Buongiorno a tutti.
Oggi finalmente torniamo a parlare di fantasy, che ormai da
parecchio tempo non trattavamo. Vi basti pensare che su più di 100 post, quelli
dedicati al genere del fantasy l’ultimo post risale a luglio 2017, con “Stelle
cadenti” di Terry Pratchett. Certo, tra i lettori che ci seguono e che sono più
attenti ci sarà qualcuno che ha notato una recensione dedicata a “Le cronache
di Narnia”, uscita recentemente, ma è stata classificata sotto la Letteratura
per ragazzi.
Nonostante anche il titolo di oggi potrebbe ricadere in
entrambe le etichette, lo legheremo al fantasy, e la motivazione sarà esposta
più avanti.
Riveliamo quindi questo titolo così misterioso, del 1979,
dello scrittore Michael Ende che risuona ancora nelle giovani menti che hanno
vissuto gli anni ’80, e qualcuno anche i ’90: “La storia infinita”.
La trama narra la storia di un ragazzo, Bastiano Baldassarre
Bucci, che un giorno, fuggendo dai compagni di classe che lo perseguitano, si
ritrova in una libreria da cui prende un libro che aveva attirato la sua
attenzione. Ruba così il romanzo e si rinchiude nella soffitta della scuola a
leggerlo, con l’intento di restare lì per sempre a causa della vergogna che
prova per aver rubato. La lettura di questo libro lo porterà in un mondo
fantastico di nome Fantàsia, in cui oltre a vivere diverse avventure lo porterà
a crescere.
Devo essere sincera e ammettere che non ero particolarmente
entusiasta di iniziare la lettura, perché questo è quello che mi succede sempre
quando vedo un film e poi scopro che in realtà è stato tratto da un libro.
Infatti se posso scegliere leggo sempre prima il libro. Il film lo ricordo solo
vagamente in quanto l’ho visto quando ero piccola, fine anni 90 circa, e ne
conservo quindi solo tre ricordi. In aggiunta è un libro di 500 pagine e la
cosa mi aveva scoraggiato parecchio. Però su consiglio di mio fratello, che già
lo aveva cominciato, ho deciso di fare questo fioretto e leggerlo.
Prima di entrare nel vivo della discussione, che di cose da
dire ne ho tante, vorrei fare un appello a tutti voi lettori, giovani e adulti.
L’edizione che ho, perché acquistata presso un mercatino dell’usato e poi
giunta fino a noi, apparteneva ad una biblioteca. Ciò significa che,
probabilmente, non è mai stato restituito e questo non si fa. Assicuro a tutti
che non restituire i libri alla biblioteca è esattamente come rubare. La magia
delle biblioteche di tutto il mondo è che si possono avere a disposizione tutti
i libri possibili ed immaginabili “gratis” per un periodo di tempo limitato.
Metto gratis tra le virgolette perché il pagamento non è in denaro ma in
rispetto, del libro che si prende in prestito e delle persone che lo leggeranno
dopo di noi. Quindi MAI rubare i libri alla biblioteca! Mi raccomando non
fatelo.
Ora che ho fatto la mia predica posso continuare. Questa
edizione è la Quindicesima, pubblicata nel 1981 e la ritengo veramente
bellissima. Infatti rispecchia perfettamente la descrizione del libro che viene
fatta all’interno del romanzo.
La copertina è rosso scuro, nel libro è definita
color rubino scuro e presenta la stessa caratteristica: alla luce, muovendola,
rivela il titolo ed il disegno di un ovale formato da due serpenti che si
mordono la coda.
Di cose da dire ne avrei talmente tante che non so nemmeno
da dove iniziare. Ecco, forse spiegherei perché ho inserito questo romanzo
sotto il genere fantasy e non letteratura per ragazzi: il fantasy è per tutti,
e può essere letto da ragazzi ma anche da persone più mature. In questa trama
ho trovato tantissimi riferimenti alla crescita e tantissimi messaggi molto
belli e molto calzanti che ho capito perché ho 28 anni. Se ne avessi avuti 13 o
15 probabilmente lo avrei trovato un bel libro, originale.
Sempre in riferimento al fantasy, in questa opera viene
sottolineato e traspare dalle sue pagine come esso sia un genere che tende a
non piacere troppo agli adulti, a causa di questa nota fantastica,
dell’immaginazione di mondi impossibili o improbabili, di creature strane che
non rispondono a regole scientifiche. Gli adulti si sentono stupidi a stare al
gioco, se così si può dire, ma credo che in realtà si sentirebbero più liberi
se si lasciassero andare e si concedessero di inventare qualcosa che esca dagli
schemi, che rompa la routine e crei un po’ di sconquasso. Collegato a questo discorso
ho trovato il capitolo 9, in cui Atreiu, l’eroe di Fantàsia, si trova a parlare
con un lupo mannaro in catene e dal loro dialogo emerge proprio questo: la
negazione della fantasia da parte degli adulti. Quindi la fantasia sembra
essere positiva in dosi equilibrate, in quanto se viene negata essa muore, se
invece prende il sopravvento può portare alla pazzia o al distacco dalla
realtà.
