Buongiorno a tutti.
Anche oggi torniamo a parlare di un tema molto allegro, che accompagna da sempre i miei acquisti, che stimola inconsciamente la scelta dei libri da leggere e acquistare: la morte e la tristezza. Infatti avevo acquistato in coppia due libri: “Follia” di Patrick McGrath e “Diario di un dolore” di C.S. Lewis. Del primo abbiamo già parlato, oggi quindi parleremo di quest’ultimo.
Un libricino piccolo piccolo, con meno di 100 pagine, che raccoglie i pensieri che C.S. Lewis ha scritto come se fossero un flusso di coscienza, dopo la morte della moglie. Purtroppo non ci poteva essere momento più azzeccato per la pubblicazione di questo post, perché io in particolare sto vivendo tutto questo da una settimana. L’autore voleva
raccontare il dolore nel modo più autentico, e lo ha fatto scrivendo di esso
nel momento stesso in cui lo ha provato. Ciò
che emerge da queste sue parole è la profonda onestà con cui egli si
approccia alla situazione, ma soprattutto alle sue emozioni.
Non possiamo parlare propriamente di trama perché non è
stato fatto nessun racconto, nemmeno della loro vita insieme per
contestualizzare. Al lettore è chiarissimo che il focus è solo il dolore,
l’emozione che l’evento della morte ha fatto scaturire in lui nonché la sua
evoluzione nel tempo. Infatti ogni stralcio, ogni paragrafo è scritto in
momenti differenti, a volte anche a distanza di giorni, e la differenza si nota
molto. Non solo per quello che scrive, il contenuto, ma anche per come lo
scrive.
La sua bravura è in parte data dall’autenticità, in quanto
ha deciso di documentare la propria esperienza nell’esatto momento in cui l’ha
vissuta. È infatti possibile leggere in queste pagine le varie fasi del lutto,
nonché l’alternarsi tra disperazione assoluta, soprattutto all’inizio, e
tentativi di razionalizzazione e di costrizione dei propri sentimenti
all’interno di un quadro di realtà accettabile. Sono passaggi e pensieri
naturali, che tutti noi, quando perdiamo qualcuno di caro, proviamo e facciamo.
Un’altra tematica importante, e che spesso però ci si
dimentica, è la distorsione che la nostra mente fa dell’altro perduto con il
passare del tempo. Tutto in lui/lei infatti sembra essere meraviglioso, le
persone care che non ci sono più perdono, o per meglio dire vengono spogliate
di tutti quei difetti che non ci piacevano quando erano in vita. Vengono quindi
eretti ad esseri angelici e superiori, e a volte gli vengono pure attribuite
caratteristiche che in vita non avevano affatto. Tutto ciò avviene inconsciamente,
quindi nessuno di noi cambia l’immagine del proprio caro in maniera volontaria,
ma è importante ricordarsi che questo fenomeno avviene per non restare
attaccati in modo disperato ad una figura che nessuno al mondo potrà mai
eguagliare. Con ciò non intendo dire che sia sbagliato, anzi questo fenomeno ci
aiuta in qualche modo a superare il nostro lutto.
Il punto di vista dell’autore è molto legato alla religione,
e questo porta inevitabilmente alla messa in discussione della propria fede, a
ridimensionare l’immagine di un Dio assolutamente buono che non può più
corrispondere perfettamente a quello che di lui era stato creduto: come può un
Dio buono permettere tutto questo? Chiunque sia cresciuto in modo religioso o
con una formazione religiosa, si è fatto almeno una volta questa domanda, che è
dettata dalla perdita di speranza e dalla disperazione. Due sentimenti normali
in un momento come quello descritto nel libro. Un buon esempio è questo
stralcio di pagina 31:
“Supponiamo che le
vite terrene che lei e io abbiamo condiviso […] raffigurabili come sfere o
globi. Là dove il piano della Natura le interseca, ossia nella vita terrena,
esse appaiono come due cerchi[…]. Due cerchi che si toccavano. Ma questi due
cerchi, e soprattutto il punto in cui si toccavano sono proprio ciò che io
piango, ciò che mi manca, ciò che ho fame di riavere. «Il suo
viaggio continua» mi dite. Ma il mio cuore e il mio corpo gridano: ritorna,
ritorna. Sii un cerchio che tocca il mio cerchio sul piano della Natura. Ma so
che è impossibile. So che quello che voglio è proprio quello che non potrò mai
ottenere. La vita di un tempo, gli scherzi, bere insieme, discutere, fare
l’amore, le piccole e struggenti banalità. Da qualsiasi punto di vista, dire: «H.
è morta» è lo stesso che dire: «Tutte queste cose sono
finite».”
Ho poi molto apprezzato l’analisi che lui ha fatto di sua
moglie, ma soprattutto il fatto che non sia caduto nella descrizione della
donna perfetta, anzi ne abbia descritto i difetti e le caratteristiche
peculiari che la distinguevano. Quando si dice di amare i difetti degli altri.
Vi lascio un’altra citazione, che ho trovato meravigliosa, considerando anche
che correva l’anno 1961:
“Nascosta o esibita,
c’è una spada che separa i sessi, finché un matrimonio totale non li
riconcilia. È nostra arroganza definire «maschili» la
schiettezza, la lealtà e la cavalleria quando le vediamo in una donna; è loro
arroganza descrivere come «femminili» la
sensibilità, il tatto o la dolcezza di un uomo. Ma, del resto, che poveri
frammenti deformi di umanità devono essere gli uomini solo uomini e le donne
solo donne, per rendere plausibili i sottintesi di tale arroganza.”
Grande plauso dunque per l’autore, per la sua capacità
descrittiva per la sua stoicità e razionalità nel voler trascrivere il proprio
lutto e per i suoi pensieri, così avanguardistici, in alcuni casi, da esserlo
per molti ancora oggi.
Nulla cancella il dolore di una perdita, ma le forti
emozioni che si provano all’inizio e che ci impediscono di muoverci tale è il
loro peso, nonostante restino con noi per sempre, si ridurranno in intensità fino
a rimpicciolirsi tanto da poterle inserire nel nostro bagaglio. Verranno sì,
sempre dietro di noi, ma potremo di nuovo muoverci in avanti.
Lo consiglio vivamente a tutti, anche se vi farà
probabilmente rivivere i vostri lutti più intensi. Vi immedesimerete e
riconoscerete gran parte dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, ma forse vi
darà speranza in questi momenti così bui.
A presto.
-Pearl
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