sabato 9 aprile 2016

Letteratura internazionale - Capitolo 7


“Stupro. Una storia d’amore” è un libro del 2004 scritto dall’autrice Joyce Carol Oates e narra la vicenda avvenuta il 4 luglio del 1996 in una cittadina chiamata Niagara Falls. L’evento centrale di questa storia è uno stupro di gruppo ai danni della giovane vedova Teena Maguire sotto gli occhi della figlia dodicenne. A commettere l’atto una decina di ragazzi poco più che ventenni sotto l’effetto di
metanfetamine.
Un aspetto che mi ha subito colpito in questo romanzo è la scrittura che ho trovato praticamente asettica, decisamente in contrasto con quello che mi aspettavo. Questo perché da un libro che narra di uno stupro di questo genere, scritto da una donna, mi sarei aspettata una maggiore impronta emotiva, mentre invece l’emotività viene descritta molto brevemente e in termini fisici, di azioni e comportamenti con una breve frase del tipo “la sentivo piangere”. Nessuna descrizione emotiva profonda. Inoltre le descrizioni mancano anche per i personaggi, perché vengono solo accennati brevemente e descritti fisicamente. Le loro storie precedenti alla vicenda non vengono raccontate ma solo accennate qua e là per il romanzo. Quindi dei personaggi in realtà non c’è molto da dire, sembrano avere un carattere su cui l’autrice ha ragionato o comunque sembra che l’autrice li avesse ben chiari ma non credo che riesca a trasmettere molto quello che aveva progettato. Sembrano veramente abbozzati.
Un altro aspetto stilistico che ho trovato insolito, è che l’autrice racconta la storia spostando man mano il focus dalla protagonista, alla figlia e al poliziotto che interviene sulla scena del crimine. Questi focus sui tre personaggi si alterneranno per tutto il romanzo ma, quando saranno diretti a raccontare il punto di vista della figlia, e solo in questo caso, l’autrice parlerà dando del tu al lettore, come se a scrivere quelle pagine fosse effettivamente la figlia stessa che si ripete gli avvenimenti o come se qualcun altro glieli raccontasse. Non so, l’ho trovato particolare, non mi era mai capitato.
Collegandomi al discorso precedente sulle emozioni, o sulla assenza delle descrizioni di queste emozioni, vorrei però dire che c’è un’emozione che il libro è riuscito a trasmettermi, sia perché l’ho intravisto nelle pagine sia perché lo ha suscitato in me: la rabbia. Una rabbia grandissima, in alcuni punti anche fastidiosa, da stare male, che in alcuni momenti mi ha costretto ad interrompere la lettura e a fare altro. Mi rendo conto che questo potrebbe anche essere dovuto al fatto di essere donna e quindi immaginarmi al posto della protagonista o della figlia è molto facile. La rabbia dunque sembra essere l’unico sentimento trattato, rabbia per quello che è successo, per come prosegue la vicenda, rabbia verso sé stessi e verso gli altri. In particolare la rabbia dei colpevoli verso le vittime e verso chiunque, tranne sé stessi. 
La storia è difficile, non da leggere, ma per l’argomento che tratta che ancora oggi è molto attuale, molto sentito e per nulla sconfitto. Uno dei pregi che secondo me questo libro ha è l’impatto,  lo scontro che ci porta a fare con la realtà. Già dalle prime pagine, anzi le prime righe si leggono frasi che, purtroppo ancora oggi, in molti dicono e pensano: “se l’è andata a cercare”. La mentalità del “come puoi tu donna pensare di uscire con i pantaloncini o la minigonna senza prevedere e sapere che i maschi potrebbero stuprarti”. O l’idea che se una donna si veste mostrando un po’ di pelle nuda allora va cercando guai, e i maschi, che secondo questa visione dunque non sono in grado di mantenere il controllo delle proprie azioni, come le scimmie allo zoo, le saltano addosso. E sono addirittura giustificati a farlo perché lei li ha provocati. Oggi  volte che viene denunciato uno stupro ci tocca sentire tutte queste frasi, nonostante l’anno corrente, e sarebbe veramente ora che le persone comprendessero che, oltre ad essere una visione assolutamente maschilista, il consenso è l’aspetto fondamentale. Dunque io, per quanto poco igienico o poco decoroso, potrei decidere di girare per le strade in bikini e dovrei comunque essere al sicuro. Se io dico no, il consenso non c’è. Se non c’è il consenso allora è violenza e il consenso deve essere dato esplicitamente, verbalmente, senza nessuna coercizione e con la carta “esci gratis di prigione” in dotazione, ovvero posso cambiare idea quando voglio. Se prima ti ho detto di sì, ma adesso ho cambiato idea e ti dico di no, allora è no. Penso che la cosa più brutta del sentire queste frasi maschiliste è senza dubbio sentirle dire da una donna. 
Questo libro riesce anche a rendere abbastanza bene l’idea di quante persone vengono realmente coinvolte in una situazione del genere, dunque non solo le vittime e gli aggressori, ma le rispettive famiglie, gli amici, gli agenti coinvolti e a volte anche le famiglie di questi agenti. Una comunità intera. Ed è proprio per questo che le frasi sopracitate non dovrebbero più nemmeno esistere, non devono più venire in mente a nessuno. Ciò che bisognerebbe pensare è: lui ha sbagliato e deve pagare, lei va sostenuta e supportata.
Nonostante mi aspettassi un racconto diverso, non posso negare che questo libro mi sia piaciuto per gli spunti di riflessione che mi ha offerto. All’inizio,  onestamente, non ero per nulla convinta per la mancanza delle emozioni e per lo stile asettico, ma forse questo era il vero intento della scrittrice. La rabbia descritta secondo me è molto realistica e immagino che vittime, colpevoli e familiari la provino veramente, anzi anche amplificata. Forse questo romanzo non aveva l’intenzione di narrare lo stupro e poi la storia d’amore sottostante (che però io onestamente non ho visto, niente emozioni e frasi solo accennate, buttate qua e là lungo il racconto) ma quello di dare risalto alla rabbia che sottostante a questi avvenimenti. Non lo so, letto in questa ottica mi piace, perché se l’intenzione non era questa non direi che mi è piaciuto anzi, direi che mi ha irritato. Ma d’altronde uno dei motivi per cui io amo i libri è l’interpretazione che ciascuno può dare della storia, significa farla diventare parte di te e, forse, mettere qualcosa di te dentro il racconto.

- Pearl

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