Buongiorno.
Oggi parleremo un po’ di narrativa, di un libro che era
nella mia wish list da diverso tempo e che dopo due anni di attesa mi è stato
regalato al compleanno del 2019. Ora, non è che lo aspettassi con trepidazione,
ma era un libro la cui trama mi aveva affascinato e il desiderio di leggerlo è
sempre rimasto.
Sto parlando di “La distanza tra le stelle”, di Lily Brooks-Dalton che non è un libro di fantascienza ma di narrativa. L’autrice ha scritto questo come primo romanzo e non sono a conoscenza di altre opere successive.
Sto parlando di “La distanza tra le stelle”, di Lily Brooks-Dalton che non è un libro di fantascienza ma di narrativa. L’autrice ha scritto questo come primo romanzo e non sono a conoscenza di altre opere successive.
Senza averlo letto, cosa mi ha affascinato tanto di questo
libro? La solitudine. I protagonisti sono due, e le loro storie si intervallano
insieme ai capitoli del racconto. Lui, Augustine, anziano astrologo si trova da
solo nel nord del Canada, presso un osservatorio che è stato abbandonato dagli
scienziati quando i militari sono andati a prenderli per riportarli nel
cosiddetto “mondo civilizzato”. Lui rimane nonostante gli venga detto che
nessuno sarebbe più tornato a prenderlo. Lei, Sully, è un astronauta che ha
intrapreso il viaggio fino a Giove, ma nella fase del ritorno i contatti con la
base spaziale si interrompono senza quindi riuscire a ristabilire una
comunicazione. Nel silenzio assoluto, dello spazio e dei ghiacci, queste due
solitudini si incontreranno.
Questa premessa mi ha quindi incuriosito verso la vita di
queste due persone sole, per motivi diversi, che riescono a stabilire un
contatto e ad unire le loro solitudini.
La partenza però è stata decisamente negativa, perché mi ha
veramente dato l’impressione di una scrittura asettica, poco descrittiva. È
stato quindi difficile entrare nei panni dei personaggi, in particolare lui fin
da subito è stato per me poco convincente come personaggio.
Entrambi hanno rinunciato alla famiglia per una carriera
nello spazio o comunque legata all’astrologia ed entrambi sono risultati un po’
toppo concentrati su sé stessi. La carriera prima di tutto, la perdita della
persona amata, o almeno così viene descritta, e l’abbandono dei propri figli.
Uno ciascuno.
Con il procedere del racconto le descrizioni migliorano ma
ho decisamente letto di meglio. Non sono riuscita ad empatizzare con nessuno
dei due, forse un pochino più con lei ma
nemmeno troppo. L’autrice, a mio parere, cerca di fare trasparire la questione
della vocazione, ma in realtà tutto questo mi è sembrato una scusa per poter
abbandonare le proprie responsabilità. La sofferenza per l’abbandono della
prole infatti emerge solo quando i protagonisti cedono il passo alla
disperazione, prima non erano mai stati così preoccupati per i propri cari.
Anche se chiamarli cari è già troppo.
Non ho apprezzato dunque la scrittura, e nemmeno la trama,
anche se ci sono stati dei tentativi di colpi di scena che però, nice try,
erano chiari praticamente dall’inizio. Ma ne parliamo dopo nella parte spoiler.
L’idea che mi ero fatta nella lettura della trama era quindi sbagliata, magari
non al 100%, ma mi aspettavo una piega ben diversa.
Tirando le somme della parte no spoiler, non lo consiglio.
So che sembra ne stiano traendo un film, ma dovesse anche uscire non andrei a
vederlo. La delusione è stata abbastanza scottante.
Ora occorre però che vi ricordi, come ho scritto in alto,
che farò degli spoiler, quindi siete ancora in tempo per andarvene, da adesso
in poi parleremo di cosa esattamente non mi è piaciuto.
Prima di tutto dalla quarta di copertina non sembrava una
situazione così tragica come invece risulta già dalle prime pagine quando i
militari vanno a recuperare gli astrologi all’osservatorio. Sembra infatti ci
sia in atto una specie di guerra mondiale, si parla di armi nucleari, il
protagonista sceglie di restare, e quando tutti se ne sono andati, lui trova
una bambina. Ma sul serio, in Artide, in un osservatorio cosa ci fa una bambina
da sola? Lui dice: “qualcuno l’avrà dimenticata”, ma che stai dicendo? E già
qui il primo colpo di scena parte, perché è ovvio che quella bambina non esiste
ed è solo nella sua testa. Considerando poi che lui ha abbandonato sua figlia,
non l’ha mai vista e nemmeno cercata se non qualche anno per farle i regali ma
nulla di più, quella bambina non può essere altro che frutto della sua
fantasia.
Lei, dall’abstract, chiamiamolo così, sembra dispersa nello
spazio, e così è se non fosse che si trova con altre 5 persone oltre a lei,
perché c’è una squadra che si muove con lei, non è completamente sola. Quindi
deduco che le sua solitudine sia intesa come psicologica e non reale, dato che
ha i suoi compagni con sé. Anzi c’è anche una mezza storia sentimentale con il
comandante. Quello che preoccupa la protagonista femminile è la mancanza di
segnali da parte della Terra, su cui sembrerebbe non esistere più anima viva,
salvo Augustine, solo, nella neve. Non sto a raccontarvi tutto quello che
accade durante il viaggio, fatto sta che finalmente questo contatto arriva.
Arriva dopo la pagina 200, io non ce la facevo più a leggere, non vedevo l’ora
che finisse tutto quanto.
Altro colpo di scena spoilerato subito, o comunque molto in
fretta, è che Augustine è il padre di Sully, che è cresciuta senza il padre,
senza averlo mai visto e senza aver mai saputo il suo nome, e che ha
abbandonato sua figlia, praticamente come se fosse una questione genetica.
L’autrice ovviamente dice tutto questo alla fine del libro, ma noi lettori lo
avevamo capito da molte e molte pagine prima.
La conclusione non è chiarissima, perché lui sembra andare a
morire abbracciando un orso polare, e non sto scherzando. Lei arriva sulla
terra ma non fanno vedere cosa gli astronauti trovano, anche perché con
l’interruzione dei contatti la domanda era se ci fosse ancora qualcuno di vivo
sul pianeta.
Non è dato sapere. Sono riuscita a finire di leggerlo,
quindi non è che faccia proprio schifo, però a me non è piaciuto e non mi sento
di consigliarlo.
A presto, si spera, con un libro migliore!
-Pearl
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