sabato 25 giugno 2016

Fantasy - Capitolo 4


Buon giorno a tutti!
Questo clima caldo umido, in relazione alla recensione della settimana, mi fa venire in mente solo una cosa: “Harry Potter”. Chi è stato, o è ancora, un fan della saga – ma anche solo chi l’ha letta e basta – sa che tutti e sette i libri cominciano d’estate, in giorni più o meno caldi come questo, intorno al compleanno del protagonista in questione. Fingiamo che

ci sia un motivo per il quale io abbia deciso di parlare di “Harry Potter”, oggi e che il motivo sia stato questo: il caldo.
Immagino che la storia del maghetto più famoso della nostra epoca la conosciate più o meno tutti, quindi non credo ci sia bisogno di parlare della trama. Mi preoccuperò, piuttosto, di fare alcune osservazioni, prendendo in considerazione la totalità della saga. Questa volta ho deciso di parlare di tutti i libri che la compongono in un’unica recensione. Non perché non ci siano tante cose da dire, soprattutto per me che apprezzo particolarmente questo universo letterario, ma essendo una storia già conclusa (salvo vari spin-off, libri di supporto e il continuo della storia uscito recentemente a teatro) credo che le riflessioni su cui ho ragionato hanno senso in gran parte solo se si tiene conto di tutta la storia globalmente.
Ho iniziato a leggere “Harry Potter” all’età di nove anni, quando ancora nessun film era in vista all’orizzonte e ho continuato imperterrita fino all’ultimo volume, il quale è stato pubblicato quando, di anni, ne avevo più o meno diciassette. Posso effettivamente dire che con questa storia, come tantissimi miei coetanei, ci sono cresciuta. Questa è la ragione principale per cui io sono leggermente di parte. No, non sarò totalmente obbiettiva e si, lo difenderò a spada tratta. Perché dico questo? Perché quando si parla di questa storia, una delle prime cose che si notano è che spesso i lettori si dividono in due categorie: quelli che ultra vedono per “Harry Potter” e quelli che, non avendolo mai letto, guardano dall’esterno l’altra metà, spesso giudicando i medesimi come degli infoiati cronici troppo ossessionati. In questo senso il merchandising ruotante attorno ai film ha sicuramente ingigantito la cosa, grazie alla messa sul mercato di bacchette magiche, cioccorane e gelatine tutti i gusti più uno, nonché di un parco giochi interamente a tema “Harry Potter”. Robe da fanatici, giusto? E coloro che non sono particolarmente interessati al mago inglese e ai suoi amici non né capiscono il motivo, specie quando sono gli adulti ad andare in visibilio per queste cose. Ci si dimentica, però, che quegli stessi adulti sono cresciuti a pane e “Harry Potter” esattamente come me. Se un bambino ha vissuto gran parte della sua infanzia giocando coi lego, risulterà perfettamente normale che quel bambino ormai cresciuto, adulto e vaccinato abbia mantenuto il suo affetto per quel tipo di giocattoli, motivo per cui al giorno d’oggi è normale avere degli adulti più che esperti nel campo dei mattoncini componibili, in alcuni casi dei veri e propri collezionisti.
“Harry Potter” è raccontato in modo tale che chi lo legge viene effettivamente coinvolto in quel mondo. Non è soltanto una storia di un ragazzino con una cicatrice. Esiste proprio un universo fantastico, costruito in ogni minimo dettaglio da quella mente perversa e straordinaria che è J.K. Rowling, il quale avvolge il lettore quasi fisicamente e che è molto invitante. Insomma, vorresti davvero che esistesse e vorresti farne parte. Diciamo che è una storia per cui credo sia molto facile che avvenga questo meccanismo, ma come ho già fatto intendere non condanno tale tipo di atteggiamento e non penso sia un problema, anzi. Anche qualora risultasse