Buongiorno
e bentrovati lettori e lettrici, oggi torniamo con il nostro appuntamento ormai
navigato con Wulf Dorn. Oggi infatti parliamo di un thriller che vede di nuovo
tra i protagonisti il dottor Mark Behrend, psichiatra, già incontrato nella
prima opera dell’autore “La psichiatra”.
Dei
suoi libri, ad oggi, mi manca di leggere solo “Incubo” e “Gli eredi”, che
ancora non posseggo ma rimedierò in qualche modo.
Mi
rendo conto che recensire un ulteriore libro dell’autore dopo averlo fatto per
ben quattro volte sembra superfluo, ma è più forte di me. Come un bisogno
profondo sento di dovervi raccontare qualcosa di questo libro, forse perché
riesce sempre a combinare in maniera differente e creativa la psichiatria e la
psicologia con i crimini e i delitti. Ed è questo che tiene tutti noi lettori
accaniti del genere attaccati alle pagine del libro fino a tarda notte.
Per
evitare spoiler probabilmente questa recensione sarà più breve del solito:
sapete che quando parlo di thriller preferisco non dilungarmi troppo e inoltre
di Dorn ho già parlato a più riprese.
Anche
in questo caso, come nella sua prima opera, Mark non è il protagonista diretto,
ma l’aiutante di coloro che vivono in prima persona il dramma, in questo caso
Sarah Bridgewater, amica d’infanzia che si trova alle prese con uno sconosciuto
che dice di essere suo marito, indossa i suoi vestiti, si comporta come lui, sa
tutto quello che il marito sa, ma non è lui. Mark sarà l’unico a crederle e a
darle il suo aiuto.
La
storia si svolge, questa volta, a Londra e non a Fahlenberg o in Germania,
infatti è lì che Mark è cresciuto ed ha studiato, ad Oxford con Sarah. Le
ambientazioni sono infatti differenti ma non meno interessanti.
Quello
che secondo me l’autore è sempre riuscito a trasmettere, o che semplicemente io
ho colto nel suo modo di esprimersi, è l’umanità che sta dietro al
criminale/assassino/persecutore. Quella che fino alle ultime pagine e alle
ultime rivelazioni sembra essere solo una pazzia, una crudeltà che non conosce
limiti, si trasforma in una debolezza umana talmente disarmante da sconvolgere.
Fa nascere un dialogo interno che può portare alla comprensione del crimine
commesso, senza però giustificarlo a causa dell’efferatezza che lo ha
caratterizzato e delle conseguenze che ha causato. Non posso fare altro che
trovare tutto questo molto giusto, se questo termine si presta bene al mio
intento: comprendere le motivazioni e le origini alla base di un'azione
contribuiscono a far sì che l’evento non si ripeta e a prestare maggiore
attenzione a quello che si fa, a volte troppo spesso, in automatico.
Un
messaggio che ho colto all’interno di questo libro è l’importanza della
quotidianità e come spesso ci si trova di fronte a qualcosa che ci piace ma che
rimandiamo e procrastiniamo in vista di una futura felicità, ancora migliore.
Il problema è che questa felicità maggiore forse non esiste e si rischia di
perdere tutto, anche quelle piccole gioie certe, per qualcosa di puramente
astratto. Mi fa pensare a quelle persone che si pongono sempre nuovi obiettivi
da raggiungere senza mai fermarsi un po’ a godere del loro raggiungimento e del
proprio successo: prima la maturità, poi la laurea triennale, poi quella
magistrale, poi un lavoro, una carriera, il matrimonio, il figlio e così via,
in una vita piena di ansia e nemmeno una gioia.
Vi
consiglio, quando vi trovate di fronte ad una gioia, mollate tutto e godetevela
per almeno una sera.
Il
romanzo dell’autore che più mi ha colpito e che ha avuto il colpo di scena più
sconvolgente resta il primo, ma gli altri non sono meno belli o meno
entusiasmanti. Per questo ve lo consiglio, anche se era scontato già dalla
prima riga. Spendete qualche ora per leggerlo e riflettere sulle cose belle che
vi capitano e a cui non avevate mai dedicato abbastanza tempo.
Buona
lettura!
-Pearl
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