Buongiorno a
tutti!
È iniziato
ottobre, il mio mese preferito in assoluto! Sono entusiasta sia del clima che
del periodo. Non so voi, ma l’autunno è la mia stagione preferita, sia per le
temperature non troppo fredde sia per i colori e, inoltre, diciamolo pure
chiaramente, il caldo di questa estate era durato a sufficienza!
Almeno per me
che sono un po’ asociale e amo stare a leggere seduta
sul letto, con la coperta, il gatto addormentato sulle gambe e una tazza di tè.
sul letto, con la coperta, il gatto addormentato sulle gambe e una tazza di tè.
E proprio di
gatti andremo a parlare oggi. Ebbene sì amici, i gatti stanno diventando la mia
ossessione, e dopo avervi parlato di libri sui gatti (4 per la precisione!) ci
ho voluto riprovare.
Perché “Io e
Dewey”, “Il gatto in noi”, “Orso” e “Quattro gatti” non erano sufficienti a
colmare il mio spirito profondo di gattara mancata (almeno per il momento, ma
in futuro, chi può dirlo?). Per questo motivo eccoci di nuovo con titolo felino:
“Io sono un gatto” di Natsume Sōseki.
Come il nome
dell’autore potrebbe farvi pensare si tratta di letteratura orientale, per la
precisione giapponese. Non avevo mai letto nulla del genere, ma ne avevo
sentito parlare, e infatti sono partita con un’idea abbastanza precisa: un
racconto dettagliato, molto “interiore” o “spirituale”, lento. Molto lento.
Trama: il libro
viene raccontato in prima persona dal gatto protagonista, un gatto senza nome,
perché il suo padrone non si è mai preso la briga di dargliene uno, tanta è la
considerazione che ha di lui. Vive in Giappone con questo padrone di nome
Kushami, di mestiere professore, e con la sua famiglia (moglie e tre figlie
piccole).
Ciò di cui
questo gatto parla può essere diviso in due settori: dei monologhi sulla
propria vita e sulla vita umana e i racconti dei discorsi tra il padrone e gli
amici che gli fanno visita.
Mi sento i dire
che non esiste una vera trama, ovvero non è una storia con un inizio, uno
svolgimento ed una fine o conclusione, è più che altro una analisi della vita
umana e dell’uomo, con un occhio o uno sguardo filosofico, messo in atto dal
nostro piccolo gatto nero.
Parlando dello
stile posso dirvi che rispecchia perfettamente la mia idea di libro orientale:
molto lento, con descrizioni fatte bene, studiate ma estremamente lento nei
passaggi, considerando anche che di passaggi, avvenimenti non ce ne sono molti.
Infatti noi occidentali, diciamo così, siamo abituati a libri molto più
scorrevoli, con una serie di eventi che si susseguono, approfonditi solo fino
ad un certo punto. Viene detto il minimo indispensabile affinché il lettore
capisca cosa c’è sotto. Questo libro è invece molto più prolisso, e devo dire
che più volte mi sono addormentata leggendolo, sicuramente anche perché la sera
era l’unico momento in cui potevo farlo e ciò ha facilitato la mia caduta nel
mondo onirico. Detto questo lo stile resta comunque molto bello, chiaro e
dettagliato con riferimenti alla cultura giapponese affascinanti e spiegati
bene. In fondo al romanzo si trova infatti un glossario con molte parole
giapponesi usate nel libro, in quanto sono comuni per l’autore, ma per chi come
me non sa nulla sul Giappone sarebbero potute essere un elemento negativo, che
avrebbe potuto pregiudicare la comprensione del testo.
Ci sono inoltre
delle note che spiegano i riferimenti agli avvenimenti storici e letterari
citati lungo la storia.
I personaggi
sono molto particolari a partire dal padrone fino ad arrivare ai suoi amici. Il
primo è veramente insopportabile, almeno per me, un uomo che crede di essere
particolarmente intelligente perché riveste la carica di professore di inglese
e si vanta e si sente superiore a chiunque altro. Si dimostra essere nel orso
del romanzo arrogante, egocentrico e fannullone, anche se mantiene la dote
dell’onestà. Meitei, uno dei più cari amici non fa altro che raccontare
frottole o esagerazioni, fa scherzi in continuazione e non sta mai zitto. Tutti
gli amici che compaiono sono caratterizzati in modo differente e, anche se
alcuni sono fastidiosi, li ho apprezzati.
