martedì 7 febbraio 2017

Romanzo rosa - Capitolo 3


Buona sera!
Ecco giunto il momento della recensione farlocca, burlona, trash, kitsch, esuberante fino al fastidio psicologico; la lettura che tutti coloro che la leggono si vergognano di avere sul comodino e che probabilmente mascherano con la copertina di un libro più intellettualmente serio, di cui la trama sul retro è probabilmente l’unica cosa

che sanno. Perché diciamocelo pure: dopo la sveglia presto, otto ore di lavoro se va bene e a pranzo un panino, arrivati a sera, i libri seri (e la fiesta) sono l’ultima cosa che vorremmo vedere. Solo che di serie tv superficiali e inette, in grado di spegnerci il cervello e rilassarci, ne abbiamo un po’ i marroni pieni (quanti ancora ne devono morire in “Grey’s anatomy” prima che si decidano a concluderlo?); oppure non sono ancora uscite le puntate nuove. Ragion per cui, in attesa che le troupe trash di tutto il mondo riaprano (o chiudano per sempre) i battenti al grande pubblico, ciò che resta è affidarci alla nostra favolosa Diana Gabaldon e alla sua scrittura sempre ricca di particolari microscopici del paesaggio e di descrizioni hard, dove il sesso spinto ivi contenuto mangia in testa a Mr Grigio e alle sue cinquanta sfumature nascoste nella nebbia di Seattle. Diffidate degli uomini in giacca e cravatta, signore! Diffidate e affidatevi agli uomini in kilt! Diffidate del vostro stesso istinto di crocerossine e iscrivetevi all’università di medicina (Claire Fraser ne sa qualcosa)! Ma soprattutto, se vi dicono che loro “scopano forte”, sentitevi pur libere di rispondere: “Io mi trovo bene col folletto”. E qui la finisco con le divagazioni, che forse è meglio.
Abbiamo capito di cosa sto per parlare: del terzo volume della saga de “La straniera”, che in Italia è uscito diviso in due volumi, dai titoli di: “Il cerchio di pietre” e “La collina delle fate”. Io sono arrivata al tredicesimo volume di questa saga, considerando le pubblicazioni italiane, per scoprire amaramente che nessuno dei seguiti ha eguagliato ancora il primo in fatto di qualità, scrittura e trama. Forse la scrittrice è stata affascinata dal Dio denaro e continua a sfornare libri sulla rocambolesca vita di Jamie e Claire perché le manca giusto giusto la retta universitaria dell’ultimo figlio; o forse, più semplicemente, ci ha preso gusto e questa cosa della scrittura è diventata una sorta di droga di cui non riesce a vedere la luce infondo al tunnel. Chi lo sa? In ogni caso, a noi assatanate e alle più esperte di me sui “romanzi per signore” va benissimo così. Potrebbe migliorare un po’ la faccenda, ma quando hai già letto tutto nel primo volume è comprensibile il fatto che se vuoi andare avanti, quello che si presenterà da li in poi, bisogna prenderlo un po’ per come lo passa il convento. Tuttavia, nonostante la trama avvinca sempre meno man mano che si va avanti, “Il cerchio di pietre” e “La collina delle fate” possono ancora essere salvati dalla noia morbosa di certi altri seguiti che troveremo più avanti.
La Gabaldon si era salvata nel precedente spezzone della storia perché, come già dissi, narrava la fase più cruenta della storia dei nostri avventurosi protagonisti. La battaglia dei giacobiti e ancor prima i sotterfugi alla corte del re francese hanno scaldato gli animi ancora per un po’. E se prima troviamo le fasi sanguinolente, qui viviamo la fase più triste in assoluto. Ci troviamo, infatti, a scoprire cosa ne è stato di Jamie dopo l’allontanamento da Claire, dopo la battaglia che oltre alla rivolta giacobita, mise fine alla loro vita insieme. Spoiler: lui è sopravvissuto. Strano! Non capita mai che Jamie Fraser sia a pochi millimetri dalla morte e che poi, per un caso fortuito o meno, sopravviva miracolosamente!
