Buongiorno popolo.
Anche questo venerdì recensione. Parleremo di un libro molto
apprezzato, o meglio, forse sarebbe il caso di dire che l’autore sembra avere
una grande risonanza nel panorama italiano: stiamo parlando di Alessandro
D’Avenia. Classe 1977, laureato in lettere classiche, oggi insegna come
professore.
Sul blog Liù ha già recensito il suo primo libro “Bianca
come il latte, rossa come il sangue”, oggi invece ci dedicheremo ad un saggio
uscito nel 2016: “L’arte di essere fragili – Come Leopardi può salvarti la
vita”.
L’interesse per questo libro è nato da due elementi
fondamentali: il primo riguarda il titolo, perché la fragilità è un elemento
che ho sempre apprezzato anche se raramente ho trovato nella società italiana
odierna il medesimo apprezzamento. Per questo l’avere trovato questo titolo,
opera di un professore di liceo giovane, con una grande risonanza tra i giovani
mi ha dato una qualche sorta di speranza. Il secondo motivo riguarda l’autore
in sé. Ho sentito infatti diversi pareri discordanti su di lui e sul suo modo
di scrivere, per cui mi sono detta “Perché non approfondire le ragioni che mi
hanno attratto verso questo libro comprandolo e leggendolo?”. Quindi questa è
la storia di come sono giunta in possesso di tale volume.
Un ultima premessa prima di passare a parlare del libro. Al
liceo che ho frequentato, indirizzo Scienze Sociali, non sono mai stata
particolarmente attiva o interessata. In parte perché la voglia di studiare mi
mancava, in parte perché probabilmente i professori che ho avuto non sono stati
particolarmente brillanti nel loro lavoro. Anzi alcuni avrebbero dovuto
decisamente fare altro nella vita. Ma voglio assumermi le mie responsabilità.
Per quanto leggere mi sia sempre piaciuto, la letteratura non è mai stata fonte
di interesse per me, quindi non ho mai studiato approfonditamente alcun autore,
quindi nemmeno Giacomo Leopardi. Alessandro D’Avenia non me ne voglia.
“L’arte di essere fragili” è un saggio, quindi non c’è nulla
da dire sui personaggi se non un accenno all’autore cui si fa riferimento per
tutte le circa 200 pagine. Leopardi è effettivamente uno dei maggiori poeti e
scrittori della storia della letteratura italiana, e non a torto visto che sono
certa tutti noi conosciamo almeno “L’Infinito”. E come D’Avenia sottolinea sono
altrettanto certa di aver ricevuto come profilo d’autore un’immagine
estremamente pessimista: Giacomo viene rappresentato come un eterno sfortunato,
con una salute precaria che ne ha condizionato la visione del mondo, rendendola
estremamente negativa. In questo saggio questo errato insegnamento viene
spiegato bene e in maniera approfondita, anche se attraverso una modalità un
po’ artificiosa per chi come me non ha fatto il classico. Perché dico questo?
Ho amici e parenti che hanno frequentato e che si sono
diplomati al liceo classico, ed effettivamente, tra di loro, essi parlano in
modo strano rispetto a noi poveri umani che abbiamo fatto un liceo qualsiasi.
Usano un vocabolario aulico, se così lo vogliamo definire, ed una
strutturazione della frase più complessa, anche se probabilmente più corretta.
Avendo Alessandro D’Avenia frequentato il liceo classico, e insegnando inoltre
lettere sempre in un liceo classico il suo stile risulta artificioso e un po’
pesante. Non è incomprensibile, anzi, però alcuni passaggi o alcune frasi sono
da rileggere per essere comprese al meglio. Mi rendo conto che la mia abitudine
a leggere libri scritti per un pubblico variegato, quindi con una scrittura
efficace ma semplice, ha contribuito alla difficoltà incontrata in alcuni
punti. Anche la mia ignoranza in termini di letteratura ha fatto la sua parte.
Per quanto riguarda invece la strutturazione del saggio,
questo si divide in quattro parti definite Adolescenza, Maturità, Riparazione e
Morire, ciascuna delle quali suddivisa in capitoli che seguono l’evoluzione
della vita di Leopardi. La parte più corposa è quella dell’adolescenza, anche
perché come professore forse è proprio agli adolescenti che l’autore si rivolge
principalmente. Al di là dello stile utilizzato che può essere sentito come più
o meno vicino alle proprie corde, i messaggi che vuole passare e che poi
effettivamente arrivano al lettore, sono bellissimi messaggi, che trovano in me
una piena condivisione, e che dovrebbero essere a mio parere condivisi da tutti
coloro che svolgono un ruolo formativo nei confronti degli adolescenti. Quindi
genitori, insegnanti e via discorrendo, fino alla società intera.
La fase dell’adolescenza è fondamentale, serve a individuare
e costruire la propria identità, la base su cui poi si baserà il resto della
propria vita, quindi lavorare a favore di una buona riuscita va a vantaggio di
tutta la società, non solo dell’adolescente in sé. Come si può ottenere un buon
risultato dunque? Insegnando e tranquillizzando gli adolescenti che la
fragilità non è un difetto, di cui vergognarsi o da nascondere, ma è una
qualità che va coltivata e che permette di andare oltre, di farsi delle
domande, di ragionare e di riuscire a vedere oltre la siepe, come è stato in
grado di fare Giacomo. La fragilità nella società non può e non deve essere
demonizzata, perché sopprimerla vorrebbe dire chiudersi dentro sé stessi e
sprecare così l’unica vita che abbiamo a nostra disposizione.
La fragilità, la curiosità, ci spingono ad andare oltre le
apparenze, a scoprire che in realtà Leopardi non è mai stato un pessimista, ma
le sue debolezze e la sua fragilità sono sempre state il motore che lo spingeva
a continuare a combattere, a rialzarsi ogni volta che la vita sembrava remargli
contro. Ma questo ve lo spiegherà approfonditamente D’Avenia se deciderete di
leggere questo saggio.
Aspetti positivi, sicuramente i messaggi che trasmette e mi
è piaciuta molto anche l’idea di strutturare i capitoli come se fossero delle
lettere dirette a Giacomo Leopardi in persona. L’aspetto negativo, per me, è
stata lo stile di scrittura, ma solo in alcuni paragrafi e probabilmente perché
ho una scarsa cultura letteraria.
Questo è tutto quello che avevo da dire su questo romanzo.
A presto con un nuovissimo libro.
-Pearl
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