Buongiorno popolo.
Oggi torna una recensione breve. Breve per necessità in
quanto non ho alcuna intenzione di spoilerare i thriller come chi di voi ha
letto le altre recensioni di questo genere sa bene. Quindi questa volta salto
le spiegazioni e le motivazioni e salto a piè pari nella storia.
Il libro di oggi è “La strega” di Camilla Läckberg, autrice svedese
attiva dal 2002, in Italia dal 2010 in quanto i suoi libri sono stati tradotti
a partire da quegli anni. Ha creato una serie di libri con due protagonisti:
Erica Falck, scrittrice, e Patrick Hedström,
poliziotto. Dai suoi scritti è stata tratta anche una serie TV di cui però non
so nulla.
Trama: a Fjjällbacka
una bambina viene trovata morta nel bosco dietro la sua casa, nello stesso
posto in cui 30 anni prima era stato ritrovato il cadavere di un’altra bambina
della stessa età, Stella. Accusate del vecchio omicidio sono Marie e Helen,
allora tredicenni e considerate per trent’anni le colpevoli, nonostante esse
sostengano la loro innocenza. Entrambe però stazionano nel paese proprio quando
la seconda bambina scompare, e i due protagonisti, Erica e Patrick, dovranno
indagare.
La struttura del racconto si divide in capitoli che
alternano la storia principale con altre due trame: il caso di 30 anni prima e
gli avvenimenti del 1600 nella stessa zona geografica. Queste ultime due sono
raccontate abbastanza brevemente, nel senso che ogni capitolo dura 2 o massimo
3 facciate, mentre il racconto principale è molto più approfondito.
Avrei preferito un po’ più di dettagli sul vecchio caso che
è quello cui è stato dedicato meno spazio a mio avviso, ma in effetti non era
fondamentale quindi va bene, è solo curiosità personale. Ho apprezzato anche la
storia del 1600 ma devo anche ammettere di non aver bene capito il
collegamento. Pensavo ci sarebbe stato un richiamo o un collegamento più
diretto alla trama visto che a questa storia è stato dedicato un po’ di spazio
in più. Invece, ma fatemi sapere se sbaglio, il collegamento è ancorato al
fatto che le due trame si sviluppano nello stesso luogo.
La trama in sé è bella, nel senso che è descritta bene,
ricca di dettagli e l’idea è anche originale. È comunque una caratteristica che
ho riscontrato anche in altri libri di questo genere, sempre di provenienza
nordica. Dedicano più tempo alla descrizione dei personaggi e lo sviluppo della
trama è lento ma senza risultare noioso. È anche vero che ci sono sempre una
marea di personaggi e il caso in sé, spogliato del contorno, non durerebbe
certo più 600 pagine, come spesso avviene. Procede a passo lento ma questo
permette al lettore di assimilare gli avvenimenti, osservarli approfonditamente
e passare oltre. Sì perché un’altra caratteristica di questi romanzi gialli è
la tragicità. Il detto “è una tragedia greca” come affermazione rappresentativa
di qualcosa di estremamente grave e, appunto, tragico, calza a pennello.
Allora, i thriller in generale non finiscono mai bene. Il termine “finire bene”
nei thriller può al massimo voler dire che acciuffano il furfante ma non
finiscono mai in allegria. Quindi non mi aspetto mai il lieto fine, anche per
precauzione personale, però i thriller svedesi riescono sempre a lasciarti
addosso una tristezza infinita.
Veniamo ora però alle note dolenti: ci sono stati alcuni
momenti durante la lettura che mi hanno turbato parecchio, perché è stata
creata una ragnatela di dettagli curati fino all’ossessione, e poi viene inserita
una soluzione talmente banale, che tra l’altro si indovinava tranquillamente a
pagina 50 senza nemmeno sapere la trama, da fare veramente cadere le braccia.
Ma perché? Ma davvero, dedicaci un mese in più ma trovami una soluzione
alternativa. Un momento in particolare mi ha un rovinato il resto della lettura
perché ho avuto un crollo delle aspettative e ho cominciato a disperare che
anche il finale sarebbe stato una delusione. Poi alla fine non lo è stato, o
meglio, non per lo stesso motivo. Anzi, per la ragione opposta, comunque l’amaro
in bocca me lo ha lasciato.
I personaggi sono descritti molto bene, sono realistici, le
reazioni psicologiche delle vittime, primarie e secondarie, ma anche dei
poliziotti e dei personaggi di contorno in generale sono buone. Alla fine, dopo
600 pagine, ti affezioni un po’ a tutti, anche a quei personaggi che magari
hanno creato solo casino, oppure anche ai personaggi che sono stati creati con
una personalità da “antagonista”. A parte James e Nils. A loro non mi sono affezionata.
Sicuramente ho notato due punti focali, magari non per
l’autrice, ma io come lettrice li ho trovati centrali. Il primo è il tema del
bullismo, con un messaggio molto importante che ritengo sarebbe da condividere
il più possibile: non ci sono un carnefice ed una vittima nel bullismo, ma
responsabili sono tutti, quelli che guardano, quelli che non intervengono,
quelli che ridono o incitano. Allo stesso modo sono un po’ tutti vittime.
Vittime di una cultura e di una società, vittime dello status quo. Ciò non
significa che non si possano identificare le due figure di bullo e vittima, ma
sapere tutto questo ci permette di osservare il fenomeno da un punto di vista
allargato, perché intervenire sul singolo caso servirà poco, bisogna agire
invece sulla prevenzione. Sul comprendere e sul modificare. E qui si lega la
seconda tematica di cultura ed educazione. Lasciare correre episodi, fingere
che tutto quello che avviene per esempio tra i ragazzi, tra i giovani, siano
semplici ragazzate, siano esperienze normali, sia una esplorazione del mondo
circostante, è estremamente sbagliato. Non intervenire significa lasciare carta
bianca, ed è necessario ricordare che una palla di neve che rotola giù per la
montagna diventa una slavina. Tutti gli avvenimenti del libro sono partiti da
una serie di piccoli errori cui non si è prestato attenzione o che sono stati
sottovalutati. Spero il discorso non sia troppo confusionario.
Quindi, mi è piaciuto? Vorrei tanto dirvi di sì, però in
realtà non riesco a togliermi dalla mente alcuni elementi fondamentali: in
primo luogo l’errore banale, il classico WTF che non sta né in cielo né in
terra. È vero che ci sono anche altri libri che hanno inserito elementi banali
o poco convincenti, ma non si può costruire una trama così ricca di dettagli e
poi cadere su clichè come “l’assassino è il maggiordomo”. Altro aspetto
negativo è legato al primo ed è l’eccesso dei dettagli. Nonostante lo apprezzi,
diventa confusionario nel momento in cui vengono inserite troppe sottotrame che
rischiano di non essere seguite con la dovuta attenzione. Anche la trama del bullismo o quella degli
immigrati, sono entrambe interessanti, ma rischiano di cadere nel vuoto, quando
invece separando le trame in tre diversi libri, non per forza collegati dagli
stessi personaggi, sarebbero risultati decisamente più convincenti.
In conclusione non è sicuramente il miglior thriller che
abbia mai letto, però è piacevole, soprattutto se il genere svedese vi piace o
vi attira, e se riuscite a passare sopra la confusione e il plot twist che dà
proprio l’idea di un blocco dello scrittore, risolto alla bell’e meglio
all’ultimo minuto.
-Pearl
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