Buongiorno!
Scusate
il ritardo di questa settimana, ma ieri è stata una giornata molto intensa e
sono riuscita a pubblicare solo oggi.
Non
posso credere che questo giorno sia arrivato: il giorno in cui qui sul blog
parlo di Sherlock Holmes. Non sono convinta al 100% di volerlo fare, perché
credo che non sarò soddisfatta di quello che scriverò e che tralascerò. Ma
visto che questo tema è uno dei miei preferiti ed io ho dei tratti
ossessivo-compulsivi neanche troppo nascosti credo che potrei anche morire
attaccata alla tastiera nel tentativo di scrivere il post perfetto.
Comincio
dicendo che ho letto tutti i racconti ed i romanzi che Doyle ha scritto con
Sherlock Holmes e John Watson protagonisti perché mi è stato regalato il
famosissimo Mammut dell’autore edito dalla Newton. Appunto rapido su queste
edizioni: belle da vedere, ma scomode da leggere! Un volume di 1240 pagine è
scomodo da portarsi in viaggio e pure a casa, perché nessuna posizione vi farà
sentire a vostro agio.
Arthur
Conan Doyle nasce ad Edimburgo nel 1859 ed è noto soprattutto per i racconti di
Sherlock Holmes, l’investigatore più famoso del mondo che ha dato il via al
genere denominato giallo deduttivo, che prende il nome dalla tecnica utilizzata
dal protagonista. Era laureato in medicina e chirurgia, ed inizia infatti a
lavorare come medico, ma il mestiere non va molto bene e a causa di alcune
problematiche decide di aprire un suo studio e, dato che aveva del tempo
libero, si dedicò alla stesura di “Uno studio in rosso”. Da lì cominciò la
scalata verso la fama, infatti la seconda opera “Il segno dei quattro” fu un
grande successo di pubblico.
Non
credo ci sia bisogno di presentarlo, ma l’investigatore utilizza il metodo
della deduzione per risolvere i casi che gli vengono presentati dalla polizia e
da Lestrade o da privati cittadini che richiedono i suoi servizi. Spesso egli
accetta questi incarichi per rompere la noia e per diletto personale. Tutto
viene raccontato in prima persona dal dottor John Watson, amico fidato
dell’investigatore e suo coinquilino.
Oltre
a questi romanzi e racconti, Doyle scrisse veramente molto, e avrebbe voluto
concludere la sua esperienza con Holmes, tentò dunque di ucciderlo per
liberarsene, ma il pubblico insorse e fu costretto a farlo tornare. Fu autore
di opere fantastiche, di avventura, mediche e anche storiche nonché di
spiritismo. Tra le sue opere più diffuse, dopo Sherlock, c’è “Il mondo
perduto”, che ho in casa e che sicuramente leggerò, così potrò parlarvene.
L’autore
non ha mai nascosto di essersi ispirato al personaggio di Edgar Allan Poe,
Auguste Dupin, le somiglianze con Sherlock Holmes sono infatti molte, e non
solo il personaggio dello scrittore americano è stato utilizzato come spunto.
Infatti ci sono alcuni passaggi dei racconti di Poe che vengono ripresi in
alcuni racconti di Doyle. Ad esempio, ne “Lo scarabeo d’oro” Dupin è alla
ricerca di un tesoro e per trovarlo ha a disposizione un messaggio in codice
che riesce a decifrare con grande acume. Nel racconto “L’avventura degli omini
danzanti” Sherlock utilizzerà lo stesso identico ragionamento per decifrare un
messaggio in codice. Il codice ed il messaggio sono differenti nelle storie, ma
entrambi partono dalla struttura della lingua inglese, individuando sulla base
della struttura del codice la possibile traduzione. Questo però non è l’unico
riferimento.
Una
delle differenze tra i due autori è sicuramente lo stile, più ottocentesco e
complesso quello di Edgar Allan Poe, che procede con passo lento e si dedica a
descrizioni fin nel minimo dettaglio, anche per descrivere qualcosa che non ha
un ruolo nella trama. Scrive per l’estetica e in modo ricercato oltre che per
lo sviluppo della storia. Doyle invece procede in modo più rapido, con uno
stile più moderno, raccontando i dettagli necessari per la storia ma senza
perdersi in descrizioni di pagine e pagine. Questo stile più incalzante rende i
racconti più scorrevoli e più piacevoli da leggere perché riescono a tenere
l’attenzione sulla trama quel tanto che basta per continuare a leggere ma allo
stesso tempo questa attenzione impedisce di individuare i dettagli necessari ed
alla fine Sherlock rivela tutto come per magia. Così i puntini nella nostra
mente si collegano a formare il quadro completo.
