venerdì 19 febbraio 2021

Letteratura italiana - Capitolo 10

Buona sera amici e ben tornati su questi schermi.
Momenti difficili ci separano sempre più dal blog, nonché dal nostro hobby preferito.
Un po’ ci rincresce, ma cerchiamo sempre di offrire contenuti che guardino alla qualità e alla nostra autenticità da lettrici e almeno in questo speriamo di non deludere mai.
Questa sera ho voluto portare alla vostra attenzione un piccolo gioiello dell’Opera di Fenoglio. Un breve romanzo che ha anche l’onore di essere la prima cosa che abbia mai letto di questo scrittore.

Se non si fosse già capito, mi sto preparando a un esame sulla letteratura della Resistenza, il quale mi da la straordinaria occasione – e per tanto, come sempre, devo ringraziare i miei studi per questo – di aprire un capitolo della nostra letteratura che fino ad ora avevo spesso posto in disparte.
Calvino e Ginzburg, fino ad ora, erano stati gli unici nomi di cui avevo letto nell’entourage partigiana e di loro ho sempre preso in mano opere in cui l’argomento Resistenza veniva, al massimo, sfiorato leggermente. “Il sentiero dei nidi di ragno” resta un’opera a me sconosciuta, anche se spero che questa condizione di ignoranza duri ancora per poco.
Intanto eccomi qui a cercare di buttare nero su bianco qualche piccolo pensiero arrivatomi da questo Fenoglio agreste e spoglio di fronzoli quale mi sembra essere ne “La malora”.
Il protagonista è un abitante delle Langhe. Un povero agricoltore grezzo, ma onesto, i cui genitori non possono permettersi di mantenerlo, né tantomeno di farlo studiare.
Pur non descrivendolo mai fisicamente, me lo sono immaginato da subito con occhi limpidi, in cui vi è impossibile nascondere qualcosa. Il doppio gioco e i segreti non sono cosa per lui, anche se nel corso della storia un po’ ne viene tentato. Eppure Agostino Braida non ne è incline e quella non sarà la sua strada.
Agostino viene quasi praticamente venduto dal padre come bracciante e servitore ad un’altra famiglia della zona: la famiglia Rabino, non molto più ricca della sua. Ma ben presto impara cosa può diventare la guerra fra poveri, o una sua più sottile declinazione.
Il giovane da subito a fare i conti con la vita da servitore, lavorando in campi che neanche possiede e senza nessun tipo di prospettiva futura diversa dalla vita che sta conducendo attualmente. Sopra di lui, padroni non molto più colti, o di intelletto tanto più fine.
Le Langhe assumono quasi una dimensione selvatica, incivile. I campi lavorati dai contadini strabordano dagli schemi dell’essere umano e restituiscono una comunione con la terra quasi sacra, semplice e franca.
Non è un’esagerazione: in certi momenti si arriva quasi a sentire l’odore di terra smossa.
Questa condizione lavorativa, porterà il protagonista lontano dal letto di morte del padre. Agostino non riuscirà più a rivederlo vivo, dopo la sua partenza come bracciante.
Quella morte resta uno dei punti focali del racconto ed accentua senz’altro questa sensazione di stretto legame con il luogo, con la propria terra e quindi anche con le proprie origini.
Sembra contraddittorio dire che tutto l’ambiente e permeato di un nonsoché di selvaggio e che allo stesso tempo resta molto incisivo il legame con le tradizioni degli abitanti delle Langhe. Eppure ne “La malora” le due cose arrivano a coincidere: è di radici e origini che stiamo parlando e questo ci deve bastare. Nessuna dietrologia, nessun doppio senso, nessun doppio gioco.
Solo il legame con la terra ed il ciclo naturale che ogni vita compie in essa. Almeno questo è ciò che io ho percepito e lasciate che vi dica che sono più che contenta di averlo percepito.
A questo si aggiunge la descrizione del funerale e quindi, inevitabilmente, anche la descrizione della famiglia di Agostino e dei legami che intercorrono tra i suoi membri; un rito umano, non soltanto cristiano, di dignitoso commiato con il defunto che ritorna, appunto, ad appartenere alla terra.
I voli pindarici della letteratura americana son ben lontani. Sono lontane le ambizioni del grande Gatsby e l’adrenalinica tensione nervosa del cardellino di Donna Tartt. Un oceano di idealismi, movimenti e tematiche sociali ci separa e Fenoglio resta un importante protagonista e allo stesso tempo spettatore della sua storia, che è anche la nostra storia nazionale.
Dolcissimo il racconto dentro il racconto, nel momento in cui Agostino parla di come i suoi genitori si sono conosciuti, com’è dolcissima e quasi ingenua la descrizione dell’attaccamento del protagonista ad una ragazza conosciuta in casa dei suoi padroni.
“La malora” non urla e non crea troppo caos, anzi. A tratti lascia un senso di desolazione e di vuoto che difficilmente riusciamo ad abbracciare.
Qui, Fenoglio non regala neppure un eco della sommossa in tempo di guerra, ma resta in ogni caso uno spaccato di vita della quale è importantissimo custodirne la memoria collettiva.
E con questo è tutto, amici lettori! Alla prossima!
-Liù

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