Buongiorno!
Eccoci nuovamente sul blog a parlare di giovani adulti, di fantasy (anche se forse come classificazione non è proprio centrata al 100%) e di distopie. Questa volta però ci occupiamo di un libro tutto italiano, una vera novità per me, che di solito mi lancio su storie americane o inglesi.
In questo caso infatti l’autrice è Marta Leandra Mandelli, che non conoscevo, questo infatti, dal titolo “Il gatto e gli stivali” è il primo libro che leggo, ma so che è molto attiva come autrice. Ha infatti pubblicato la saga, immagino non ancora finita, di Oltremondo. Ha comunque all’attivo diversi libri.Prima di lei, l’unica altra mia esperienza italiana di
fantasy (che però sta più nella definizione classica del genere) è stata Licia
Troisi, con “Le Cronache del Mondo Emerso” e “Le Guerre del Mondo Emerso”. Sì,
ho saltato le Leggende più tutti i libri successivi.
La trama de “Il gatto e gli stivali” è ambientata in un
mondo post-apocalittico, in cui il mondo intero si è trasformato in un deserto,
popolato da creature frutto della mutazione genetica degli esseri umani a causa
della guerra nucleare. Gli umani che si sono salvati, per così dire, dalla
mutazione, vivono all’interno di Città Scudo, distribuite sulla superficie
terrestre e collegate da cunicoli sotterranei che si possono attraversare con
dei treni. Al Governo di queste città c’è la famiglia Van der Moon,
rappresentata da Alain, quello che parrebbe essere l’ultimo erede di una
dinastia ricca e antica. La protagonista è Myra, una ragazza qualsiasi, che
dopo aver perso il lavoro in una libreria cerca di riscattarsi e si presenta
alla Van der Moon per ottenere un lavoro. I punti chiave del racconto saranno
due: il suo incontro con un gatto randagio e l’assunzione alle dipendenze di
Alain e, ovviamente la sua conoscenza.
Tutta la storia viene raccontata in modo semplice, anche se
resta in sottofondo un tentativo di renderla differente, coinvolgente e unica.
Ci sono dei momenti in cui effettivamente ci si sente più coinvolti ma
purtroppo non è una sensazione costante. Anzi, in diversi momenti, soprattutto
nella parte centrale, è stato per me difficile continuare a leggere a causa
della discontinuità nella trama. Mi spiego meglio: ho trovato la trama
interessante, ma la discontinuità e la vera e propria mancanza di informazioni
tra ciò che è successo prima e che quindi ha causato il mondo così come viene
presentato, e ciò che sta avvenendo nel presente del libro, è confusionario.
Nelle parti in cui il racconto viene portato avanti mi sono sentita più
coinvolta e soprattutto incuriosita, mi sono posta interrogativi legati allo
sviluppo delle Città Scudo, a come la guerra nucleare fosse scoppiata, in che
modo erano avvenute le mutazioni genetiche eccetera. Però la sensazione che ho
avuto durante tutta la lettura è stata di superficialità: ok l’idea è
interessante ma l’obiettivo del libro non sembra quello di voler davvero
raccontare questa storia, che funge invece da sfondo. Per cosa? Per la banalità
più assoluta, ovvero la storia d’amore. Anzi, scusate, il triangolo d’amore.
Onestamente ci sono rimasta piuttosto male, perché capisco
che in un libro per giovani adulti la storia d’amore ci stia sempre bene, ma
rileggere le stesse quattro cose, in tutti i romanzi Young Adult, in qualsiasi
lingua vengano scritti, è stato piuttosto deludente. Questo perché ritengo che
chi scrive per un pubblico debba sì interessare il proprio pubblico, e la
storia d’amore va sempre forte, ma dovrebbe anche passare dei messaggi
importanti. E mi spiace dire che questo libro non lo fa. E mi turba più di
quanto non abbia fatto un libro come “After”, che di educativo non ha
assolutamente nulla, proprio perché l’autrice è italiana. Il mio senso di
appartenenza mi ha fatto sperare che da un’autrice italiana potevo aspettarmi
di meglio, e anche se non posso assolutamente metterlo sullo stesso piano di
“After”, “Il gatto e gli stivali” mantiene un sottinteso troppo vago che tende
nella direzione sbagliata.
