Buongiorno e ben tornati sul blog! Ritorniamo dopo le vacanze (che non abbiamo fatto perché è un anno infernale, considerate solo che Liù ha studiato e lavorato per tutto il mese di agosto, ed io le ferie ancora non le ho fatte e non sono stata a casa nemmeno durante il lockdown) con nuovi libri e nuovi argomenti.
Oggi parleremo di un libro che mi è stato prestato: non l’ho
acquistato, non l’ho preso in prestito in biblioteca, non sapevo nemmeno della
sua esistenza. Semplicemente chi me lo ha prestato voleva un mio parere al
riguardo, quindi l’ho letto, ed ora ve ne parlo un po’. Vostro malgrado, forse.
Questo romanzo è la prima pubblicazione di Carlotta Amerio, ho cercato
informazioni riguardanti la scrittrice ma non ho trovato nulla, probabilmente
perché non aveva mai scritto nulla prima del 2019, anno di pubblicazione di
questo libro.
Il titolo è “Al limite del sogno” e la trama racconta la
storia di Giulia, una ragazza che studia arte e del suo contatto con la droga,
in particolare con l’eroina, che avviene a causa di una serie di incubi, che
improvvisamente inizia a fare tutte le notti e che la turbano profondamente. Questo
iniziale approccio con la droga, mediato da un amico, la spingerà sempre più
verso il baratro, perché per sfuggire ai suoi incubi metterà a rischio ciò che
di bello aveva nella propria vita.
Non c’è molto altro da dire, perché questo è lo scheletro
del romanzo, ci sono in mezzo un fidanzato, il migliore amico e qualche altro
personaggio, fra cui l’amico che le farà provare per la prima volta la droga,
ma fondamentalmente tutto gira attorno a lei.
Per quanto riguarda la scrittura l’ho trovata poco
coinvolgente, infatti inizialmente ho fato molta fatica a proseguire la lettura
perché non stimolava in me nessun tipo di curiosità. Le descrizioni sono poche
e solo a metà del romanzo, quando inizia a fare uso di sostanze stupefacenti
comincia a diventare interessante, o quantomeno il lettore percepisce un minimo
di curiosità su dove questi comportamenti la porteranno.
Il tema della tossicodipendenza è complicato, spinoso, senza
le dovute conoscenze si rischia davvero di prendere sotto gamba l’argomento e
parlarne con una eccessiva superficialità. Ora, io non sono un’esperta, anzi,
salvo quello che si studia sulle dipendenze in riferimento al DSM, non ho avuto
esperienze personali o lavorative dirette con chi soffre di queste
problematiche. È anche un tema che non sento particolarmente vicino, faccio
infatti molta fatica ad empatizzare con le persone che sviluppano una
dipendenza, qualunque essa sia. Dall’alcool, alla droga, ai videogiochi, al
gioco d’azzardo. Certo, questo è un romanzo e non un saggio, quindi non ci si
può aspettare una spiegazione dettagliata dal punto di vista fisico e
psicologico, però il modo in cui l’autrice ha trattato tutta la trama mi è
sembrato molto superficiale.
Nella quarta di copertina viene riportato che l’autrice ha
svolto molte ricerche sui “mondi sommersi”, e anche se non viene specificato a
cosa si fa riferimento, ho immaginato che ciò riguardasse i sogni e il fatto
che Freud li definisse “la via regia per l’inconscio”. Questo è stato
sicuramente l’aspetto più interessante,
o meglio, lo sarebbe stato se ci fosse stato un approfondimento. Io non voglio
assolutamente dire che l’autrice non si sia informata su queste tematiche, però
queste ricerche non emergono affatto all’interno del romanzo. L’approfondimento
psicologico ed emotivo della protagonista è praticamente nullo, i sogni che fa
non vengono descritti, ma soprattutto non c’è nessun evento scatenante. Viene
semplicemente riportato che la protagonista, improvvisamente, inizia a fare
degli incubi, senza che ne venga specificato il contenuto, viene semplicemente
detto che c’è del sangue e che sono violenti, e questo la manda completamente
in tilt. Più avanti, alcuni di questi incubi verranno riportati, ma senza
nessun evento scatenante e senza un approfondimento introspettivo non hanno
alcun senso. Il lettore è portato a chiedersi come mai questi sogni la
terrorizzino e come mai lei non cerchi delle soluzioni più razionali.
Poi all’improvviso viene snocciolata una spiegazione che,
onestamente, sembra buttata lì senza motivo, come se l’autrice alla fine del
romanzo abbia pensato di rendere il tutto più tragico, ponendo una motivazione
sì drammatica, ma abbandonata a sé stessa. Nessuna spiegazione psicologica,
nessun approfondimento rispetto alle emozioni della protagonista per questi
eventi dell’infanzia e nemmeno nessuna spiegazione successiva che aiuti il
lettore a ricomporre il puzzle. Il nulla. Questo è, a mio avviso, inaccettabile
quando vuoi trattare delle tematiche di questo tipo, considerate tabù e che
creano un grande dibattito attorno a sé.
Mi è sembrata una banalizzazione della problematica, la
protagonista risulta una persona immatura e menefreghista, che prende tutte le
questioni sotto gamba, è portata all’autocommiserazione e sempre alla scelta
della via più facile. E questo ci può stare, perché spesso le persone che
cadono in questa dinamica sono fatte in questo modo, ma se tu cerchi di portare
il lettore a sviluppare empatia per lei, non dare nessuna spiegazione ad
alcunché è la scelta sbagliata, a mio parere.
Quindi non vi consiglio di leggere questo libro, sono sicura
che esistano altri libri che parlano di tossicodipendenza molto meglio di
questo, uno fra tutti “I ragazzi dello zoo di Berlino”.
Per oggi è tutto. A presto!
-Pearl
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