venerdì 6 novembre 2020

Regina Linguistica e le sue declinazioni

 

Buon venerdì a tutti, amici lettori!
Con la zona rossa, ritorna anche l’argomento Università. Se si può parlare di “ritorno”, dal momento che come argomento non se ne è mai andato. Mi pare evidente che io abbia bisogno di una vacanza o di uno stacco qualsiasi dagli studi, visto che sono diventati la mia ossessione e che ormai non leggo nient’altro che testi accademici e saggi.
Quest’oggi volevo parlarvi di un punto cardine della mia facoltà, ossia la linguistica.

Ad essere sincera, l’anno scorso, iscrivendomi al mio corso magistrale, ero ingenuamente convinta che il grosso del lavoro, su questo fronte, fosse stato fatto nei percorsi triennali e che quindi, arrivati a questo punto, ci saremmo tutti maggiormente concentrati sulla letteratura. Mai niente di più falso, amici.
Non conterò tutti i corsi che ho frequentato e che sto tutt’ora frequentando di linguistica, filologia, storia della lingua et simili, ma vi assicuro che sono molti e tutti pesantissimi. Ho già avuto occasione di parlare di qualche testo nello specifico, che infondo nel suo piccolo costituisce anche la parte più facile del lavoro fino ad ora svolto, ma oggi volevo ampliare il discorso su quello che è il fronte più sorprendentemente interessante della mia facoltà.
La linguistica è forse l’aspetto più tecnico, più scientifico del settore umanistico. È il sindaco della città della lingua, ancor più importante della stessa grammatica.
Lo scheletro, le fondamenta, la struttura portante di una lingua; tutto il resto, nella linguistica, trova spiegazione e senso. E per quanto possa essere difficile, nella mia naturale confusionaria creatività, devo ammettere che mi ha affascinato come pochi.
Fino ad ora non c’è cosa che io non abbia apprezzato di questa magistrale; ogni singolo corso. Linguistica fra i primi.
Dicono che finiamo per amare ciò che ci viene facile, ma per me, in questo caso, non è stato assolutamente così. Non ho mai avuto una grande preparazione grammaticale a scuola e non sono mai stata una cima nel ricordare regole e tempi verbali. Se parlo bene italiano è perché ho sempre letto molto, ma se mi si chiede di coniugare un verbo faccio ancora fatica e la risposta di certo non è immediata.
La lingua italiana è una lingua relativamente giovane, nata da una tradizione complessa come può essere la realtà in cui si è mossa precedentemente la lingua latina.
Nel nostro parlato siamo pieni di storture di cui neanche ci rendiamo conto e molte di esse sono, a grandi linee, “scusate” dagli esperti del settore proprio perché stiamo parlando di una lingua giovane e complessa. Giovane e complessa, ma meravigliosa e ricca di sfumature, che possono forse darci un’idea di quanto fosse stato raffinato il pensiero degli antichi.
Interessante è stato scoprire quanto le forme linguistiche dipendano e allo stesso tempo influenzino la società in cui vengono usate. Questo è stato fondamentale, per me, che vengo da un liceo delle scienze sociali; mi ha permesso di mantenere la rotta, di avere sempre chiara una direzione e di non trovarmi completamente spaesata.
Sembra una cosa di poco conto, ma avere conferma del forte legame esistente tra la società e la parola, spesso relegata in forma aulica nei licei “che contano”, unita alla consapevolezza che gli errori grammaticali li fanno tutti perché è quasi impossibile evitarli sempre, mi ha permesso di perseverare nei miei obbiettivi e di non gettare la spugna, soprattutto a fronte di nozioni difficili e pesanti da memorizzare.
È stato ed è tutt’ora bello fare fatica su questo fronte. La linguistica è capace di dare delle soddisfazioni inaspettate. Scoprire che sei ad un passo dalla dizione degli attori, dagli studi degli antropologi, dalle psicologie di Freud, che tutto è legato in modo complesso, sottile e difficile, ma con una logica indiscutibile. Non essendo una studentessa di matematica e non avendo mai avuto molta dimestichezza con le altre scienze esatte, questa piccola scoperta legata alla linguistica, la trovo meravigliosa.
Mi piacerebbe vederla affrontata anche nelle scuole secondarie, seppure in misura minore e seppur in un pentolone gigantesco di tante altre cose che mi piacerebbe vedere, nelle scuole secondarie. È utopia, ma sono veramente convinta che la linguistica possa fare la differenza. Più precisamente, sono convinta che gli studenti la odierebbero, ma che alla fine la amerebbero.

“Soffrirai, ma poi ne sarai felice, vedrai” –cit.

Capire la struttura di una lingua aiuta anche a capire il mondo che ci circonda, la città in cui viviamo e in cui siamo immersi senza nemmeno rendercene conto.
Studiare la propria lingua e le sue origini è un lavoro duro, ma fatto di tante grandi certezze sulla consapevolezza, anche e soprattutto di sé stessi.
Quanto a me, non smetto di sentirmi una Eliza Doolittle molto meno attraente e vagamente più ricca (ma neanche troppo), ogni volta che enuncio una regola lessicale o morfologica.
Buon week end rosso, miei cari amici! E abbiate cura delle vostre letture, al contrario di quello che faccio io!
-Liù

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