venerdì 18 settembre 2015

Teatro - Atto I


Eccomi finalmente operativa in tutto e per tutto all’interno di questo blog! Per festeggiare l’ingresso nel mondo di internet e nello specifico, dei blogger ho deciso di complicarmi fin dal principio parlandovi di uno dei sommi della letteratura inglese, uno dei più arguti teatranti mai esistiti e di una delle sue più famose tragedie: “Romeo e Giulietta”, di William Shakespeare. Visto che sono sempre stata ben lontana dalla sanità mentale, è bene che lo sappiate, ho iniziato a leggere Shakespeare
all’età di tredici anni e sono partita proprio da quest’opera. Ovviamente non ci capivo la metà della metà della metà delle cose che leggevo di Shakespeare, ma in qualche modo mi affascinavano le storie e i suoi personaggi, seppur in un modo ancora molto ingenuo ed infantile. La qual cosa, per quanto non mi facesse comprendere appieno i significati nascosti dietro le sue opere, mi ha appassionato al teatro, tanto che crescendo, maturando e studiando, mi sono fatta la mia idea in proposito, soprattutto su “Romeo e Giulietta”. La tragedia di cui vi sto per parlare mi è rimasta molto cara e spero di riuscire a farvi capire perché.
Prima di tutto mi pare ovvio considerare il fatto che leggere un testo teatrale non è come leggere un romanzo o un libro di narrativa, semplicemente perché non è pensato per essere letto, ma per essere visto. Perciò, già dal principio, la mia recensione avrà la possibilità di essere soddisfacente solo per metà, dal momento che mi concentrerò principalmente su quello che è stato scritto. Non occorreva precisare che un testo teatrale non è come tutti gli altri testi, ma è qualcosa di importante, che cambia tutto. Tutti i metri di valutazione che vi servono per valutare un libro cadono e lasciano spazio ad altre considerazioni, come la scenografia, l’importanza del regista nel rendere una determinata scena, la bravura degli attori e un’infinita serie di altre cose strettamente legate all’immagine visiva, anziché alle parole stampate. Ragion per cui non credo si possa effettivamente fare le proprie considerazioni su un testo teatrale solo ed unicamente in base alle battute scritte. Bensì si deve anche tener presente lo spettacolo vero e proprio e le varie versioni dello stesso sul medesimo testo teatrale. Io ho avuto la fortuna di poter vedere dal vivo, al teatro principale della mia città, la versione lirica: “Roméo et Juliette”, di Charles Gounod, ma la maggior parte di noi potrà dire di aver visto il film “Romeo + Juliet”, di Baz Luhrmann (quello con Di Caprio, per capirci) e la versione di Zeffirelli. A parer mio sono tutte versioni notevoli, ma la mia preferita, per il momento, è quella di Luhrmann. No: non sono una purista quando si tratta di Shakespeare e mi sta più che bene se lo vedo rappresentato ai giorni nostri. Nella maggior parte dei casi, per capire una storia e le sue dinamiche, si deve considerare il contesto storico dell’autore. Per Shakespeare non credo sia così. Ha qualcosa di unico e le sue parole sono eterne. Le storie di cui parla, le sue considerazioni sui vari rapporti umani, hanno lo stesso medesimo peso che avevano quando furono scritte. Amore, morte, gelosia, potere, vendetta e sogno sono tutti concetti ben espressi da Shakespeare all’interno delle sue opere e il loro valore non cambia solo perché cambiano i secoli, perché questo autore e sommo teatrante non li descrive attraverso i filtri sociali della sua epoca, bensì descrive la natura umana stessa, per com’è e per come è sempre stata; ciò che è insito in essa al di là della singola situazione geografica, storica, o sociale. Questa costituisce, di fatto, la grandezza di Shakespeare: essere immortale e universale.
