domenica 4 settembre 2016

Romanzo rosa - Capitolo 2



Buona sera a tutti!
So di essere in tremendo ritardo, è stata una settimana impegnativa ed io sono imperdonabile! Scusatemi! Inoltre, se pensavate tornassi con una recensione su qualche altro pulitzer arguto, intelligente e sagace avete proprio capito male! Allegra e felice, eccomi di nuovo qui a sproloquiare della nostra Diana Gabaldon e della sua saga tremendamente lunga ancora

non conclusa. Visto che l’ultima volta che ho accennato alla saga di “Outlander” mi sono concentrata sul primo volume e su alcune considerazioni generali che mi sembrava doveroso fare, ho pensato di andare avanti in ordine cronologico. Per tanto, questa volta, parlerò di: “L’amuleto d’ambra” e “Il ritorno”; libri che in Italia sono stati pubblicati separatamente come il secondo e il terzo, ma che in lingua originale sono uniti in un unico volume, costituendo così il numero due dell’intera saga. Vi ho già perso? Ebbene si: “Outlander” è complesso, come ho già detto più volte suscita in me opinioni molto controverse e la storia in sé è veramente articolata, senza contare il fatto che adesso c’è anche la serie tv, la quale merita davvero di essere nominata, quindi è perfettamente normale confondersi in tutto questo. Tuttavia io sono in procinto di leggere il dodicesimo volume (per l’ordine italiano), perciò tanto vale non farla troppo lunga e ammettere che nonostante tutto la considero interessante.
Per questioni di praticità e per evitare di non confondere nessuno considererò solo la frammentazione della saga così com’è stata messa sul mercato italiano, dicendovi subito che il secondo e il terzo, insieme al quarto e al quinto, costituiscono la parte più triste e drammatica delle avventure di Claire Randall… Almeno fino ad ora. Chi lo sa? Può darsi che durante la stesura del nuovo volume la Gabaldon si faccia prendere dalla vena tragica e faccia nuovamente precipitare Jamie e Claire in un altro baratro oscuro. Tutto è possibile e loro ci sono abituati: pare che non riescano a starsene buoni e tranquilli senza rischiare la vita ogni tre pagine. Eppure a noi piacciono così: giovani, innamorati e avventati… D’accordo, togliete “giovani” dalla lista. Chi ha letto i libri lo sa: “L’amuleto d’ambra” si apre ad Inverness, nel 1968. Avevamo lasciato Jamie e Claire insieme, pronti a salpare alla volta della Francia e decisi a sabotare la rivolta giacobita. Adesso sappiamo, e fin da subito, che tutto è andato storto e che Claire è tornata nella sua epoca, dov’è rimasta per almeno vent’anni. Non vorrei fare quella pedante, ma io l’avevo detto che questa storia non era banale. Pur avendo caratteristiche secondo me profondamente commerciali, propone una situazione iniziale che non invoglia esattamente il continuo della lettura, ma anzi: matura proprio l’istinto di chiudere “L’amuleto d’ambra” per sempre e non pensarci più. Una parte della mia esperienza letteraria personale mi ha sussurrato all’orecchio ciò che volevo sentire e cioè che di solito, quando lo scrittore tenta di scoraggiare la lettura del suo libro, qualcosa di bello aspetta i lettori più testardi dietro l’angolo. Dunque ho continuato e perpetrato la mia insana dipendenza fino ad oggi.
Come già detto, “L’amuleto d’ambra” inizia descrivendo eventi accaduti nel 1968, ma sia questo che il libro successivo si possono considerare come una più che esaustiva spiegazione del come e del perché Claire sia ritornata nella sua epoca.
