Buongiorno e ben tornati sul blog.
Visto che questa settimana è dedicata alla scuola, come avrete notato dai due post usciti lunedì e mercoledì, questa settimana ci concentriamo su un saggio molto recente,
del 2013, edito da Ponte alle Grazie e scritto da Maria Konnikova. Esso è dedicato ad un argomento molto vicino al rientro a scuola e funzionale allo scopo che essa dovrebbe avere: l'adattamento al mondo esterno e la sopravvivenza.
L'autrice è psicologa
con un dottorato conseguito alla Columbia University, ha scritto molto per
giornali ma anche per la televisione e ha pubblicato due libri. Il focus che
segue riguarda l’applicazione delle teorie psicologiche alla vita quotidiana di
tutti i giorni.
Ed è quello che fa anche in questo caso. Il libro in
questione si intitola “Mastermind. Pensare come Sherlock Holmes.” Per chi di
voi ci segue da un po’ non sarà difficile arrivare a comprendere come mai io
abbia scelto di leggere questo libro. E senza averlo nemmeno letto prima! Senza
bisogno di utilizzare il metodo deduttivo dell’investigatore più famoso al
mondo. Leggendo la trama o per meglio dire, l’abstract di questo lavoro si
potrebbe cadere in inganno, come è successo a me. Infatti un libro che promette
di aiutarci a pensare come il grande personaggio di Conan Doyle sembra essere il
coronamento del sogno di tutti noi aspiranti investigatori. Invece, mi duole
darvi questa notizia, ma questo libro non insegna a catturare i cattivi e nemmeno
a risolvere i misteri, ma spiega l’importanza di essere più consapevoli del
mondo che ci circonda e quindi maggiormente in grado di prendere decisioni o
esprimere giudizi.
Questa “delusione” che si presenta all’inizio della lettura
non è certo colpa dall’autrice, ma è data da un mix di entusiasmo di noi
lettori e dalla nostra incapacità a pensare come Holmes. Che poi alla fine se
ne fossimo già in grado che senso avrebbe leggere questo libro? Sbagliato. Un
ulteriore insegnamento del metodo di Sherlock e del libro stesso è l’importanza
dell’apprendimento continuo, il long-life learning.
Non vi voglio raccontare i contenuti, perché ritengo che
fare un riassunto sia inutile, ma mi concentrerò su alcuni aspetti che ho
apprezzato o meno. In particolare mi è piaciuto il focus sulla psicologia e
sulla sua importanza nella vita di tutti i giorni e anche nella investigazione
in generale, mentre tutt’oggi è poco o per nulla considerata. Parla delle
teorie della psicologia generale, quindi del pensiero con i ragionamenti, le
euristiche, la formazione dei pregiudizi, delle impressioni, la forza del
condizionamento nell’apprendimento eccetera. Per chi di voi conosce anche solo
un po’ la materia saprà esattamente di cosa sto parlando, ma se voi per caso
non siete tra questi, non preoccupatevi perché tutto quello che l’autrice ha
scritto è perfettamente comprensibile anche per chi non ne ha mai sentito
parlare prima.
La psicologa infatti utilizza uno stile semplice, scorrevole
e allo stesso tempo accattivante suscitando la curiosità nel lettore . Questo
dipende dalla alternanza che sfrutta tra spiegazioni, esempi e brani tratti dai
racconti di Conan Doyle. Inoltre, anche se a volte si dilunga per alcune pagine
nella spiegazione di come funziona il pensiero e la formazione per esempio di
un pregiudizio, non è mai noiosa o banale e allo stesso tempo non risulta
troppo scientifica. Come invece a volte succede nei saggi.
Ho molto apprezzato la sua metafora del sistema di
pilotaggio automatico alternato a quello più logico e riflessivo e dunque alla
loro attribuzione ai due protagonisti istituzioni dei racconti: Watson e
Holmes. Lascio indovinare a voi l’abbinamento. L’ho trovata sia azzeccata sia esplicativa.
Inoltre ho apprezzato moltissimo il discorso legato
all’immaginazione: spesso si ritiene che la fantasia e la creatività non siano
scientifiche, e forse questo potrebbe essere vero, ma senza di esse la scienza
non potrebbe mai proseguire e raggiungere nuovi traguardi. Senza pensare a
modalità nuove e alternative per raggiungere l’impossibile questo resterà
sempre tale. In particolare riporto una citazione significativa di Richard
Feynman:
“È sorprendente che si possa non credere all’esistenza
dell’immaginazione nella scienza . [Quella nella scienza] è un tipo di
immaginazione molto interessante, diversa da quella dell’artista. La grande
difficoltà sta nel cercare di immaginare qualcosa che non si è mai visto, che è
coerente in ogni dettaglio con ciò che si è già visto, e che è diverso da ciò a
cui si è pensato; per di più deve essere un’affermazione definita, non vaga. È
davvero difficile.”
Un’altra metafora anch’essa bella ed esplicativa, ma già sentita,
è quella della soffitta della mente. Pensare ovvero alla propria mente come ad
una soffitta da riempire ma con informazioni utili e importanti, senza occupare
spazio inutile. È già sentita sia da Sherlock, che da altri autori o
personaggi, come per esempio Patrick Jane della serie TV “The mentalist”.
Chiaramente può essere stata presa dai libri di Doyle, ma è comunque una
metafora nota rispetto alle altre precedentemente citate.
“Dobbiamo stare molto attenti a non fare dell’intelletto il
nostro dio; certo ha una muscolatura possente ma non ha personalità. Non può
guidare, può solo servire; e non è molto esigente nello scegliere una guida.”
Ho apprezzato comunque il libro è la lettura, nonostante la
delusione iniziale e posso anche dirvi già da ora senza spoilerare nulla che
sarà praticamente impossibile raggiungere il personaggio cui tutti aspiriamo ma
che si può migliorare e diventare se non proprio identici, almeno simili.
Quindi consiglio il saggio? Sì, non solo agli amanti di
Sherlock ma a tutti, perché è un metodo di pensiero funzionale, che permette di
vivere anche più serenamente e con maggiore senso di autostima e auto
efficacia. Basta ricordarsi di non esagerare mai!
-Pearl
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