Buongiorno a tutti.
Oggi riprendiamo in mano le Graphic Novel, che come tutti
avrete capito sono la nostra zattera di salvataggio quando abbiamo poco tempo
per leggere, perché prese dalla frenesia, e dalla pazzia, della vita di tutti i
giorni.
Personalmente mi sono trovata a vagare per la biblioteca
alla ricerca di qualche esemplare del genere che potesse attrarmi ed allo
stesso tempo salvare l’uscita del post. Voi lo state leggendo ora, ma per me è
ormai passato un po’ di tempo, ero infatti molto vicina al rientro dalle
vacanze di Natale, ma sono un po’ ossessiva per quanto riguarda la
programmazione. L’ansia dunque di non avere nulla di pronto, nel caso in cui
l’impossibilità di leggere si prolungasse mi ha spinto in questa ricerca.
Sono tornata a casa con due titoli, e oggi vi parlerò di uno
di questi. L’altro lo terrò da parte per un futuro probabilmente nemmeno troppo
prossimo.
“Fraternity” è il titolo di questa Graphic Novel, di Juan Díaz
Canales e José Luis Munuera rispettivamente per sceneggiatura e disegni. Mi ha
attratto in particolare la costa del libro, o meglio la scritta sul suo dorso,
ed una volta estratto dallo scaffale mi sono lasciata attrarre dalla copertina.
Come potete vedere anche voi è piuttosto inquietante, anche s e mantiene un
fascino particolare, soprattutto per la vicinanza dei due personaggi
raffigurati.
La trama parla di una comunità di persone, che nella seconda
metà dell’800, decide di creare una comune, con regole di maggiore uguaglianza
ed equità, per costruire il mondo che tutti vorrebbero, un mondo che la realtà
evidentemente non gli stava né offrendo né garantendo. Una comunità autonoma,
che si autoregola, senza bisogno di un’autorità imposta. Le cose iniziano a
cambiare, quando durante una seduta di caccia un bambino viene trovato nella
foresta e quindi soccorso e portato all’interno del gruppo. Il bambino non
parla, nessuno sa chi sia e viene considerato alla stregua di Tarzan, un
bambino selvaggio.
Degli screzi, già presenti in precedenza, diventano sempre
più acuti con il passare del tempo e l’equilibrio che già non era ottimale
all’inizio del racconto si spezza, anche a causa di una creatura che sembra
legata al bambino e che sembra volerlo recuperare.
I disegni sono molto carini, nonostante i colori utilizzati
siano molto pochi e decisamente spenti, probabilmente per richiamare
l’atmosfera del racconto. Resta presente in modo nitido il rosso, soprattutto
quando sta a rappresentare il sangue, perché assume proprio un colore acceso.
Infatti lo ho trovato, in alcuni passaggi, leggermente splatter.
Dal punto di vista della trama ho trovato interessante il
tentativo dell’autore di raccontare il fallimento nella creazione di un
paradiso terrestre, in cui gli ideali devono sempre guidare il comportamento ed
il pensiero. Questo fallimento si lega inesorabilmente alla natura dell’uomo
stesso, che è di per sé geneticamente imperfetto. Riescono ad esprimere in modo
chiaro ed efficace come la paura spinga le persone a comportarsi in modo sempre
più egoistico, rinunciando agli ideali che inizialmente per loro erano
importanti. Questo avviene soprattutto in una condizione particolare che anche
oggi sembra diffondersi velocemente: la povertà. Infatti i poveri sono
maggiormente soggetti alla paura di perdere quel poco che hanno, ed il
tentativo di ottenere qualcosa di più li spinge a lottare contro chiunque si
metta lungo la strada. Specialmente se
questo qualcuno è diverso da sé.
L’essere umano ha la tendenza a creare un ordine, per
gestire la propria vita, un ordine anche gerarchico, che possa regolare il
proprio vivere. Qui viene descritto come l’organizzazione o meglio la
riorganizzazione prende il sopravvento, soprattutto quando
l’ideatore della
comunità si ammala, e per forze di causa maggiore è costretto a letto.
Ho trovato molto interessante anche uno scritto filosofico
iniziale, con il quale inizia la Graphic Novel, che parla della natura umana e
della storia che si ripete, nonostante i buoni propositi:
“Di fatto i morti parlano già per bocca nostra e si
manifestano attraverso i nostri corpi dal momento che parliamo il linguaggio che ci hanno lasciato
in eredità, pensiamo le idee che ci hanno trasmesso e vaghiamo vestiti dei loro
abiti lungo i sentieri che hanno tracciato. Possiamo cambiare la sua forma, e
battezzarlo con un altro nome, ma il Leviatano resta il Leviatano.”
Ho apprezzato dunque sia i disegni che la storia, è sì un
po’ inquietante, ma come mi capita molto spesso, mi trovo sempre di più a
parteggiare per il mostro e non per gli esseri umani. È una storia cupa ma
lascia molti spunti di riflessione.
Decisamente consigliato.
Alla prossima.
-Pearl
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