In una fascia invece più equilibrata la fantasia può essere
un rifugio, può condurre e accompagnare verso la crescita interiore e,
soprattutto, è dentro ognuno di noi. Ho trovato Fantàsia come un’ottima
metafora per il proprio Io interiore, come se fosse la propria psiche, che si
evolve sulla base delle esperienze che vive. Trovo sia un ottimo modo di
parlare ai ragazzi di quello che avviene dentro di loro mentre passano
l’adolescenza: gli errori si fanno, anche con le migliori intenzioni, i
desideri non sono sempre buoni, ma si può rimediare se lo si vuole davvero. Il
cambiamento è infatti un altro grande tema che il protagonista deve affrontare.
Viene detto che se c’è passato, c’è futuro, e finchè si fa tesoro del proprio
vissuto si potrà cambiare. Anche se il vero cambiamento arriva lentamente,
quindi non bisogna avere fretta. Inoltre il cambiamento fondamentale, che è la
chiave della crescita, è il cambiamento di sé stessi. Non degli altri o
dell’ambiente circostante, ma sé stessi.
E sempre legato a questo tema si parla anche, quindi dello
sviluppo dell’identità del singolo e l’importanza del gruppo. Ora, vista la lunghezza
che il post sta raggiungendo già adesso, preferisco non dilungarmi troppo e concentrarmi
invece su altri tre messaggi.
Il primo riguarda l’offerta di un modello, e considerato che
i principali destinatari di questo libro sono i ragazzi lo trovo un tema
fondamentale. Atreiu, l’eroe della favola, è il modello a cui aspirare,
rappresenta tutte le qualità che ogni bambino/ragazzo vorrebbe avere, ed è un
modello giusto, buono, coraggioso. Bastiano, invece, rappresenta quello che i
ragazzi sono nella realtà, insicuri, alla ricerca di sé stessi, magari sanno
cosa è giusto fare ma a volte è più comodo non farlo. Bastiano siamo noi con i
nostri difetti, Atreiu è un personaggio di Fantàsia. In termini un po’ più
psicologici potremmo definirli come il Sé Reale ed il Sé Ideale, quello che
siamo e quello che vorremmo essere. Se il secondo viene mantenuto come
possibile arrivo, il primo cercherà di raggiungerlo migliorando sempre di più.
Il secondo messaggio invece è un po’ più nascosto, e lo si
ritrova quando la strada e conseguentemente la storia dei protagonisti si
separa da quella degli altri personaggi. Qui viene sempre inserita una frase
che dice circa “Ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra
volta”. La trovo molto positiva perché dà la giusta importanza ad entrambe le
storie, quella del protagonista e quella del personaggio secondario. Separarsi
da Atreiu, per esempio, non comporta la fine della propria storia, questa
continuerà ed ha una sua importanza, ma questo non è il luogo né il tempo di
raccontarla. Gli altri personaggi sono andati avanti con le loro vite, sono
stati utili e protagonisti della loro personale esistenza. Ognuno ha il suo
spazio e la sua storia, diversa da quella degli altri, ma non per questo meno
importante, eroica, divertente o altro.
Da questo secondo messaggio ne deriva il terzo, ovvero
l’importanza di dare un nome alle cose. La caratteristica degli esseri umani in
questo libro è la capacità di inventare, e per Fantàsia è fondamentale perché
solo attribuendo un nome alle cose esse esistono davvero. Questo vale anche nel
nostro mondo: dare un nome a qualcosa la rende reale, ad esempio, dare un nome
all’emozione che si prova, sia essa rabbia o felicità, ci permette di
riconoscerla ed accettarla. Una volta ricevuto un nome proprio, si può lavorare
su altro, ma se il nome manca il problema resterà per lo più circoscritto.
Faccio un esempio per rendere bene il concetto. Una ragazza adolescente è
arrabbiata con il fidanzato perché passa secondo lei troppo tempo con gli amici,
ma alla domanda degli altri “Cosa hai?” risponde solo “Niente”, o “Sono
stanca”, perché percepisce il suo malessere ma non lo chiama con il suo nome.
Ammettere invece di provare rabbia nei confronti del ragazzo le permette di
ragionare sulle motivazioni e sulle possibili soluzioni. Mi rendo conto che
forse questa spiegazione è un po’ tirata, ma dare un nome alle cose è
fondamentale e bisogna sempre ricordarselo.
Infine, so che avevo parlato di tre messaggi, ma ce n’è un
quarto: Vedere tutti i propri bisogni soddisfatti è pericoloso, soprattutto
quando a esprimerli è un bambino, che non si rende veramente conto di cosa a
bisogno. Sta ai genitori e alle figure di riferimento adulte aiutarlo a
discernere quali desideri soddisfare e quali no. Qui si aprirebbe una parentesi
sull’educazione veramente troppo ampia e complessa da trattare, ma se
sceglierete di leggere questo libro e vorrete condividere con noi i vostri
pensieri al riguardo, noi siamo aperte al dialogo!
Mi sono dilungata anche troppo questa volta!
Buon weekend e, se ne avete la possibilità, leggete “La
storia infinita”, che rappresenta bene la letteratura per ragazzi che vale la
pena leggere.
-Pearl
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