Il gatto resta
invece il mio personaggio preferito: l’autore sfrutta l’animale per parlare dell’essere
umano con una critica da un lato dura, perché parla delle debolezze e degli
aspetti negativi dell’essere umano, ma riesce a farlo mantenendo un certo
livello di leggerezza. Riesce a portare il lettore al sorriso mentre legge e
forse a volte, si riconosce anche nelle critiche, o riconosce in esse qualcuno
di vicino a lui.
Voglio
riportarvi alcune di queste riflessioni feline che mi sono piaciute in modo
particolare:
“L’antico motto ‘i simili con i simili’ è proprio
vero: i bottegai sono bottegai e i gatti sono gatti, e quindi il mondo felino
lo possono capire soltanto i gatti. Con tutto il loro progresso, gli uomini non
arrivano a tanto, perché in realtà sono molto meno avanzati di quanto credano,
e questo rende le cose tanto più difficili. Chi soprattutto non ha speranza è
quel campione di insensibilità del mio padrone, perché non si rende conto che
per capirsi fino in fondo l’un l’altro, l’essenziale è l’amore.”
O ancora:
“A questo punto, benché sia soltanto un gatto,
intuisco una verità profonda: è l’occasione che induce tutti gli esseri viventi
a fare quel che non desiderano.”
“L’inventore dello specchio avrà la coscienza sporca
[…]. Tuttavia, quando si è scontenti di sé non c’è rimedio più efficace che
guardarsi allo specchio. Si ha una immediata e chiara percezione del bello e
del brutto. Ci si meraviglia di aver vissuto fino a quel momento mostrando al
mondo una tale faccia. E quest’improvvisa
consapevolezza è un momento prezioso nella vita di una persona. Nulla è più
utile all’essere umano che la percezione della propria stupidità. Davanti ad
uno stupido che sa di esserlo, tutti coloro che hanno un’alta opinione di sé
dovrebbero scusarsi e abbassare la testa per la vergogna.”
“Situazioni di questo tipo si verificano spesso, un
uomo crede di aver vinto perché ha ottenuto ciò che voleva, senza cedere, ma
intanto il suo valore in quanto persona è calato. La cosa strana è che gli
ostinati per tutta la vita considerano la loro testardaggine una qualità, e il
dubbio che la gente possa disprezzarli, possa non considerarli degli
interlocutori validi non li sfiora nemmeno. Sono creature felici. Di quella che
pare venga chiamata ‘la felicità dei maiali’.”
“È difficile pensare che gli uomini siano dotati di
tanta comprensione e sollecitudine. Di quando in quando versano qualche lacrima
e si mostrano addolorati per rispetto delle relazioni sociali, un tributo da
pagare per essere nati nel consesso umano. In realtà è tutta una finzione, una
manifestazione di ipocrisia, arte che richiede un notevole impegno. Ai
simulatori più abili viene attribuita una forte coscienza artistica e tutti li
tengono in grande considerazione. Ne consegue che coloro che godono di alta
stima sono umanamente i più sospetti.”
Insomma, questo
gatto attraverso l’osservazione degli uomini ne comprende vari aspetti, ne
scopre le caratteristiche peggiori ma anche quelle positive. Nonostante egli
veda tutti questi difetti nel suo padrone, o tramite lui, egli lo rispetta e in
parte arriva a somigliargli.
Tutto questo
sembra una buona spiegazione ai comportamenti che i gatti mettono in atto
normalmente; chi ha un gatto o ne ha avuto uno condividerà con me, e forse
anche con l’autore, che essi danno sempre l’impressione di riflettere e di
giudicare quello che si sta facendo. Sembra che ti considerino uno stupido, uno
sciocco. Di contro però, anche se molti non lo pensano, e di solito sono coloro
che non hanno mai avuto un gatto a pensarla così, i gatti amano i loro padroni.
Arriviamo alla
nota dolente di questo libro: la fine. Non farò spoiler ma mi ha molto deluso.
Anche se resta in linea con il resto del romanzo l’ho trovata troppo sbrigativa
e rapida. Una parte di me lo capisce, l’altra l’ha veramente odiata.
Nonostante il
finale però, non posso fare altro che consigliarlo. Certo vi consiglio di
leggerlo in un mood adeguato: magari non la sera o se siete particolarmente
stanchi.
Approvato, anche
se con l’amaro in bocca.
-Pearl
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