venerdì 20 novembre 2020

Teatro - Atto VIII

 

Buon giorno bella gente!
Oggi torniamo a teatro. Ci torniamo idealmente, nella speranza che tutti i luoghi di arte e di spettacolo possano riaprire presto in tutta sicurezza.
Ormai è cosa scontata che la mia declinazione preferita di teatro abbia nome e cognome: William Shakespeare. L’unico e il solo.
Eppure non mi era mai capitato di leggere nessuno dei suoi drammi storici. Sono stata contenta di aver scelto “Giulio Cesare” per cominciare.

Questa tragedia, se reclusa alla sola lettura, ne risente senz’altro molto nella resa drammatica, soprattutto nel momento dell’uccisione di Cesare.
Per me, lo sapete, è sempre così, ma in questo dramma ho avuto particolarmente modo di confermare la mia tesi.
Purtroppo non è colpa di Shakespeare, ma del semplice fatto che un assassinio così feroce, compiuto da più uomini insieme, carico di tutta la drammaticità del caso, sarebbe stato estremamente difficile da rendere solo con le parole e nella lettura. L’intento, tra l’altro, non era neanche quello, perché ogni cosa era scritta e pensata da Shakespeare per trovare la sua esplicitazione davanti ad un pubblico.
Come se non bastasse, dall’inizio del dramma alla sua morte, trascorre quella che mi è sembrata una quantità di tempo veramente ridicola. Giusto il tempo di riflettere sulle remore morali di Bruto ed il suo convincimento nel prendere parte alla congiura. Questi fatti, che caricherebbero tantissimo di tensione sul palcoscenico, non credo rendano sufficientemente in poco meno di due atti solamente letti.
Va detto, ovviamente, che questo non mi ha impedito di apprezzare l’opera, quanto piuttosto di volerla vedere rappresentata per godermela nelle giuste modalità.
Non c’è niente da fare, Shakespeare resterà il mio punto debole.
Poco tollero di Cechov e Strindberg e me ne dispiace, perché li ho studiati e so il loro valore culturale, ma guai a chi tocca il mio mostro sacro: Shakespeare soprassiede le epoche storiche e parla dell’uomo e delle sue debolezze con un’intensità poetica rara, sempre attuale, capibile ma raffinata.
Fulcro del “Giulio Cesare”, come sempre quando si ha a che fare con questo autore, è il concetto di potere. In ogni opera, Shakespeare ne porta sul palcoscenico una sfumatura diversa, che sia ironica e buffa nelle commedie, o un terribile monito nelle tragedie.
Il “Giulio Cesare” non fa eccezione. Fin dal primo atto, quello che vediamo è un Bruto combattuto su questo grande dilemma. Sicuro che tanto potere non debba essere detenuto da una singola persona solamente, decide addirittura di tradire l’uomo che ama e ammira.
Bruto non lo fa a cuor leggero. Lo fa per il bene di Roma, per il principio democratico che la Repubblica rappresenta. È afflitto, disintegrato nel suo più intimo essere, ma suo malgrado prenderà una decisione necessaria e sarà in grado di affrontarne le estreme conseguenze.
Bruto, in questa grande battaglia contro la sete di potere degli uomini, perde tutto. Diventa un traditore, è costretto a lasciar morire la sua devota moglie, si sporca le mani del sangue del suo mentore e tutto per un’ideale; un ideale per cui gli tremano i polsi, certo, ma lui lo porta fino alla fine e non si guarda indietro.
È dubbioso, Bruto, come qualsiasi essere assennato, ma mai vacilla: lui sa cosa è giusto. Purtroppo lo sa molto bene e proprio per questo non può permettersi di ignorare. Deve porvi fine.
Decisamente intenso, profondamente immerso nelle tematiche più tipiche di Shakespeare, emotivo e lucido, il “Giulio Cesare” è un’esperienza unica, se non nelle pagine del testo, quanto meno lo dovrà essere tra i muri di un teatro, cosa che mi auguro di poter vedere, prima o poi.
Ovviamente consiglio questa tragedia, che risulta essere anche una grande lezione morale, ma soprattutto ennesima dimostrazione che Shakespeare è l’autore ed artista più completo di cui io abbia mai avuto la fortuna di leggere.
Alla prossima, lettori!
-Liù

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