sabato 19 dicembre 2015

Letteratura internazionale - Capitolo 5




Gabriel Garcia Marquez è stato uno dei più grandi scrittori, ricevendo anche un premio nobel. Nato nel 1927 e morto nel 2014, era colombiano. Dalle foto è possibile intravedere un sorridente vecchietto con i baffoni e gli occhiali: non saprei spiegare perché, ma il suo volto mi trasmette allegria; un contrasto interessante invece con il romanzo di cui sono in procinto di parlare oggi.
Premetto che non avevo mai
letto niente di Marquez, anche se “Cent’anni di solitudine” era nella lista dei libri da leggere che la mia professoressa di italiano ci aveva dato alle superiori per le vacanze, non ricordo di quale anno. Quindi la mia conoscenza di questo autore era legata al solo “sentito dire”. Un grande fan mi ha consigliato di leggerlo e mi ha prestato due opere: “La mala ora” e “Cent’anni di solitudine”. Per il momento, purtroppo, lo studio mi sta portando via tantissimo tempo e dovrò dedicarmi alla lettura di libri meno impegnati a causa della mia incapacità di fare due cose contemporaneamente. Quindi “Cent’anni di solitudine” dovrà aspettare un po’, così come altri libri della lista.
“La mala ora” è stata una lettura interessante e particolare. Opera pubblicata in Italia nel 1970, narra la storia di un paesello sud americano e dei personaggi che lo abitano, ciascuno con le proprie caratteristiche e la propria storia. La narrazione è in terza persona e segue i vari personaggi in modo alternato, raccontando un po’ di uno ed un po’ dell’altro. Sinceramente io non sono riuscita a seguire perfettamente la trama, o meglio, la sensazione che ho avuto è stata quella di leggere un pezzo di un racconto senza saperne però l’inizio e la fine, come leggere una trilogia, ma saltando il primo e il secondo libro. Come guardare fuori dalla finestra e riuscire a vedere solo uno sprazzo della realtà esterna che mi circonda. Che di per sé in realtà risulta essere una metafora interessante della vita umana: la nostra visione è sempre solo un pezzo della realtà e una sola parte di verità.
Lo stile è diverso da quello cui sono stata abituata, e questo è possibile notarlo anche attraverso le ambientazioni che vengono descritte, fortemente lontane dal nostro “occidente” così tecnologico. Cos’ distante che solo dopo molte pagine mi sono resa conto che fosse un racconto moderno, ambientato negli anni in cui l’opera è stata effettivamente scritta. La prima immagine che mi si era formata in testa era un’ambientazione stile Zorro, devo essere sincera, e pensavo fosse ambientata in un passato abbastanza remoto. Mi sono dovuta ricredere e mi sono lasciata trasportare in un mondo diverso, abbandonando pre-concezioni e schemi mentali tipici occidentali. In questo modo sono riuscita ad apprezzare meglio diversi aspetti sia legati alla storia in sé, sia allo stile di scrittura. La storia ho cominciato a capirla dopo un po’ di pagine, infatti la vita del paese che viene descritta è una vita post elezioni, dove ci sono fazioni opposte che ancora si fronteggiano e portano risentimento/rancore l’una per l’altra.
Trovo che le descrizioni di Marquez siano molto belle, molto dettagliate, ma quel tanto che basta per non annoiare e, anzi, affascinare.
“Si vestì senza lavarsi e senza pregare. Era grande, sanguigno, aveva una pacifica figura di bue mansueto, e si muoveva come un bue, con gesti densi e tristi. Dopo aver corretto l’abbottonatura della tonaca con la solerzia languida di dita che controllano l’accordatura di un’arpa, fece scorrere il paletto e aprì la porta del patio.”
I personaggi sono tantissimi e ho fatto molta fatica a starci dietro, anche perché spesso venivano nominati senza spiegare esattamente chi fossero, come se fossero semplici comparse che però poi successivamente venivano ripresi più volte.
Questo è un aspetto che credo sia legato alla differenza di stile che l’autore utilizza rispetto a quelli che, come me, sono abituati a leggere uno stile più americano o occidentale in generale.

Per quanto riguarda lo stile e la capacità di scrittura mi è piaciuto molto, ma per quanto riguarda la storia non saprei dire, onestamente, se mi è piaciuta o meno; è stato come aprire una finestra sul paese descritto e poi richiuderla, senza sapere come andrà a finire, cosa succederà, se i problemi si risolveranno e quali invece nasceranno. Ma alla fine questa è la realtà, giusto? Nessuno sa realmente come andranno a finire le cose, e qualcuno nemmeno sa come sono iniziate. E anche per questo l’ho trovato un romanzo interessante e ricco di spunti di riflessione.

- Pearl  

Nessun commento:

Posta un commento