lunedì 28 dicembre 2015

Letteratura americana - Capitolo 2


Buona sera a tutti e buone vacanze!
Avrei dovuto scrivere questa recensione il venticinque Dicembre, ma purtroppo sono stata letteralmente inghiottita dai parenti insieme al ripieno della fagiana arrosto. Ragion per cui, visto il periodo e l’atmosfera, ho deciso di parlare di un altro libro che considero molto natalizio. In genere, quasi tutte

le favole per bambini e i romanzi per ragazzi li trovo ottimi da leggere durante le vacanze di Natale, forse perché riaccendono quella magia e quell’entusiasmo che difficilmente riusciamo a sentire nell’età adulta.
Il libro per ragazzi che ho scelto è: “Piccole donne”, di Louisa May Alcott. Un libro che tutte le ragazzine leggono e uno dei pochi frequentemente apprezzato, nonostante i vari cambi generazionali dei lettori. D’altra parte amicizia, sorellanza, sentimento, segreti, pasticci e momenti drammatici sono tutto ciò che serve per elettrizzare una ragazzina. A prova di ciò basta citare “Il club delle baby sitter”, o Cornelia Funke, scrittrice tedesca cronologicamente più vicina a noi rispetto alla Alcott e famosa per “Cuore d’inchiostro”, ma che tra le sue opere conta anche la saga “Le galline selvatiche”, la quale appunto parla dell’amicizia fra cinque bambine durante tutta la loro crescita. La Alcott è la regina indiscussa di questo pseudo-filone letterario e sicuramente ne è la più famosa.
“Piccole donne” è il primo libro di una quadrilogia, dai successivi titoli di “Piccole donne crescono”, “Piccoli uomini” e “I figli di Jo”. Avendo letto solamente il primo di questa serie (sono un’eretica, lo so), mi atterrò a parlare di questo unico volume. La storia è incentrata sull’infanzia di quattro sorelle, Meg, Jo, Beth e Amy, delle loro vicende personali e del loro percorso di crescita in attesa del ritorno del padre dalla guerra di secessione. Le quattro sorelle March hanno caratteristiche e personalità ben distinte, oserei dire che uno dei punti focali del romanzo riguarda proprio le loro differenze e i loro tratti caratteriali, così come i loro gusti e le loro attitudini. Al giorno d’oggi, i giocattoli per bambine messi sul mercato hanno spesso questa caratteristica: quella, cioè, di costruire dei personaggi – bambole, barbie, polly pocket, ecc. – che hanno gusti e personalità ben precise. Per farvi un esempio, il colore preferito di Barbie è il rosa. Le sue amiche del cuore sono quasi sempre vestite degli stessi due colori: la castana di azzurro e la ragazza di colore in viola. Un dato alquanto sciocco, ne convengo, ma che da personalità ad un oggetto di plastica. La risposta più tecnologica la possiamo trovare nel videogioco “The sims”, dove si può addirittura scegliere il segno zodiacale del personaggio creato. “Piccole donne” è la versione letteraria, nonché più educativa ed etica, di questo concetto, di questo gioco. Ovviamente dietro il romanzo c’è ben più di un gioco, ma è una cosa che alle bambine e alle ragazze piace e piace un sacco. Per questo trovo sia importante sottolinearlo e non in chiave negativa, ma tutt’altro! Vado letteralmente fuori di testa per le storie che parlano di amicizia e quelle che parlano di amicizia femminile sono enormemente particolareggiate nella costruzione dei caratteri dei singoli personaggi, dando complessità e profondità alle protagoniste e alle loro amiche. Ognuna delle sorelle March ha la sua particolarità: Meg, la maggiore, è già proiettata verso l’età adulta e sa già come deve comportarsi una giovane donna di buona famiglia, Jo ama scrivere ed è irriverente, la timida Beth suona il piano ed Amy, la più vanitosa, ha talento per il disegno. Nonostante le loro diversità e i loro bisticci sappiamo che ad unirle c’è ben più di un semplice legame di sangue. Esperienze condivise, problemi economici e confidenze intime fanno di queste quattro ragazze le migliori amiche le une delle altre. Non ci troviamo di fronte alle sorelle Bennet di “Orgoglio e pregiudizio”, alcune più unite di altre, ma alle sorelle March, che trovano sempre il tempo e lo spazio per fare la pace e supportarsi.
Louisa May Alcott era la seconda di quattro sorelle. “Piccole donne” resta, almeno in parte, una storia autobiografica, nella quale sono stati introdotti parecchi avvenimenti realmente vissuti dalla scrittrice. Sapendo quanto le reali esperienze della Alcott abbiano giocato un ruolo fondamentale all’interno del romanzo, mi sono voluta documentare maggiormente, approfondendo la cosa. Di conseguenza, sono venuta a scoprire che il padre della scrittrice, Amos Bronson Alcott, è stato un insegnante, nonché filosofo statunitense, legato alla filosofia trascendentalista. Una corrente filosofica, questa, che attirava a sé nomi come Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau e che, molto vicina al pensiero romantico, non mancava però di aggiungerci una forte affermazione dell’originalità della cultura statunitense in risposta a quella europea. Oltre a questo, si può facilmente venire a conoscenza della dedizione della Alcott alla causa femminista e a quella abolizionista; una rivoluzionaria insomma, con ottime ed intellettuali conoscenze famigliari. Quanto di tutto ciò abbia condizionato la stesura dei suoi romanzi è presto detto. Innanzi tutto si attesta che la “moralità” è un tema molto frequente nelle opere della Alcott; la logica fa supporre che questa moralità da lei professata sia il prodotto dell’ambiente famigliare che lei stessa ha respirato fin da piccola. “Piccole donne” è per molti versi un manuale sommario di come dovrebbe comportarsi una vera signorina di buona famiglia statunitense. Non spaventatevi. Se state pensando a rigide regole di etichetta da trogloditi misogini dell’epoca vittoriana avete sbagliato tutto. L’idea di bon ton che abbiamo in mente, associata al periodo ottocentesco in cui è ambientata la storia, potrebbe anche valere da questa parte dell’oceano Atlantico, ma nell’America della Alcott le cose cambiano. In innumerevoli casi viene lodato l’aspetto caritatevole delle sorelle March, che si tagliano i capelli per ottenere denaro per la famiglia, donano il pranzo di Natale ai più bisognosi e li assistono come possono, senza preoccuparsi del dislivello sociale, o delle eventuali chiacchiere a cui potrebbero essere soggette. Viene messo in buona luce il carattere spontaneo di Jo e la gentilezza di Meg; al contrario, spesso e volentieri, si porta a mal giudicare l’atteggiamento svenevole e vanitoso di Amy. Chi, leggendo questo romanzo, non ha provato almeno un minimo di risentimento per la sorella minore, quando getta nel fuoco il romanzo di Jo, solo perché non può uscire anche lei?
Anche il femminismo deve aver giocato un ruolo particolare. “Piccole donne” incoraggia a pensare con la propria testa, a non essere delle belle bamboline vuote, ma ad avere consistenza, fermezza di principi, a non avere atteggiamenti studiati, ad essere spontanei e naturali.
Se c’è una cosa che “Piccole donne” mi ha trasmesso è proprio questa: nonostante le avversità della vita di tutti i giorni, a dispetto di tutto e di tutti, dignità e testa alta sono le cose fondamentali, insieme alla certezza che, attraverso le scelte che facciamo, queste due cose ce le possiamo permettere.

-Liù

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