Sherlock
Holmes però, nonostante sia nato dalle ceneri di Auguste Dupin resta il
personaggio più amato e questo amore se lo merita veramente tutto. Sono nati
film e serie TV a lui dedicati, in particolare negli ultimi anni. Infatti mi
piacerebbe parlarvi anche di quelli, ma il post sarebbe poi infinito. Mi limito
a citarvi Elementary che, nonostante abbia un po’ stravolto la storia (Watson è
interpretato da Lucy Liu), ho trovato adorabile!
Ad
ogni modo nella mia tappa a Londra ho posto un unico veto: visitare il museo di
Sherlock, certo potreste chiedervi perché non lo Shakespeare Globe, per
esempio? Il mio cuore resta sul giallo!
Così,
in un sabato mattina di pioggia ho preso la metropolitana fino alla fermata di
Baker street e accompagnata dalla mia dolce metà ci siamo fatti un’ora di coda
con l’ombrello in mano, in attesa di poter entrare. Nota positiva: abbiamo
sostato per più di mezz’ora davanti alle vetrine del negozio dedicato ai Beatles!
Per chi se lo stesse chiedendo, il museo è disposto su tre piani e mezzo e si
trova al 221B di Baker street, ovviamente, l’indirizzo di residenza
dell’investigatore. Egli però non è mai esistito se non nella mente di Doyle o
nei nostri cuori, quindi tutto quello che si vede è una fedele ricostruzione di
quello che lo scrittore ci fa scoprire di volta in volta e di racconto in
racconto rispetto alla casa in cui il protagonista avrebbe vissuto. Appena
entrati c’è un corridoio con delle scale che portano al primo piano in cui si
trovano due piccole stanze, il salotto con il camino, il tavolo per il pranzo
e, non da meno, il tavolino degli alcolici, e la camera da letto di Holmes.
Ancora un piano sopra ci sarebbero la stanza di Watson e quella della signora
Hudson, la padrona di casa. Queste però non sono arredate come le vere stanze,
anzi contengono vari oggetti che richiamano i racconti e le prove che Sherlock
Holmes trova in essi. Vi lascio un paio di foto come esempio.
Sono poi esposti
oggetti che sarebbero appartenuti alla donna e oggetti che erano invece del
dottore. Al terzo piano sono state invece inserite delle rappresentazioni fatte
con la cera di alcuni personaggi dei racconti di Watson, in particolare ci sono
le statue dei due protagonisti e di Moriarty, l’acerrimo nemico.
C’è
infine un mezzo piano, che chiamo mezzo semplicemente perché invece di una
rampa di scale per poterlo raggiungere ne richiede solo la metà ed è il bagno.
Un unico bagno, su tre piani per tre persone. Una volta vivevano comodi…
Comunque
il museo è adorabile, fatto bene, verrete accolti al primo piano da una guida,
vestita come all’epoca che vi racconterà alcune brevi cose sull’ambientazione e
su Sherlock e poi potrete girare liberi dove vorrete. Tenete conto del fatto
che è piccolo e quindi entrano 10/15 persone alla volta, quindi non avrete
tutto il tempo che vorrete, ma sarà sufficiente. Il biglietto per entrare si
acquista al negozio accanto all’ingresso, che contiene oggetti e souvenir un
po’ pacchiani ma soprattutto ha libri e raccolte di Sherlock molto belle e
gadget veramente interessanti. I prezzi vi faranno tentennare parecchio, ma
guardare non costa nulla, quindi io mi sono praticamente limitata solo a quello
per poi ripiegare su una tazza fantastica che in realtà fa più riferimento al
telefilm “Sherlock” che non al libro ma ci accontentiamo. Comprate il biglietto
prima di mettervi in fila altrimenti vi toccherà rifarla. Vi lascio anche una
foto del biglietto, particolare e potete scegliere la lingua: noi eravamo in
due e ne abbiamo presi uno in inglese e uno in italiano.
Questo
post è già bello lungo e anche se potrei scrivere ancora molto non voglio
tirarla per le lunghe o annoiarvi fino alla morte, quindi io mi fermerei qui.
A
presto!
-Pearl
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