Sono anni difficili per Jamie, consapevole che non rivedrà mai più la sua dolce metà, ritornata nel futuro; costretto a vivere prima da fuorilegge, poi da prigioniero della corona, poi da stalliere per una nobile famiglia inglese e infine uomo libero, ma ridotto alla povertà più nera. Bisogna darne atto, alla scrittrice: la rinascita dal dolore e dalla perdita provati, gli anni di prigionia e la miseria emotiva da cui Jamie scamperà lentamente e dolorosamente, sono davvero ben descritti. Parliamo di un arco di tempo composto da ben vent’anni; vent’anni di dolore e piaghe dell’anima in cui Jamie non ha più niente da perdere e in cui pensa solo ad arrivare al giorno dopo. La Gabaldon si prende tutto il tempo che le serve per cercare di trasmettere cosa la guerra abbia significato per il suo protagonista e sarò sincera: a me questo è arrivato. Chiaramente non paragoniamo la cosa a Silvio Pellico, però devo dire che nel suo piccolo, si apprezza. Ancora di più se tra un brano drammatico e l’altro si trova anche il modo di inserire qualche chicca, come ad esempio la storia delle pietre preziose sull’isola delle foche che Jamie riesce a far sue, pur restando un carcerato e un traditore della corona potenzialmente pericolosissimo. A proposito di questo, faccio un accenno anche ai compagni di cella di Jamie, descritti molto bene e che col passare degli anni cominciano a ruotare tutti attorno alla figura del nostro Fraser, riconoscendolo implicitamente come loro leader e affidandosi a lui. Questo particolare, a parer mio, sarebbe potuto diventare stucchevole molto facilmente. Jamie è il protagonista di un romanzo storico finalizzato ad un pubblico femminile: molto, troppo facile cadere nel cliché del bello, impossibile e leader indiscusso. Nonostante questo la sua trasformazione nel carcere di Ardsmuir avviene in modo abbastanza graduale, realistico, confermando la capacità della nostra Diana di saper fornire una giustificazione logica ai caratteri, alle reazioni e alle situazioni in cui ficca i suoi personaggi. In definitiva teniamo la riserva sul cliché, ma ricordiamoci che la scrittrice sa anche il fatto suo. Un’altra chicca arriva con Lord John Grey, già apparso precedentemente, ma che qui ha tutto il tempo di palesarsi e di farsi apprezzare. Grey è stato e resta tutt’ora uno dei personaggi che più ho apprezzato di questa storia. Lo trovo molto umano, sensibile, a tratti anche malinconico, ma allo stesso tempo scaltro e nobile; è un personaggio complesso ed è un piacere leggere di lui.
Una parte che invece non mi è minimamente piaciuta è quella in cui Jamie soggiorna, dopo gli anni in carcere, nella villa di una ricca e nobile famiglia inglese, nella regione dei laghi. Qui, Jamie troverà una padrona di casa viziata e capricciosa che lo ricatterà per averlo nel suo letto. Inutile dire che ci riuscirà, che l’arzilla fanciulla rimarrà incinta, che morirà di parto e che lui si allontanerà dal figlio bastardo troppo simile a lui nell’aspetto, tornando in Scozia. Un’intera parte de “Il cerchio di pietre” è dedicata a ciò che io vi ho appena riassunto in tre righe scarse e che ha tutta l’aria di essere un Harmony da due soldi. Se leggiamo la Gabaldon, è perché vogliamo un Harmony da almeno 20 euro, perbacco! Diana, non perdere la trebisonda così facilmente, orsù! Va beh, dai, per questa volta ti salvo, ma solo perché ho trovato molto belle e struggenti le pagine in cui descrivi il periodo trascorso da Jamie, nascosto dalle giubbe rosse, nella grotta vicino a Lallybroch, dove ha vissuto quasi come un eremita, estraniato e rigettato dal mondo. Qui si assaporano tutti gli aspetti della solitudine e finalmente