una situazione molto nerd, non avrei proprio niente da ridire. Smettiamola con queste etichette da età della pietra: siamo nel duemilasedici, l’era di “The Big Bang theory”, non c’è niente di male nel rinunciare a una serata in più con gli amici per restare a casa in compagnia di un libro ben scritto, non è obbligatorio far baldoria tutte le sere, ogni tanto è bello prendersi cura di sé stessi, del proprio corpo, tanto quanto della propria mente; è bello ritagliarsi dei momenti per stare da soli. Non c’è niente di male in questo, come non c’è niente di male nel realizzare dei cosplay in occasione del Lucca comics, non c’è niente di male a sapere un sacco di cose sulla cultura giapponese solo perché si leggono i manga e non c’è niente di male nell’apprezzare un libro principalmente pensato per dei bambini e dei ragazzi giovani. Se risulta tanto coinvolgente da contribuire alla tua crescita, anche a ottant’anni, forse può voler dire solamente che il medesimo libro è, di fatto, un buon libro ed è scritto bene.
Tuttavia perché non complicarci la vita? Cerchiamo di portare delle osservazioni più oggettive. Sono sempre stata convinta del fatto che una delle cose che hanno maggiormente condizionato la trama della storia sia la vera storia della scrittrice, o per meglio dire, un particolare episodio della sua vita: la morte della madre, quando Joanne era ancora giovane, per colpa della sclerosi multipla.
Per quanto possa risultare antipatico, osserverei come tutte le madri che compaiono nel libro siano personaggi straordinari, sia quelli negativi che quelli positivi. Tutte le madri sono importanti, vengono presentate come figure forti, tenaci e che farebbero di tutto per i propri figli: darebbero la vita, come nel caso di Lily Potter; andrebbero contro il Signore Oscuro pur di mettere al sicuro il proprio figlio, come nel caso di Narcissa Black; si esporrebbero a indicibili pericoli tirando fuori delle unghie che forse neanche loro sapevano di avere, come è capitato a Molly Weasley; metterebbero sotto una campana di vetro il proprio figlio, come Petunia Dursley; finirebbero in un manicomio nel tentativo di consegnare alla propria progenie un mondo migliore, come nel caso della madre di Neville (un episodio in cui mi si è spezzato il cuore, giuro!). Le madri sono il primo scudo sotto il quale i personaggi si proteggono; uno scudo fuori dal quale prima o poi, durante la crescita, dovranno necessariamente uscirne e che tuttavia continuerà ad essere, nei ricordi, una presenza fondamentale per la vita futura di ciascuno. Uno scudo che può essere solo amore puro e grazie al quale Harry ha avuto salva la vita diventando l’eroe del mondo magico, ma è anche lo scudo del quale il protagonista ne ha sempre sentito la mancanza. Il sacrificio estremo di sua madre e il vuoto che la sua morte ha lasciato al figlio sono sentiti in ogni volume della saga, rendendo così, ancora più importante delle madri, il tema della morte. Attorno alla morte ruota tutta la storia di “Harry Potter”, dalla prima riga fino all’ultima. Basti pensare al nome col quale si fa chiamare – per quei pochi coraggiosi che osano chiamarlo – l’antagonista di Harry: Voldemort. La storia di questo super cattivo, alla nascita Tom Riddle, si può riassumere in poche, ma fondamentali righe: un mago che, avendo paura di morire e non volendo in alcun modo affrontare la morte, decide di distruggere la sua anima, di spezzare letteralmente sé stesso in sette parti piuttosto che passare all’altro mondo. Harry, infatti, potrà sconfiggere Voldemort in un solo ed unico modo: affrontando la morte che il suo nemico non ha mai avuto il coraggio di affrontare.

L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte.