Ora passiamo a “Romeo e Giulietta” nello specifico. Perché è una delle tragedie più amate e famose? E perché non ci stanchiamo mai di reinventarla e rappresentarla sotto forme e modalità diverse? Semplice: trascina. Tutto ciò che c’è da sapere su “Romeo e Giulietta” è lo slancio emotivo; quello di ciascun personaggio e quello che provoca nel fruitore. Ha il fascino del leader. Giulietta muove il braccio e, parafrasando “The libertine”, il cuore dello spettatore viene trascinato via. “Romeo e Giulietta” è carico di sentimento, che sia esso di amore o odio. Romeo non si ferma mai a pensare, o a ragionare. Lui ama Giulietta. Cosa c’è da capire? Non c’è niente da capire e non c’è niente da pensare: lui ama Giulietta e farà di tutto per stare con lei. Allo stesso modo Tebaldo odia i Montecchi. Non c’è niente da capire e niente da pensare. È così e basta e farà di tutto fino al suo ultimo respiro per deprecare il nome della famiglia rivale, consacrandosi ad un odio che può portare solo in una direzione: la morte. Tuttavia, alla morte, non ci si arriva solo attraverso un odio profondo e violento, ma attraverso un amore altrettanto profondo e altrettanto impulsivo, che appunto, non si ferma a riflettere.
“Queste gioie violente hanno violenta fine. Muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo. Che si consumano al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza e basta assaggiarlo per levarsene la voglia. Perciò ama moderatamente: l’amore che dura fa così”.
In un certo senso, Shakespeare ci avverte di porre attenzione a questi atti impulsivi dettati dalle nostre passioni più profonde, guardandoli di traverso e dimostrando quanto possano ferire, quanto le nostre azioni, se non sono ben ponderate, possano provocare morte e distruzione, anche nascendo da un amore puro e sincero. Tuttavia, proprio a causa della stessa purezza, Shakespeare non è capace di giudicare negativamente i due amanti, pur portandoli alla soluzione ultima del suicidio. Sono giovanissimi, dei bambini e non sanno cosa sia la pazienza, ma vivono in un attimo, si bruciano e consumano in pochi secondi; un fascino difficile da ignorare. A testimonianza di ciò richiamerei l’attenzione sul povero Paride, il promesso sposo di Giulietta. Si capisce poco di Paride e ovviamente non è un personaggio molto amato, poiché con la sua sola presenza impedisce ai protagonisti di vivere la loro storia d’amore. Pochi si ricordano, però, che Romeo uccide Paride, nelle ultime scene. Sono sempre stata convinta che Romeo, in realtà, non avesse motivazioni sufficienti per odiarlo al punto di ucciderlo, ma l’impulsività, qui la fa da padrone e Paride è destinato a morire. Tutti gli adolescenti di questo mondo, anche oggi, operano così, anche se non hanno una spada in mano, probabilmente sostituita da facebook o da qualsiasi mezzo utile per infierire verbalmente sul proprio arci-nemico. Non si tolgono la vita, ma restano mortali nemici.
Dunque, alla fine, chi sopravvive? I genitori dei due giovani, condannati a seppellire i loro unici figli e così puniti per la loro prepotenza verso di essi; Frate Lorenzo, il vero e proprio grillo parlante della tragedia, nonché l’unico personaggio davvero ragionativo; il cugino di Romeo, Benvolio, che fin dal primo atto si era dimostrato disposto a seppellire l’ascia di guerra e a mandare i rancori alle ortiche, pur rimanendo fedele alla sua casata.
Amo “Romeo e Giulietta”. Amo la loro impulsività e la loro devozione l’una verso l’altro, amo il loro punto di vista ottuso che non lascia spazio ad altre soluzioni per la loro sopravvivenza: io lo amo e di conseguenza o amo e vivo, o amo e muoio. Amo il loro coraggio che non ha nulla di coraggioso, ma che è solo avventatezza e a tratti, stupidità.
Consiglio la lettura di “Romeo e Giulietta” perché non troverete mai più un personaggio così straordinario, divertente e triste nella sua allegria come Mercuzio. Consiglio la lettura a tutti, a quelli più grandi già privi della purezza e dell’ingenuità che hanno avuto nell’adolescenza, per riscoprirla e riviverla, ma soprattutto ai giovani, sommersi da Young Adults a lieto fine che nonostante questo non lasciano la profondità necessaria per crescere emotivamente nei propri stessi sentimenti, senza imparare a riconoscerli, controllarli, o abbracciarli completamente.



-Liù

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