Buongiorno.
Oggi recensione
breve, come avrete capito dal titolo del post, dato che andremo a parlare di un
thriller. Inoltre sto davvero ragionando sul termine “recensione”, perché secondo la Treccani fa
riferimento ad un “Esame critico, in forma di articolo più o meno esteso, di
un’opera di recente pubblicazione”, ed effettivamente è quello che faccio, però
trovo che anche il termine
“opinione” calzi bene. Dunque non saprei.
“opinione” calzi bene. Dunque non saprei.
Scusate la
divagazione.
Oggi torna Wulf
Dorn con il libro “Il mio cuore cattivo” che narra la storia di una ragazza,
Dorothea, che vive con un fantasma: quello del fratellino che ha trovato
esanime e ormai morto da ore una mattina. La sera precedente era stata lei a
fare da baby sitter e non ricorda cosa sia successo. A seguito di ciò si
presentano delle allucinazioni che la portano ad essere ricoverata in un
reparto psichiatrico. La narrazione però inizia successivamente, quando lei
ormai ripresa si trasferisce con la madre in una nuova città e trova un ragazzo
nel capanno che le chiede aiuto. Questo ragazzo però risulterebbe essere morto
suicida pochi giorni prima.
A questo punto
si riapre la preoccupazione sua e della madre, la paura che le allucinazioni
siano tornate e tutto ciò che ne consegue.
Dal punto di
vista dello stile non ho nulla da aggiungere alle recensioni precedenti legate
a questo autore salvo forse il fatto che ci vuole un tempo maggiore prima che
si cominci veramente a sentire la suspense.
Quindi sotto questo aspetto mi ha preso un po’ di meno rispetto agli
altri suoi romanzi letti fino ad ora.
La storia è
comunque molto interessante ma si differenzia dalle altre perché non è
ambientata nell’ospedale psichiatrico di Fahlenberg, la città da lui inventata
ed in cui si sono già svolti “La psichiatra”, “Il superstite” e “Follia
profonda”. C’è comunque un collegamento, perché l’ospedale psichiatrico in cui
la protagonista è stata in passato è proprio quello, ed il suo psichiatra era
proprio il dottor Jan Forstner, protagonista già de “Il superstite” e di
“Follia profonda”.
Al di là di ciò
rimane sempre un thriller, o come viene definito a volte, psico-thriller.
Uno degli
aspetti che ho apprezzato di più è il tema di fondo: l’avere una parte di noi
che definiremmo “cattiva” perché per la società non risulterebbe accettabile.
Quella parte di noi che si lascia andare alle emozioni e si lascia pilotare,
senza mettere limiti razionali al comportamento. E certamente sapere che ognuno
di noi ne ha una e che è solo lì nascosta fa paura; per questo si nega la sua
esistenza anche se riconoscerla potrebbe essere il punto di partenza per
evitare che emerga.
D’altronde io
credo fermamente nel fatto che noi siamo i nostri peggiori nemici, perché per
paura ci poniamo dei limiti, evitiamo di fare cose o conoscere gente perché
pensiamo che sarebbe pericoloso o per imbarazzo (sono solo esempi per rendere
l’idea) e ci si bruciano delle occasioni. C’è da sottolineare che i limiti
servono, anzi sono fondamentali ma non bisogna mai esagerare, né da un lato né
dall’altro. La nostra mente interpreta ciò che avviene nel mondo esterno, e
quello che noi capiamo o pensiamo di capire è già il frutto di una prima
elaborazione che, anche se spesso può risultare esatta, non lo è sempre.
È dunque
importante prestare attenzione ad ogni parte che compone il nostro essere,
anche e soprattutto quelle che ci fanno paura.
Nonostante tutte
queste note positive, la critica che posso muovere è relativa, non alla trama,
non allo stile, però è un libro che mi ha preso meno degli altri in quanto a suspense
e colpi di scena. Non so se ciò sia relativo a questo libro in particolare o se
sono io che mi sto abituando allo stile dell’autore. Lo scopriremo con il suo
prossimo thriller!
Con questo non
posso far altro che concludere questa recensione suggerendovi questo romanzo e
sollevare i pollici: Dorn non si smentisce, almeno per il momento.
-Pearl
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