sabato 23 luglio 2016

Letteratura americana - Capitolo 4


Buongiorno a tutti! Per fortuna torno con un libro degno di questo nome!
“Pastorale americana” è stato scritto da Philip Roth nel 1997, il quale l’anno successivo, proprio grazie a questo romanzo, vinse il premio Pulitzer per la narrativa. I dati che ho riguardo a questi anni sono contrastanti, visto che la copertina della mia copia del libro segnala la

vincita del Pulitzer nel ’97 e non riesco a dare una datazione più precisa, quindi chiedo scusa. Quel che è certo è che Roth ha vinto il Pulitzer per questo romanzo e che tale premio è del tutto meritato.
Ci viene raccontata la storia di Seymour Levov, un giovane e promettente ebreo che grazie alle sue caratteristiche fisiche particolarmente nordiche, viene chiamato da tutti lo Svedese. La vita di Seymour è sempre stata popolata da successi, sia nello sport, che fuori dal campo da gioco, guadagnandosi così la completa venerazione di tutti, prima a scuola, poi nell’esercito e successivamente all’interno della sua comunità. Lo Svedese, infatti, è tanto bravo nel basket e nel baseball quanto in ambito professionale, dal momento che è riuscito a portare l’azienda di guanti di suo padre a livelli mai visti prima. Oltre a questo si sposa con Miss New Jersey che, anche se cattolica, è di sicuro considerata un ottimo partito e che riesce a dargli una figlia: Meredith, detta Merry. Lo Svedese sembra vivere costantemente il grande sogno americano, senza nessun intoppo o difficoltà. Tutto, per lui, è facile come respirare. Ovviamente, questa fortuna è destinata a scomparire bruscamente, creando una voragine sempre più profonda nella vita del protagonista e in quelle di chi gli è intorno. Sarà la figlia, Meredith, a rovinare il piccolo e tranquillo paradiso in cui vive il padre. Prima piano piano, poi violentemente, Merry diverrà l’artefice delle tragedie abbattutesi sulla famiglia Levov e Seymour, incapace di affrontare gli ostacoli perché nella sua vita non ce ne sono mai stati prima di quel momento, verrà condotto in un vortice di disperazione in cui tutte le sue certezze crolleranno come castelli di sabbia.
Un'altra arma, un altro colpo allo stomaco ben assestato. Ho trovato questo libro molto pesante da un punto di vista intellettuale, il che non è un dato assolutamente negativo, in questo caso. Straordinario sul versante stilistico e psicologico, Philip Roth mi ha colpita parecchio. Credo sia una storia che faccia riflettere molto sulla propria identità e sulle influenze esterne che riceviamo, su quello che crediamo di essere e invece non siamo, sulla mediocrità che non ammettiamo di avere, su ciò che rifiutiamo di noi stessi e che rimane li, saldamente attaccato alla nostra personalità, nonostante le nostre volontà.
Mentre si legge questo libro non è facile provare simpatia per lo Svedese. Le prime pagine lo dipingono come un uomo troppo perfetto e per questo inumano, capace non di esprimere la propria opinione, ma luoghi comuni; un uomo che fa sempre la cosa giusta e che per questo diventa quasi irritante. Ma lo Svedese non può fare niente che non sia giusto semplicemente perché lo Svedese non pensa, è come un’immagine, un’icona vuota e niente di più. Tuttavia, man mano Roth ci introduce nella sua storia e ci rende partecipi di quello che è successo al suo protagonista, diventiamo un po’ più comprensivi nei suoi confronti. Questa figura che sembra, che crede di essere, trasparente come l’acqua è invece profondamente difficile da capire, soprattutto perché non si è mai posto tali domande su sé stesso in vita sua prima che sua figlia stravolgesse completamente il suo mondo. Merry è il polo opposto. È  un altro personaggio complesso e ben caratterizzato. Balbuziente e sveglia, la bambina conduce un’infanzia apparentemente normale, circondata da affetti, da due genitori premurosi che fanno di tutto per estinguere il difetto linguistico della loro figlioletta, il quale sembra metterla fortemente a disagio e crearle degli squilibri. Questo aspetto di Merry è uno di quelli che preferisco: sembra che Roth voglia associare la balbuzie ad una, o più, crisi d’identità e per me è una scelta geniale. Nessuno ha mai chiesto alla bambina cosa avrebbe fatto nel caso in cui la balbuzie non fosse scomparsa, nessuno ha cercato di farle capire che non sarebbe successo nulla di male e che lei sarebbe stata amata lo stesso; forse l’unica cura di cui la bambina necessitava. Merry, fin dall’infanzia rintanata nelle sue ossessioni momentanee (prima il periodo di conversione al cattolicesimo incoraggiato dalla nonna materna, poi Audrey Hepburn, ecc.), arriverà a trasformarsi in una rivoluzionaria degli anni sessanta-settanta, facendo di questo la caratteristica principale della sua personalità, detestando tutto ciò che è americano e tutto ciò che di americano (e borghese) c’è in suo padre. Lo farà aggressivamente e violentemente fino alla scelta estrema e all’allontanamento da casa (non vi dico di più, altrimenti scivolo nello spoiler). L’osservazione che sono stata portata a fare, però, è che Merry è di fatto americana; alla continua ricerca di un’identità il più possibile distante dalla cultura americana, ma allo stesso tempo profondamente statunitense. Tutto ciò che la rende la persona che è, in qualche modo, è dipeso dal fatto che questo personaggio è americano e che cerca di non esserlo; è qui che si crea la crisi, la molla che fa scattare tutto nella testa della giovane. In una situazione completamente opposta troviamo invece il padre, Seymour, profondamente orgoglioso della sua nazione, anche se forse lo è solo perché il periodo militare gli ha permesso di fare belle esperienze personali; anche se lo è perché lo Svedese non è mai andato oltre l’apparenza delle cose.
Oltre a questi due personaggi cardine ne vediamo altri numerosi e accuratamente costruiti; tutte personalità forti e abbastanza aggressive, come il padre di Seymour, il fratello sempre messo in ombra durante l’infanzia e l’adolescenza, “Miss New Jersey” e Rita Cohen. Tutti che danno voce alle loro verità, alla loro visione delle cose, inconsciamente contaminati dall’ambiente e dalle esperienze vissute, così come dalle altre persone con cui si sono interfacciati nel corso della loro esistenza.



(inserisco qui un passo secondo me molto significativo di tutto il romanzo, spero riusciate a leggerlo, almeno ingrandendo la foto; la parte sottolineata è quella che preferisco)

“Pastorale americana” è un continuo incontro, scontro, scambio e affronto tra differenti generazioni di un'unica società, tra diverse identità che agiscono come se fossero sicure di loro stesse e di ciò che sono, ma che in realtà non si conoscono completamente. È una storia che può spiegare chi siamo come collettività e quali sono i rischi di far parte della stessa; è un tipo di denuncia e autocritica che purtroppo si riesce a trovare difficilmente, al giorno d’oggi e con uno stile di scrittura particolare, interessante. Roth salta da un concetto all’altro senza un filo temporale lineare e senza paura di creare confusione nel lettore, raccontando la storia da punti di vista diversi come se fossimo a una terapia di gruppo. Certi punti mi hanno addirittura ricordato Joyce.
Consiglio questa lettura a tutti, anche se i deboli di stomaco potrebbero avere più difficoltà. Non demordete e rimarrete soddisfatti!
Detto questo vi auguro un buon week end e buona lettura!


-Liù

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