Premetto subito
che questa recensione contiene spoiler, PERÒ solo a partire da un certo punto,
ovvero io mi sforzerò di dividere la recensione in due parti: nella prima
resterò sugli aspetti che non riguardano la trama e quindi cercherò di fare una
recensione come quelle fatte fino ad ora (per esempio quelle dei thriller) poi,
ad un certo punto farò riferimento ad alcuni aspetti della trama nello
specifico e sul finale. Non preoccupatevi, vi
avvertirò in tempo in modo che chi ha intenzione di leggerlo e non vuole nulla di anticipato potrà interrompere la lettura.
avvertirò in tempo in modo che chi ha intenzione di leggerlo e non vuole nulla di anticipato potrà interrompere la lettura.
Ma bando alle
ciance! Il libro di oggi è “Il piccolo amico” di Donna Tartt, edito per la
prima volta nel 2002, e narra la storia di Harriet Cleve, una ragazzina di
dodici anni che è cresciuta in una famiglia segnata dalla morte del fratello
maggiore all’età di 13 anni. Questa morte, avvenuta per impiccagione nel giorno
della festa della mamma, ha segnato la sua famiglia in modo assoluto e totale,
ma lei era troppo piccola per ricordarlo. Da qui parte il racconto che la
porterà alla ricerca dell’assassino, che non era mai stato trovato per
vendicarsi del torto subito.
Donna Tartt,
nata nel 1963, è molto conosciuta nel mondo letterario e non so se abbia
effettivamente bisogno di presentazioni, ad ogni modo ha scritto tre romanzi:
“Dio di illusioni”, “Il piccolo amico” e “Il cardellino”, forse il più famoso,
nonché l’opera che le ha fatto vincere il premio Pulitzer. E scusate se è poco.
Tornando al
libro, esso è scritto in terza persona e risulta essere scorrevole e piacevole
da leggere con delle buone descrizioni, non solo per quanto riguarda luoghi e
personaggi ma anche per i sentimenti che pervadono i personaggi e le rispettive
famiglie. Ad esempio riesce a descrivere e spiegare in modo estremamente
realistico come la morte di una persona cara vada a impattare sui personaggi
che lo circondano in maniera differente tramite dei meccanismi tipici come
l’idealizzazione, il dolore ed il semplice “mollare la presa”, lasciarsi andare
al dolore senza reagire in alcun modo, sprofondando così nella depressione.
Tutti i personaggi sono ben strutturati e tutti hanno delle caratteristiche che
li rendono umani e realistici: ognuno di loro possiede pregi e difetti anche se
a volte, proprio come nella vita reale, i primi sovrastano i secondi e
viceversa, e dunque magari, tutto quello che resta in secondo piano non si
nota.
La storia è
ambientata in America ma non viene indicato chiaramente ed esplicitamente il
periodo storico, ci sono semplicemente dei riferimenti, in parte storici e in
parte legati alla famiglia e dunque attraverso le varie età dei personaggi si
cerca di capire quali siano gli anni che fanno da sfondo a questo romanzo. Devo
ammettere che non sono mai stata particolarmente brava in storia e non vorrei
dire castronerie, ma credo che gli avvenimenti del libro risalgano agli anni
’70 circa. Se sbaglio, chiedo venia.
La protagonista
è, come già accennato, Harriet Cleve, la sorella minore della piccola vittima
dell’omicidio che apre il romanzo. È una protagonista interessante, forte, che
dimostra di essere una ribelle, qualcuno che non si lascia mettere i piedi in
testa da nessuno e che prosegue per la sua strada. Ha come idoli o personaggi
di riferimento Giovanna d’Arco, Sherlock Holmes e Houdini, per citarne
qualcuno. Non è particolarmente popolare, se non per il suo carattere e le sue
particolari avventure, quindi non gode dell’amicizia di molti bambini,
risultando così una bambina fondamentalmente sola. Quando ho comprato questo
libro sono subito stata attratta dalla trama che si poneva l’obiettivo di
risolvere un mistero, in particolare un omicidio, che avrebbe avuto come
investigatore primo proprio Harriet e, anche se questo si è rivelato vero (è
lei che effettivamente si mette alla ricerca del colpevole) mi è sembrato un
libro molto più ricco a livello contenutistico. Mi spiego meglio: un libro
giallo, si concentra sulla trama, sul racconto di come il mistero venga
risolto, in questo romanzo si dà molto spazio anche ad altri personaggi invece.