posso dire che si cominciano ad intravedere degli spazi della storia destinati a temi seri e anche un po’ profondi, nei quali non si comprendono minimamente i temi del sesso e dell’amore. Vi ricordate quando dicevo che questa è una storia d’amore punto e stop? Nessuna indagine sull’animo umano, nessuna riflessione seria sul senso dell’esistenza. Bene, qui si cominciano a sviluppare anche queste cose e per quanto mi riguarda è un ottimo punto a favore, probabilmente anche dovuto al fatto che non me lo sarei mai aspettato e che quindi è stata una piacevole sorpresa.
Riguardo alla solitudine, vediamo anche il modo in cui Claire ha vissuto la sua. Tornata nel futuro, incinta e sola, Claire si ricongiunge con Frank. Quest’ultimo povero e disgraziato figuro, un rivale sentimentale che sarebbe fin troppo facile disprezzare e che invece ci viene descritto come un brav’uomo, accetta di riprendere Claire con sé e di crescere la figlia di Jamie come se fosse sua. Claire non è fisicamente sola, ma emotivamente si. È spezzata e distrutta internamente proprio come Jamie, ma vive questi vent’anni di distacco in una situazione completamente diversa, in cui la figlia Brianna e l’università di medicina leniscono solo in parte il dolore provato. Inoltre, una volta morto il marito, Claire decide di fare ritorno in Scozia per scoprire che fine abbia fatto Jamie dopo Culloden e facendolo si porta dietro anche la figlia ormai cresciuta. La donna è intenzionata a raccontare a Brianna la verità sulla sua paternità e del suo viaggio nel tempo, affidandosi al giovane storico Roger MacKenzie, il cui albero genealogico si rivela successivamente molto interessante. Quando Claire scopre che Jamie è sopravvissuto e dopo un po’ di calcoli alla rain man sulle date e la loro fantascientifica corrispondenza col tempo presente viene confermato che James Fraser sarebbe ancora vivo e vegeto in veste di tipografo a Edimburgo, Brianna riesce a convincere la madre a tornare indietro nel tempo per ritrovare l’amore della sua vita. Claire si ritrova quindi nuovamente nel passato e si ricongiunge finalmente col suo secondo marito, il quale non è solo tipografo, ma anche contrabbandiere, amico di uno strambo cinese alto un metro e uno sputo e risposato, nonché separato con l’acerrima nemica di Claire. Quest’ultima è la seconda cosa alla Harmony da due soldi di cui ho letto ed è la seconda che le perdono, dopo l’apparizione del nipote di Jamie: il giovane Ian Murray; un personaggio a cui mi sono affezionata particolarmente e che si svilupperà meglio in seguito.
Dunque, la storia va avanti ancora per un po’ e per farvela breve, la coppia dovrà salpare per le Americhe, ma su questo, per ora, non ho molto da dire: scene avventurose, descrizioni lunghissime come al solito e approdo sani e salvi, seppur ammaccati, nella colonia della Georgia.
Preferisco invece osservare la scelta coraggiosa, di cui ancora non ne ho fatto menzione, di far morire a Culloden l’antagonista indiscusso di questa storia: Randall; il cattivo peggiore di cui abbia mai letto. Giuro, nemmeno Voldemort è arrivato a certi livelli. Randall, come cattivo decisamente ben fatto, in seguito ci mancherà particolarmente e sarà difficile rimpiazzarlo, per cui apprezzo l’azzardo fatto.
Probabilmente esistono talmente tanti personaggi, in questo romanzo, che sarebbe più opportuno fare una recensione solo su di essi e su come i loro caratteri vengono sviluppati, piuttosto che una recensione sulle trame di una storia che comunque è più avventurosa che psicologica. Alla qual cosa ci sto pensando seriamente! Mentre decido vi auguro buona serata e buona settimana, lettori! Alla prossima!

-Liù

Nessun commento:

Posta un commento