Buongiorno a
tutti.
Il mio
compleanno è stato proprio all’inizio del lockdown, quando tutto, ma proprio
tutto si è fermato, quindi non ho potuto festeggiarlo né con la mia famiglia,
né con gli amici. Ora che però la vita ha ricominciato a scorrere pian piano
(con le dovute precauzioni, mi raccomando!) sono arrivati alcuni regali.
Per
questa occasione, infatti, lascio sempre una wishlist di libri nelle mani di
mia madre o di mio fratello, da cui chi vuole può attingere senza sbattersi per
trovare un’idea, diciamo “andando a colpo sicuro”. Grazie a quella lista ho
infatti ottenuto 10 dei libri che desideravo, e oggi vi parlo di uno di questi.
Ho scoperto
questo titolo per caso, quando ad un corso che sto frequentando abbiamo parlato
di case editrici e di editoria, e ci è stato fornito un elenco di case editrici
“nuove”, o comunque recenti, non storiche, da cui abbiamo dovuto sviluppare un
approfondimento. La scelta che ho fatto io è stata proprio selezionare la
Effequ, casa editrice toscana, di cui avevo acquistato tre libri, tra cui “No.
Del rifiuto, di come si subisce e di come si agisce e del suo essere un
problema essenzialmente maschile.” di Lorenzo Gasparrini, a cui sicuramente
farò un commento anche se sono in attesa, perché mi piacerebbe molto prima
leggere altri suoi libri, che sono nella wishlist. Accanto a questo mi è stato
regalato “Femminili singolari” di Vera Gheno. A parte che adoro le copertine di
questa collana “Saggi Pop”, tutte nere con le scritte colorate, l’argomento è
molto sentito; si parla infatti delle declinazioni femminili singolari delle
professioni.
Essendo l’autrice
una linguista ho trovato illuminante alcune sue argomentazioni. Faccio un mea
culpa, e ammetto che spesso mi sento una Grammar nazi, anche se in realtà non
sono affatto un’esperta, anzi da vera pivella spesso mi faccio traviare nella
scelta dell’utilizzo di termini o di tempi verbali dal come suonano al mio
orecchio. Scelgo spesso infatti il termine che “mi suona meglio”, ma come viene
spiegato molto bene in questo libro non è il suono a rendere corretta una
parola. Forse in questo veniamo tratti in inganno dalla credenza e dalla
convinzione così radicata della lingua italiana come molto melodica. Vera Gheno
però ci porta alcuni esempi di termini che sono musicalmente non armoniosi e
che comunque ci troviamo ad utilizzare per necessità. Ricorda inoltre, e questo
è un punto fondamentale, che la lingua è il modo che le persone usano per
comunicare, e diversamente dalla matematica non è una scienza esatta. Come le
persone cambiano e si modificano, lo stesso fa la lingua che esse parlano.
Parallelamente,
il libro tratta la problematica culturale dell’accettazione dell’introduzione
di nuovi termini nel dizionario (che come l’autrice ricorda, non è deciso
dall’Accademia della Crusca o dai vari Zingarelli, Treccani ecc. ma
dall’utilizzo più o meno massiccio che di quei termini fa la popolazione). Tra
questi termini ce ne sono alcuni che passano sotto silenzio, senza particolari
dispute o discussioni, altri invece scatenano delle vere e proprie battaglie,
ed è il caso dei femminili singolari.
Premetto che
tutto ciò che ho letto in questo libro è stato una novità, quindi non sapevo
che i termini “dottoressa”, “contessa” e via dicendo facessero originariamente
riferimento, non ad una qualifica professionale, ma all’essere moglie di un
dottore o un conte o altro. Anche per questo si cerca oggi di declinare al
femminile i termini che sono nuovi, e che fanno riferimento a professioni fino
a non molto tempo fa inaccessibili alle donne, senza l’utilizzo del suffisso,
come avvocata, sindaca, ministra ecc.
Molte
persone, e io mi inserisco ahimè tra queste, hanno sempre rifiutato questi
termini per una questione di suono, e tantissimi le rifiutano ancora. Leggere
questo libro però mi ha fatto riflettere ed effettivamente questa sembra più
che altro una scusa: l’assonanza o il “suonare bene” è dato anche
dall’abitudine all’utilizzo e all’ascolto di quel termine. Diversi commenti che
l’autrice riporta nel libro citano per argomentare l’astio nei confronti del
termine “ministra” l’assonanza con “minestra” (che di per sé non centra
niente), ma il termine “minestra” somiglia molto anche alla parola “maestra”,
nessuno però ha mai avuto problemi nel chiamare così le insegnanti dei propri
figli. Il termine maestra infatti è in uso da un tempo molto più lungo.
Mi duole
ammettere che molte resistenze nell’utilizzo dei femminili singolari vengono
proprio dalle donne, che spesso sostengono che l’uso di questi termini sia una
sciocchezza rispetto invece ad altre problematiche più grandi ed importanti, ma
è anche vero che bisogna partire dalle piccole cose, per cambiare quelle più
grandi. Quando in una relazione ci sono dei problemi, spesso la prima
difficoltà riportata è l’essere dati per scontati, quindi il non ricevere le
piccole attenzioni dell’altro (sto un po’ banalizzando per far passare il
concetto, perdonatemi). Il cambiamento non può avvenire radicalmente, e tutti
noi dovremmo esserne consapevoli, e per questo è importante chiamare le cose
con il loro nome. Potrebbe essere esemplificativa la metafora della rana
nell’acqua bollente: se si butta una rana in una pentola d’acqua che bolle,
quella salterà via, ma se questa venisse immersa nell’acqua fredda, che pian
piano si scalda fino al bollore, non si renderebbe nemmeno conto del
cambiamento di temperatura.
Non partire
dall’uso di questi termini potrebbe significare non partire affatto. Certo che
è giusto battersi per le problematiche più grandi, ed è su quelle che
probabilmente bisogna martellare con gli adulti, ma introdurre questi termini
nell’uso quotidiano farà sì che suonino familiari almeno alle generazioni
future, per cui probabilmente a loro non suonerà affatto strano sentire
chiamare in causa l’avvocata, la sindaca eccetera. Di conseguenza non dovrebbe
essere un problema per le donne l’accesso a quella professione.
Trovo inoltre
degno di nota che l’introduzione di termini maschili per professioni
inizialmente considerate esclusivamente femminili sia invece passata sotto
silenzio (vedi ad esempio “infermiere”).
Ma non
voglio togliervi il piacere di leggere direttamente dalle parole di Vera Gheno,
linguista, l’argomentazione alla base dell’utilizzo o meno dei femminili
singolari.
A presto.
-Pearl
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