Buongiorno.
Nuovo appuntamento con la narrativa, anche se mi piace
chiamarla letteratura giapponese così, perché Yoshimoto sa tanto di Giappone. Ebbene
sì, quest’oggi ci diletteremo con nome di una delle autrici più conosciute al
mondo, e per farvi capire quanto sia famosa vi dico che io la conoscevo già.
Purtroppo nella mia grande ignoranza letteraria rientra anche tutta la
letteratura orientale, ma devo ammettere che il blog mi sta aiutando parecchio.
Infatti nel tentativo di offrire libri diversi e sempre nuovi sto ampliando
molto la mia cultura. Comunque, forse questo modo di schematizzare i post in base al genere ci sta creando più problemi di quanti avevamo preventivato.
Tornando però al tema del giorno, la scrittrice di oggi è,
indovinate un po’, Banana Yoshimoto, che
ha scelto uno pseudonimo piuttosto divertente, che mette il sorriso, almeno a
me, e questo sembra anche essere calzante al resto della recensione, ma mi
spiegherò meglio più avanti. L’autrice nasce nel 1964 a Tokyo e ha vinto
diversi premi. Il titolo del libro lo potrete intuire se avete letto l’ultimo
Book Haul, ed è “Il corpo sa tutto”, una raccolta di racconti sul dolore e
tutte le sue sfumature. Ogni capitolo infatti contiene una trama differente,
con personaggi diversi, che non si collegano tra loro e che provano diverse
tipologie di dolore. Tra gli argomenti troviamo la tristezza, la rassegnazione,
la solitudine, la melanconia. Tutti elementi ed emozioni che possono portare a
provare dolore.
Non ho molto da dire dal punto di vista dei personaggi,
anche perché essendo un libricino di nemmeno 140 pagine, composto da racconti
di poche pagine ciascuno, questi non vengono approfonditi. Questo però non è
affatto un problema, perché il focus non sono i protagonisti.
Il dolore dunque la fa da padrone ed è lui ad essere
approfondito sotto diversi aspetti. Le cause di questo sentimento dentro i
personaggi sono varie e vanno dalla morte di una persona cara, alla fine di un
amore, ad un rapimento, al tradimento ma anche alla separazione da una parte
del proprio corpo. Sono 13 capitoli, quindi 13 racconti. Alcuni hanno trattato
lo stesso tema ma sotto punti di vista diversi, tanto da poter essere
considerati quasi come temi differenti.
Una nota sullo stile utilizzato: la sua scrittura mi ha dato
l’impressione di essere semplice ma estremamente efficace. È una semplicità che
non sa di banale, ma di godibile e fruibile da chiunque. Non so se sia il suo
stile di sempre o se sia il caso di questo libro ad essere a sé stante, fatto
sta che l’autrice riesce a far percepire al lettore il dolore del protagonista
senza però essere troppo invadente e senza creare un senso di pesantezza.
Questo è un aspetto che apprezzo molto perché, diversamente dal libro che ho
letto di Natsume Soseki, è decisamente più scorrevole e meno prolisso. Sono due
stili di scrittura diversi, forse quello di Banana Yoshimoto è un po’ più
occidentale, e infatti si è molto ispirata a Stephen King, mentre l’altro
mantiene le caratteristiche tipiche della letteratura giapponese. O magari no.
Fatto sta che questo libro non mi ha fatto addormentare e
sono riuscita a terminarlo in un tempo molto breve. Ma passiamo a ciò che più
mi ha fatto apprezzare il libro e che spiega meglio quello che ho anticipato
nelle prime righe in riferimento al suo nome. La parte migliore e che mi ha
colpito di più, è che nonostante l’argomento trattato sia tendenzialmente
triste e pesante, l’autrice è riuscita a trovare il risvolto positivo e
ottimista all’interno di ogni singolo racconto. Quindi il focus è sì sul
dolore, perché il racconto è quasi completamente assorbito da esso, ma nelle
ultime due pagine circa riesce a individuare la luce positiva che si trova in
fondo al tunnel e a ridare speranza al lettore, e a volte anche al
protagonista. La ritengo una grande capacità, soprattutto rispetto a questo
tema.
Quando si è tristi e/o si prova dolore, una delle cose più
difficili è riuscire a ragionare e ribaltare la situazione cogliendo gli
aspetti comici o i risvolti positivi di quella che fino a poco tempo prima era
solo un momento/evento triste e doloroso. Lei riesce a farlo in un modo molto
bello e ancora una volta semplice. Da un lato forse lo fa sembrare un po’
troppo semplice, ma chi lo sa, magari basta solo esercitarsi e crederci per
imparare ad utilizzare questo metodo.
Parlo da completa inesperta e da pessimista cronica. La mia
filosofia è sempre prepararsi al peggio e poi, eventualmente, tirare un sospiro
di sollievo. Però mi rendo anche conto che questa visione è molto stressante,
sia a livello psicologico che a livello fisico, e che imparare ad avere una
visione un po’ più ottimista potrebbe farmi molto bene.
I racconti li ho apprezzati tutti, quello che però mi ha
entusiasmato meno è il quinto, ovvero Il
Signor Tadokoro, forse perché il suo personaggio non mi ispira la bontà che
dovrebbe secondo l’autrice, ma mi irrita abbastanza. Questa sopportazione di
qualsiasi evento, azione o altro mi risulta intollerabile. Però a parte questo
caso il libro è molto bello. Lo consiglio a chi ha già vissuto un dolore e lo
ha superato perché potrà ritrovarsi in uno o più di questi personaggi e nelle
loro riflessioni e conclusioni. Vorrei consigliarlo anche però a chi ha provato
o sta vivendo una situazione dolorosa e ancora non ne è uscito, con l’avviso
però di leggerlo come se fosse uno spunto. Con la mente aperta, senza lasciarsi
sopraffare dal dolore o dalla disperazione che “la mia situazione è diversa”,
perché il dolore è dolore, anche se può avere sfumature diverse.
Le emozioni non si possono giudicare e soprattutto un dolore
non è più o meno forte di un altro come invece spesso ci si ritrova a credere.
Perdere un figlio, la morte del coniuge o la morte dell’animale domestico non
sono dolori più o meno forti l’uno dell’altro, sono tipologie diverse di dolore
e non si possono mettere a confronto.
Con questo intendo dire che non va svalutato il dolore di
nessuno, mai.
Con questo direi che siamo arrivati alla fine del commento
di oggi e, come avrete capito dalla conclusione io non sono una persona
ottimista che riesce a trovare la parte migliore o di arricchimento delle
situazioni negative, ma temo vi tocchi prendermi così come sono.
Alla prossima
-Pearl
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