martedì 21 febbraio 2017

Catalogo - Voce I


Buona sera e buona notte!
Sono qui per parlarvi di un libro molto caro al mio cuore, nonché al mio percorso scolastico.
Ebbene “L’altra metà dell’avanguardia 1910 – 1940” non si può definire esattamente un libro, quanto piuttosto un catalogo di supporto ad una delle mostre meglio riuscite della

Milano inizio anni ’80.
Questo libro è infatti costituito da una serie di “schede identificative” di circa centoquattordici artiste donne, che proprio nel 1980, sono state oggetto di interesse della ricerca seguita da Lea Vergine. Lea Vergine è una critica d’arte tutt’ora in vita, energica e decisa più che mai, che alla fine degli anni settanta si è assunta l’arduo compito di ricercare una quantità maestosa di opere realizzate dalle artiste delle prime avanguardie. Esse, proprio perché donne, furono oscurate dalla critica della loro epoca. Dopo anni di duro lavoro e ricerca, aiutata da esperti del calibro di Achille Castiglioni, Lea Vergine ha presentato a Palazzo Reale la sua mostra, la quale non solo ha riportato in vita artiste dall’indiscutibile talento, restituendo loro il posto che meritavano all’interno della storia dell’arte, ma ha anche riscosso tantissimo successo in tutto il mondo.
Tale mostra è stata oggetto della mia tesi di laurea e ne sono orgogliosamente felice. Qui finiranno le mie osservazioni schifosamente di parte (spero), perché se è vero che non posso fare a meno di apprezzare il lavoro che è stato fatto a proposito di questo progetto espositivo, è anche vero che la ricerca compiuta su di esso mi ha permesso di avere un quadro razionale ed obbiettivo della faccenda.
In un clima come quello attuale, di forti voci femminili e del rinnovamento quasi totale della voce sul fronte femminista, trovo sia interessante prendere in considerazione “L’altra metà dell’avanguardia” e cercare di capire perché, dopo un decennio (gli anni ’70) all’insegna della completa adesione alla causa femminista, anche in campo artistico, questa mostra abbia spiccato sopra le altre e si sia fatta portavoce di un punto di vista che all’epoca risultava nuovo ed oggi potrebbe essere descritto senza troppe difficoltà come attualissimo.
Non sono certa che Lea Vergine si sia mai dissociata ufficialmente dal termine “femminista” o che comunque abbia assunto un certo distacco da esso, ma so per certo che il suo metodo di lavoro non si è mai lasciato influenzare dal sesso dell’artista di cui andava ad occuparsi. Per questa ragione risulta essere una scelta molto anomala, quella di questa curatrice come responsabile di un progetto finalizzato a riportare in auge la qualità del lavoro di artiste donne, principalmente perché donne. Eppure una logica c’è. Se prima di allora ci si era sempre approcciati alla questione donne nell’arte come a qualcosa di infinitamente vittimista, sfociando spesso e volentieri nel melodrammatico, in questo caso non è stato minimamente così. Lea Vergine ha portato, ripeto, un punto di vista nuovo, che aveva come solo obbiettivo quello di puntare sulla qualità della mano dell’artista, piuttosto che sul suo sesso biologico. Il risultato, inutile dirlo, è stato acclamato anche fuori dall’Italia. Si è puntato principalmente a mettere in luce la forza delle pittrici, la loro tecnica, il loro linguaggio e se alla fine questi elementi sono risultati influenzati dal loro essere femminili è stata una scoperta obbiettiva e logica, dettata dal cervello e non da finti sentimentalismi. La criticità di fondo è stato il vero e proprio punto di forza dell’intera esposizione, ciò che le conferisce ancora veridicità e trovo che la cosa, considerando i discorsi recenti di Chimamanda Ngozi Adichie e di Emma Watson alle nazioni unite, sia anche un discorso profondamente attuale.
Il lavoro descritto in questo libro, con l’aggiunta di qualche racconto sui retroscena dell’organizzazione, non è certo esente da pecche. È stato più volte indicato dai giornali di quegli anni come dispersivo e poco preciso; un’ insieme di opere per la maggior parte di poco conto che si rifiutava di porre l’attenzione sulla totalità delle artiste delle prime avanguardie. Si, nel grande minestrone giornalistico, la mostra si è presa anche qualche critica, oltre alle lodi. È effettivamente vero che “L’altra metà dell’avanguardia” non risulti un lavoro totale e finito completamente. Tuttavia questo era uno degli obbiettivi. Lo scopo non era di realizzare una mostra che facesse tanto parlare di sé e che chiudesse il cerchio del suo discorso. Doveva, invece, essere visto e vissuto come un punto di partenza dal quale iniziare a riflettere sulla questione e sulla condizione della donna nell’arte. Un discorso, insomma, sempre aperto e favorevole agli stimoli e al dialogo. Tant’è che pochi anni fa, sempre a Milano, l’associazione Castiglioni ha aperto i battenti per una serata speciale, destinata a dissotterrare “L’altra metà dell’avanguardia”, stimolando la ripresa del discorso iniziato dalla mostra anni prima e raccontando, nello studio del famoso architetto, tutti i passaggi seguiti per la realizzazione dell’allestimento ideato proprio da Achille Castiglioni.



Nell’anno della mostra, tante cose su tale lavoro erano state fraintese. Si parlava di tele bianche appese al soffitto come rappresentazioni dell’utero femminile. Tale interpretazione è stata totalmente smentita da Castiglioni, che in quelle vele bianche ha sempre e solo visto la tela e lo studio del pittore; un’altra riconferma della criticità del progetto.
Trovo sia stato un evento importante per il mondo dell’arte, soprattutto della critica d’arte e altrettanto lo è stato per la questione femminista, oggi tornata alla ribalta più battagliera di prima. Entrambi gli ambiti mi interessano e probabilmente il secondo è dovuto anche ai nove mesi di ricerca impiegati per la mia tesi su questo progetto. Proprio perché così attuale e perché resta un discorso tutt’oggi aperto invito tutti a interessarsene, soprattutto coloro che si interessano di parità e di femminismo oggi e chi è in cerca di un buon punto di partenza per iniziare ad interessarsi di arte moderna e contemporanea.
Ringraziandovi per aver letto fin qui, vi auguro buona notte e buon inizio settimana!

-Liù

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