Buongiorno a tutti.
Oggi ci dedichiamo ad una raccolta di racconti. Io ho la
tendenza a ritenere i racconti più leggeri dei libri, perché sono semplicemente
più corti, permettono di non perdere il filo quando si è stanchi e non si
riesce a leggere più di un capitolo per volta. Ma oggi porterò la dimostrazione
di quanto io abbia sempre sbagliato finora in questa considerazione.
Questa raccolta l’ho trovata casualmente, nella cantina del
mio affittuario, che non era interessato a tenere alcun libro (e ce n’erano
parecchi). Dopo una selezione, ci siamo divisi libri tra amici e il resto lo
abbiamo portato alla biblioteca. Tra quelli che ho tenuto c’è questa raccolta
di un autore molto controverso: Charles Bukowski. Io non avevo mai letto nulla
di suo, ma ne ho sentito molto parlare come autore scomodo, che appartiene alla
corrente del realismo sporco, ovvero soprattutto un racconto breve, con pochi
elementi sia a livello di ambientazione che di personaggi, che lascia molto
spazio al contesto, elemento da cui si può trarre il significato dell’opera. È
uno stile minimalista che si concentra specialmente su personaggi poveri o che
versano in cattive condizioni, generalmente reietti della società o
protagonisti scomodi.
L’autore ha sicuramente avuto una vita complessa, articolata
e forse anche sfortunata sotto certi punti di vista. I racconti di cui vi parlo
oggi li potete trovare nella raccolta “Compagno di sbronze”, volume che segue
“Storie di ordinaria follia” del 1972, da noi pubblicato nel 1975/79. Si
potrebbe dire che è una raccolta decisamente indigesta, perché gli argomenti di
cui parla, unitamente ad uno stile minimalista, schietto e senza pudore o
abbellimenti vari diventa in alcuni casi pesante da leggere. E questa è la sua
particolarità, infatti senza questa combinazione il risultato non sarebbe
affatto lo stesso.
Alcuni dei racconti sono autobiografici ma non viene
specificato quali, anche se alcuni sono facilmente riconoscibili, visto che
parla in prima persona o si cita direttamente tramite il parlato degli
interlocutori.
La prima parte, diciamo pure la prima metà del libro, è più
difficile perché è più volgare, esplicita, raccoglie i racconti più violenti e
viscerali, mentre la seconda continua sullo stesso filone ma risulta molto meno
pesante. Ho avuto inoltre la netta sensazione i racconti autobiografici si
trovino prevalentemente nella seconda parte, e questo mi ha spinto a vedere
questa prima parte così indisponente come una sorta di muro di protezione, che
si può superare solo con una grande forza di volontà.
L’immagine dell’autore che ho percepito leggendo questi
racconti è quella di un uomo fragile e molto solo, che usa l’alcol per
estraniarsi dal mondo, per isolarsi sempre di più e non dover affrontare la
vita. Lo usa per costruire una muraglia attorno a lui, e tenere distanti le
persone, che dice di odiare. Allo stesso modo è come se i primi racconti
avessero l’obiettivo di spingere il lettore a smettere di leggere, abbandonare
la raccolta da qualche parte a causa del fastidio, della nausea, dello schifo
che generano. Ma per i lettori che continueranno nonostante tutto questo si
aprirà una finestra sul suo mondo interiore. Certo non c’è da immaginarsi una
seconda parte piena di buoni sentimenti, di rose, amore, fiori e tanta bontà.
Gli argomenti dei racconti restano simili, ma le reazioni del protagonista si
modificano, mostrando la sua parte fragile più nascosta, più sola, più
disperata.
Il racconto che più mi ha disturbato è quello intitolato “Il
demonio”, a pagina 67 dell’edizione che ho, ovvero l’Universale Economica
Feltrinelli, per questo vi dico che è come se Bukowski volesse dirci “Vattene,
non continuare a leggere, lasciami in pace.”. Fino a quel momento si assiste ad
una escalation di depravazione, come se desse libero sfogo a tutto ciò che di
peggiore gli possa venire in mente. Dopo il racconto sopracitato invece, si
stabilizza per un paio di racconti e poi inizia una lenta discesa in cui la
volgarità e la violenza diminuiscono e aumenta invece la sua solitudine.
Non mi sento onestamente di dire che mi sono piaciuti i
racconti, perché mentirei, anche se un paio li ho trovati non proprio
divertenti ma piacevoli per lo più. Mi ha affascinato molto però questa
evoluzione del libro che ha messo in luce l’autore più che i racconti in sé.
Certo, avevo pensato di interrompere la lettura dopo “Il demonio”, ma la spinta
a vedere fino dove poteva arrivare mi ha portato fino alla fine, soprattutto
dopo aver constatato l’andamento decrescente della seconda parte.
Non mi sento nemmeno di consigliarlo spassionatamente. Tutto
dipende da voi, da cosa vi piace e cosa no, ma soprattutto da quanto pelo sullo
stomaco avete, se mi concedete questo modo di dire. Ad esempio se avete letto
“VM18” di Isabella Santacroce e vi è piaciuto potreste leggere anche questo. Se
invece il massimo che riuscite a tollerare sono i gialli di Agatha Christie,
ecco, forse lascerei perdere.
Insomma non ve lo consiglio tanto come lettura dei racconti
quanto come approfondimento dell’autore stesso, per entrare nel suo mondo e
scoprire l’uomo dietro il muro.
A presto
-Pearl
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