È esattamente di questo che parla “Harry Potter”, il fulcro di tutto: della morte, della paura della morte, del modo in cui si dovrebbe affrontare un lutto, una perdita, o la propria stessa fine; del modo di vivere la vita, di non sprecarla, onde evitare di ridurla a un insieme di minuti passati nella paura di morire. Ora provate voi a spiegarlo a dei bambini e sappiate dirmi se vi esce un discorso migliore di quello che la Rowling ha fatto indirettamente alla mia generazione.
Oltre a questo c’è molto altro da dire: innumerevoli sono i temi di contorno, come ad esempio l’amore, presentato in tutte le sue forme e non soltanto come amore materno: l’amore non corrisposto di Severus Piton, l’amore maturo delle coppie formatesi alla fine della storia, l’amore cretino e adolescenziale per il quale ognuno di noi, almeno una volta, si è sentito un completo idiota. E ancora l’amicizia, il coraggio, la depressione rappresentata dai dissennatori, queste creature terrificanti capaci con un solo bacio di privarti di ogni cosa bella che ha costituito la tua vita. Lo dico e lo ripeto: provate voi a spiegare a un bambino in cosa consiste una cosa così complicata come la depressione e anche a quale sia il modo migliore per affrontarla, perché guarda caso in “Harry Potter”, un incantesimo che sconfigga i dissennatori (la depressione) c’è eccome.
Onestamente, mi sono portata addosso questa storia per così tanto tempo che sarebbe stato inevitabile, alla fine, rimanerne un pochino delusi. Spesso ho avuto da ridire sugli ultimi libri e sull’andamento della storia verso la fine. In particolare mi sono arrabbiata tantissimo con Albus Silente, un personaggio che sapeva fin dal primo libro cosa sarebbe successo a Harry di terribile, ma che non lo ha avvisato in nessun modo. A lungo ho accresciuto il mio astio nei confronti del preside di Hogwarts, finché in un’ innocente discussione al bar, un mio amico mi ha fatto capire il punto di vista di questo personaggio, il quale esattamente come un padre, o un mentore non può scegliere il percorso del suo protetto per lui, o prendere decisioni per una vita che non è la sua, ma difficilmente e dolorosamente, è costretto a stare accanto al giovane, osservandolo mentre sbaglia, soffre e cade, ma consapevole che non può fare niente per lui, o rialzarsi al posto suo.
Ho invece apprezzato da subito un’altra cosa, degli ultimi libri: mentre all’inizio ci si chiedeva come un personaggio come Neville Paciock, senza un briciolo di coraggio, fosse finito nella casa di Grifondoro, o un soggetto come Luna Lovegood fosse capitata a Corvonero, quando invece quella casa di maghi arguti non avesse minimamente preso in considerazione l’idea di avere con sé la secchiona Hermione, alla fine tutto è stato più o meno chiarito. Nel senso che dopo sette lunghi anni dal loro smistamento iniziale, questi personaggi ormai cresciuti e maturati, sono riusciti a tirare fuori il lato del loro carattere che attraverso il cappello parlante li aveva smistati nella casa giusta per loro molto tempo prima. Neville (da solo) sconfigge Nagini, il coraggio di Hermione viene palesato in tutta la sua grandezza e Luna, erroneamente considerata da tutti come una stupida, dimostra che gli svampiti possono essere i più arguti della compagnia, perché guardano il mondo da altre prospettive. Ho sempre considerato questo sviluppo di alcuni personaggi non solo come una dimostrazione che il cappello parlante sia stato capace di guardare lontano, oltre alle apparenze, ma anche come un vero e proprio invito ad andare oltre le prime impressioni e i pregiudizi di chi ci circonda. Se poi volessimo far presente anche lo smistamento di Harry Potter in persona, quando spera con tutte le sue forze di non finire a Serpeverde, sebbene gli si dica che sarebbe adatto a quella casa e il cappello parlante decide di accontentarlo consegnandolo a Grifondoro, potremmo facilmente far sbocciare un’altra idea: quella che ci dice che chi siamo, almeno in parte, lo decidiamo noi.
Sullo stile di scrittura, niente da reclamare: provocatorio, divertente e drammatico. Un eccellente mix capace di rendere sia gli episodi leggeri, che le situazioni estremamente dolorose.
E con questa lunghissima recensione vi lascio al vostro week and e ad eventuali letture.
Spero di non avervi annoiato e buona serata, lettori!


-Liù

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