Buon venerdì a tutti.
Siamo tornati con il genere che più mi appassiona, ma questa
volta, novità delle novità, ci basiamo su un romanzo di una autrice italiana:
Paola Barbato.
La scelta di questo titolo è stata dettata come sempre dalla
semplice curiosità, non per la copertina stavolta, ma per il titolo stesso:
“Non ti faccio niente”.
Leggere la trama mi ha poi convinto e al mio
compleanno, grazie ad un regalo in formato tessera di non mi ricordo quale
marchio, sono riuscita ad acquistarlo. Ho cercato l’autrice online e ho
scoperto che in realtà è sempre stata molto attiva nell’ambito editoriale,
soprattutto come fumettista per la collana di Dylan Dog e grazie ad una serie
di racconti. È giovane e ha scritto anche altri romanzi ma di cui non ero a
conoscenza.
Sapete che ammetto a mani basse le mie lacune e in ambito
soprattutto italiano sono vaste, quindi mea culpa. Ad ogni modo questo thriller
narra la storia di ex bambini che nell’infanzia, tra i 4 e i 10 anni, furono
rapiti da un uomo che li teneva per due/tre giorni senza torcere loro un
capello, anzi, facendogli passare i tre giorni migliori della loro vita. Ora, a
distanza di anni, i figli di questi ex bambini cominciano a sparire e vengono
ritrovati morti. Da qui nasce la domanda principale: è lo stesso uomo? E perché
ora i bambini muoiono?
Come potrà sembrare ovvio non darò le risposte a queste domande qui nella
recensione. Troppo comodo, se volete saperlo andate a leggerlo!
Quello che vi dirò invece sono le impressioni generali
rispetto alla narrazione ed allo stile. Rileggendo i miei vari post lungo
questi anni mi sono accorta di essere particolarmente banale nella analisi, se
così vogliamo chiamarla, dello stile dell’autore di riferimento. Questo deriva
dal fatto che non ho studiato letteratura ma che mi diletto comunque nel
fornire opinioni sui libri. Mi sembra necessario dire qualcosa sullo stile ma
mi impegnerò a migliorare. Promesso.
Lo stile mi è sembrato molto simile a quello americano, e su
quello mi baso perché non ho mai letto thriller italiani quindi non posso dare
un’opinione al riguardo. Una delle prime cose che ho notato è la mancanza
dell’indice, quindi non avete modo di sapere quanti capitoli ci sono e a che
pagina si trovano, che per una ossessivo-compulsiva come me è un po’
destabilizzante. È stato inizialmente strano leggere un romanzo giallo con nomi
italiani e riferimenti di luoghi noti e magari anche già visti dal vivo. Ma ho
apprezzato e dopo i primi capitoli ci ho fatto l’abitudine.
Sempre legato allo stile, ho molto apprezzato la modalità
utilizzata dall’autrice di sovrapporre le parole scelte dai personaggi a
livello logico nei ragionamenti e quelle invece emotivamente interpretate dagli
stessi. Vi metto un esempio per essere più chiara perché mi rendo conto che
sembra essere una spiegazione alquanto aliena:
“[…] poteva evitare di rivedere
i bambini che aveva
salvato
rapito, poteva rifuggire le
immagini dei loro figli per
colpa
causa sua […]”
Trovo che sia una buona modalità visiva per spiegare i
pensieri che si alternano nella mente di una persona e di come rapidamente
queste riflessioni logiche siano invase dalle emozioni provate in un
determinato momento. Perché le emozioni sono talmente forti che è difficile
tenerle a freno se il coinvolgimento è molto elevato.
Ho poi notato e mi piacerebbe quindi sottolinearvi il
passaggio fondamentale e sottinteso nella spiegazione dei vecchi rapimenti che
ad un certo punto della narrazione avviene: è importante ansare a ricercare e a
comprendere le motivazioni alla base di un comportamento, per quanto assurdo
esso possa sembrare. Poi non è detto che automaticamente quel comportamento
diventi accettabile o venga considerato sotto una luce migliore, ma senza aver prima
ascoltato e capito si rischia di commettere gravi errori, dando per scontato
che la spiegazione che ci siamo costruiti sia quella reale. E di solito non è
così. Per un maggiore approfondimento al riguardo vi consiglio di leggere il
libro “Mastermind. Pensare come Sherlock Holmes”, che ho trovato molto
esaustivo e allo stesso tempo semplice nello spiegare come funziona il
ragionamento umano.
Tra le cose che non mi sono piaciute molto invece posso
dirvi già da ora, senza per questo spoilerare, che la trama è un po’
ingannevole. Ovvero, nella trama si cita un certo Remo, come uno dei bambini
rapiti negli anni ’80, e così è. Ma dalla trama sembrerebbe essere uno dei
protagonisti. Il suo ruolo invece, lasciate che ve lo dica, è marginale. È
semplicemente il punto di partenza per dare l’avvio alla trama. Non è in realtà
un vero problema ma all’inizio è stato un po’ destabilizzante.
Alcuni passaggi mi hanno lasciato con qualche dubbio, nel
senso che non li ho compresi appieno, probabilmente per la mia mancanza di
conoscenze rispetto al procedimento della polizia italiana. Mi ha lasciato
perplessa anche il finale perché non sono riuscita a capire se è il cosiddetto
finale aperto, o se sono io che non sono riuscita ad interpretarlo come un
lieto fine e basta. È giusto una frase che mi ha suscitato nello stesso momento
e con la medesima forza due alternative possibili.
Se qualcuno di voi l’ha letto potrebbe darmi la sua visione.
Sono disponibile ad un confronto.
Traendo le conclusioni, mi è piaciuto e sicuramente cercherò
di leggere altri thriller italiani, per lo meno per accrescere la mia cultura
in questo ambito.
Per oggi è tutto. Alla prossima!
-Pearl
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