Primo problema: Myra, la protagonista, non ha
caratteristiche particolari se non il caschetto nero e gli stivali di pelle
rossi e con i tacchi (tra l’altro, tacchi che lei non ha mai portato in tutta
la sua vita ma che da quando li acquista non verranno più tolti – ci corre in
mezzo alle battaglie, tanto per intenderci). Le ovvietà che le vengono poste
davanti agli occhi restano invisibili per lei, non riesce a collegare i vari
indizi che si trova davanti perché, soprattutto nella parte centrale del
romanzo, non fa altro che pensare ad Alain, il grande amore della sua vita.
Alain è il classico protagonista da Young Adult: bellissimo,
bravissimo, fortissimo, cupissimo, e tutti gli -issimo che vi vengono in mente
buttateceli pure dentro.
Chris, il terzo vertice del triangolo, è avvolto da un alone
di mistero (come Alain, mi raccomando, non manca mai il mistero attorno al
figone di turno), un mistero che sono sicura, scoprirete come ho fatto io prima
del secondo capitolo. Questo colpo di scena alla fine non lo sarà davvero, ma
non vi spoilero comunque nulla.
Ora, un aspetto che ho apprezzato del romanzo è che comunque
i due uomini del racconto non trattano male Myra, come invece avviene nei
peggiori Young Adult de Caracas. Entrambi la trattano bene, senza forzarla a
fare nulla. Tuttavia questo non basta perché qua e là nel romanzo ci sono frasi
che lasciano sottintendere qualcosa di profondamente sbagliato. Ad esempio, la
protagonista è in ospedale in seguito ad un combattimento, Alain va a trovarla
tutti i giorni, Chris passa da lei tutte le sere:
“Alain era venuto a trovarmi tutti i giorni. […] Lo stesso
valeva per Chris, ed ero turbata. La sua presenza mi aveva svegliata tutte le
notti, ma avevo sempre finto di dormire. Eppure, era lì, senza ombra di dubbio.
Lo avvertivo nella camera ma non avevo il coraggio di parlargli. Chris mi
procurava uno sconvolgimento a cui non ero preparata. Non ero sicura di
volerlo, anche se mi sarebbe mancato, se lo avessi perso. Durante quelle notti,
in cui lui mi osservava dall’angolo della stanza, io ripetevo a me stessa che
avrei potuto benissimo aprire gli occhi e salutarlo, scambiare qualche parola.
Non ci sarebbe stato niente di male. Desideravo farlo, perché con lui stavo
bene. Proprio per questo mi biasimavo: mi sentivo in colpa nei confronti di
Alain, mi sembrava di tradirlo.”
Ora, sorvoliamo sull’inquietudine di qualcuno che tutte le
notti ti guarda mentre dormi, e concentriamoci sull’ultima parte: perché
parlare con un amico dovrebbe corrispondere a tradire la persona che si ama?
Non ha importanza che tu scriva “Non ci sarebbe stato niente di male.” se poi
non glielo fai fare. Resta il binomio tra il dire e il fare, “sì in teoria non
ci sarebbe nulla di male ma non lo faccio perché è sbagliato”. Per me questo
tipo di sottintesi non devono esistere, a meno che tu non stia raccontando una
storia malata, in cui il senso è far comprendere al lettore quanto questo
atteggiamento sia sbagliato. Tanto meno tutto ciò dovrebbe esistere in uno
Young Adult. Vorrei sottolineare inoltre, per evitare fraintendimenti, che
nella trama c’è un legame pre-esistente tra Chris e Alain, che non è uno
spoiler perché viene lasciato intendere fin da subito. Il tradimento cui lei fa
riferimento però non ha nulla a che fare con questo legame, di cui lei non sa
nulla, lo scoprirà solo dopo.
Penso di essermi dilungata anche troppo. In conclusione non
consiglio questo romanzo che è una storia d’amore condita da una sorta di trama
post apocalittica e distopica, che si concentra però troppo poco sulla trama.
A presto!
-Pearl
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