
io. Nella mia wishlist del compleanno (se non sapete di cosa sto parlando vi
invio direttamente al post riguardante il Book Haul) questo era uno dei libri
di fantascienza che avevo scelto di leggere, spinta dalla curiosità. Il titolo
è “Cronache marziane” e si compone di una serie di racconti che parlano della
colonizzazione del pianeta Marte ad opera della popolazione umana tra il 1999 e
il 2005.
Come già accennato è stato pubblicato nel 1950 e leggere
questo libro oggi, nel 2018, mi ha dato la stessa sensazione che mi aveva
inizialmente dato la visione di “2001 Odissea nello spazio” quando lo vidi nel
2004: l’impressione che gli esseri umani siano molto statici, e in proporzione
anche un po’ troppo ottimisti. Se mi ritrovo però a pensare ad un ipotetico
futuro nemmeno troppo lontano, come ad esempio il 2060, riesco ad immaginare
macchine volanti ed invenzioni strabilianti. Forse perché tutti sogniamo almeno
un po’ di vedere queste scoperte con i nostri occhi. Leggere come nel passato
immaginavano il futuro indica quindi come in realtà noi siamo più prevedibili
di quanto pensiamo.
Ma mi sto dilungando. Parliamo del libro. Sono circa 270
pagine e ciascun capitolo ha protagonisti differenti, sono veramente pochi i
personaggi che si rivedono nel corso del libro, sicuramente si possono contare
sulle dita di una mano. È come se l’autore volesse scrivere degli stralci di
vita marziana e non, e questa sospensione della trama ad ogni capitolo è da un
lato molto divertente, dall’altro invece lascia spazio a diverse riflessioni.
Per quanto riguarda i personaggi non posso quindi dire un
granché, ma posso parlarvi della visione offerta dei marziani e di quella degli
esseri umani. I marziani, forse perché non avendo nulla su cui basarsi,
risultano particolari, seppur tendenzialmente non in termini negativi. Sono
semplicemente diversi, ma ne verranno descritti molti, come se l’autore non
sapendo, abbia voluto fornire diverse
possibilità. Gli umani invece li conosce bene, e questo si evince dalle loro
caratterizzazioni e dalla direzione che prende la narrazione. Le vicissitudini
descritte mostrano e sottolineano come a volte noi non impariamo dai nostri
errori, anche quando pensiamo di averlo fatto, ma tutto porta a ripetere quanto
già successo in passato. La famosa frase “La storia di ripete” potrebbe essere
un buon motto per rilanciare il libro, soprattutto in questo periodo storico,
ma anche socio-culturale.
Dalle righe di questi racconti emerge una grande critica
all’umanità e alla sua distruttività in nome di un qualche bene superiore che
però ancora oggi non ha un nome né una chiara identità. La critica dell’autore
sembra essere rivolta soprattutto agli Stati Uniti, ma credo che possa
estendersi anche altrove. Critica rivolta alla nostra capacità innata di
distruggere tutto quello che non ci appartiene e che non conosciamo unita però
anche alla presunzione di sapere tutto e meglio, di un bene supremo. Di contro,
però, nonostante questa grande critica, lascia emergere anche la parte più
bella: la curiosità, l’apertura al diverso ed il rispetto di ciò che non si
conosce. Queste ultime caratteristiche vengono personificate in pochissimi
personaggi singoli che però sono la scintilla nella notte, sono la speranza che
fa credere di avere ancora una possibilità.
Tra le cose che mi sono piaciute molto ci sono la modalità
di scrittura, che lascia aperte le porte a qualsiasi riflessione interiore su
cosa sia giusto e cosa no, su cosa avremmo fatto noi e sull’esprimere giudizi
quando non si hanno elementi in mano. Un esempio è il capitolo in cui si parla
dell’arrivo di alcuni funzionari religiosi su Marte, in cui si parla di fede:
per chi ci crede e ci vuole credere non sarà mai necessario portare prove a
sostegno dell’esistenza o meno di Dio, per chi invece non ci crede o non vuole
farlo, nessuna prova sarà mai sufficiente. Certo, in questo caso, nel libro,
noi abbiamo la risposta di fronte a questo interrogativo perché lo vediamo
dall’esterno, ma nonostante la situazione, giusta o sbagliata che sia, è
difficile esprimere un giudizio su cosa è sbagliato e cosa invece non lo è.
La seconda cosa è la fantasia. Io credo fermamente che per
avere buone idee per scrivere libri fantasy o di fantascienza ci voglia molta
fantasia e, soprattutto per la fantascienza, anche una buona conoscenza di
fisica e scienza in generale. Per scrivere di qualcosa di magico non ci vuole
molto, ma per farlo bene bisogna veramente essere bravi. Quindi un pollice in
su per Ray!
Mi è piaciuto, l’ho letto velocemente anche se all’inizio
era un po’ strano, mi ha lasciato perplessa ma poi mi sono fatta un po’ di
risate.
E voi che libri di fantascienza avete letto e amato? Cosa
consigliereste a due ignoranti come noi?
Leggete “Cronache marziane” e alla prossima!
-Pearl
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