Non mi aspettavo un giallo, sia chiaro, solo che non mi aspettavo un
approfondimento dei personaggi che si potrebbero definire di contorno, ma
alcuni di essi potrebbero addirittura dirsi co-protagonisti. Questo aspetto mi
è piaciuto moltissimo. Ad un certo punto mi è sembrato addirittura un libro
famigliare, sulla famiglia e non su quella che doveva essere il personaggio
principale.
Un altro aspetto
che mi è piaciuto molto è l’importanza che viene data alla memoria e alla
storia, soprattutto nella prima parte del libro, e a quanto giochi un ruolo
fondamentale nella storia di oggi la distorsione del nostro passato e dei
nostri ricordi. O magari di come proprio la distorsione di ciò che è stato ci
permetta di avere un presente.
Il libro è
assolutamente promosso, c’è un’unica pecca che riguarda esclusivamente la trama
di cui parlerò qui di seguito. Per chi non vuole spoiler dunque la recensione
finisce qui. Buon week-end!
Per chi ha già
letto il libro e quindi non potrà ricevere spoiler e per gli impavidi che invece
non si fanno intimorire da essi, devo dire che sono rimasta un po’ delusa dal
fatto che alla fine il mistero della morte di Robin (il fratello) rimane
insoluto. Da lettrice di thriller e gialli mi sarebbe piaciuto scoprirne
l’autore però mi rendo assolutamente conto che questo non è un libro giallo, è
un romanzo sulla vendetta e quindi in quest’ottica il finale ha assolutamente
senso.
Harriet si
convince in qualche modo e senza nessuna prova che Danny Ratliff, un ex
compagno del fratello, sia l’artefice del delitto e decide di vendicarsi
cercando di ucciderlo a sua volta avvelenandolo con un serpente. Alla fine però
quello che emerge con forza da questa storia e che dovrebbe portarci a
riflettere è come spesso la vendetta ed il desiderio di vendetta siano
assolutamente cieche ai fatti e come purtroppo le chiacchiere, i racconti e le
dicerie ci condizionino più di quanto noi pensiamo. Danny Ratliff era cresciuto
in una famiglia disastrata, senza mamma e con un padre violento e il suo
destino è rimasto segnato anche dal fratello maggiore, non solo produttore di
droghe ma anche consumatore accanito. Spesso questo tipo di situazioni porta la
gente a parlare male o a giudicare senza dare nemmeno il beneficio del dubbio e
questo ha portato Harriet a pensare che fosse una famiglia intrinsecamente
cattiva e dunque egli era il colpevole. La vendetta ci rende ciechi davanti
alla realtà e ci spinge verso errori talmente grossi che ci cambierebbero
completamente l’esistenza. Danny era un bambino rimasto intrappolato in una
famiglia sbagliata e che avrebbe voluto solo essere come tutti gli altri,
probabilmente avrebbe voluto una mamma e degli amici ma la situazione familiare
gli ha impedito di trovarne e la strada per il futuro ha perso tutte le sue
ramificazioni lasciando un’unica scelta: la famiglia.
Ripeto che il
libro mi è piaciuto ma la piccola (ma neanche troppo) ossessione per i gialli e
il mistero avrebbe anche voluto scoprire l’assassino. Anche in questo caso la
Tartt è stata molto realistica: nella realtà non si sa mai, o quasi mai con
certezza chi è stato e spesso, lo vediamo nelle cronache con una frequenza
inquietante, il colpevole non viene mai preso.
Dunque pollice
in su per Donna Tartt e per “Il piccolo amico” anche se ad essere sincera non
ho capito il titolo…
-Pearl
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