“L’amuleto d’ambra” parla degli avvenimenti svoltisi a Parigi, dove la nostra coppia di eroi, aiutati dal padrino di Jamie, Murtagh, ordisce inganni alla corte del Re, nel disperato tentativo di impedire la rivolta Stuart; una rivolta che storicamente porterà gli highlanders a perdere tragicamente la battaglia di Culloden contro l’impero britannico e a vedere distrutta la cultura e struttura sociale dei loro clan. Se questo secondo libro narra di ciò che accade “dietro le quinte” di una guerra – tra interferenze, difficoltà costanti e in mezzo ad una nobiltà parigina superficiale, ma furba – “Il ritorno” sarà il volume che descriverà le battaglie e i morti, quello crudo, violento e assetato di sangue. L’aria (oltre ad essere infestata del puzzo rivoltante di una città come Parigi nel ‘700, i cui odori la Gabaldon non manca mai di farci notare, che tenera!) è costantemente tesa, l’adrenalina regna sovrana e viaggiamo in una storia che ci porta perennemente sul ciglio del baratro. La qual cosa risulta essere ancora più a cardiopalma se si considera il fatto che, alla fine, arriva la tragedia ultima, la rovinosa frana che travolge tutto, tra l’altro preceduta da tantissime micro-tragedie che permeano tutto il romanzo e che vedono come protagonisti indiscussi la comparsa a sorpresa del perfido Jack Randall, due gravidanze sviluppatesi sotto una cattiva stella, Conti malvagi che ostacolano ogni passo dei protagonisti e molto altro. Quando parlo di adrenalina nei romanzi di avventura, intendo una storia avventurosa, piena di colpi di scena e di sfide a singolar tenzone, non certo l’ansia che potrebbe suscitare un thriller, o un libro di paura alla Poe, ma va bene così. È chiaro che se avessi voluto quel tipo di sensazione mi sarei approcciata a quello specifico genere.
L’orchestrazione dei personaggi è, come sempre, molto buona. Si comincia con un ambiente completamente nuovo, dove i soggetti che conosciamo scarseggiano e sono affiancati da tantissimi altri, nuovi, intriganti e completamente diversi gli uni dagli altri: madre Hildegarde, mastro Raymond, Mary Hawkins, Louise de Rohan, Bonnie Prince Charlie e tanti altri. Poi, di ritorno in Scozia, ritroviamo coloro che avevamo lasciato e che qui vengono approfonditi, facendoci scoprire nuove sfumature dei loro caratteri e dei loro rapporti con gli altri, come per esempio succede tra Jamie e il cognato Ian Murray, suo amico d’infanzia, nonché suo vero e proprio braccio destro. Bellissimo il momento in cui viene fatto notare come Ian cammini sempre sul lato destro di Jamie, quando è con lui.
Tra i personaggi nuovi, vorrei porre l’accento in particolare su due figure molto belle, che meritano attenzione e che diventeranno molto importanti successivamente: Fergus, il ragazzino francese pescato nel bordello di Parigi e John Grey, della cui persona non si può dire nulla più esaustivo di “geniale”. Questi due personaggi molto diversi fanno il loro ingresso sulla scena, incominciando in questo modo la loro crescita personale che durerà e ci delizierà a oltranza.
Spenderei anche due parole sulla serie tv, la quale come la prima stagione, è stata molto soddisfacente; probabilmente merito di una regia e di un’equipe cinematografica che sa quello che fa e che è capace di ricostruire gli ambienti con attenzione. Rispetto alla prima stagione è stata forse meno attinente ai libri, ma nel complesso non ci si può lamentare, soprattutto per le scene della battaglia di Prestonpans e per gli attori scelti (la recitazione di Bonnie Prince Charlie è stata davvero convincente). Comunque, se non dovesse bastarvi, consiglio la lettura delle recensioni delle puntate sul sito di DANinSERIES, dove vi scompiscerete dalle risate e dove potrete gustarvi, alla fine di ogni recensione, una fantastica ode al kilt di Jamie.
Le note dolenti sono poche. Oltre a quelle che ho già menzionato nella recensione del primo volume, posso solo dire che “L’amuleto d’ambra” e “Il ritorno” non superano di certo la valutazione che ho dato al primo libro della saga. Infine vorrei fare un appello: signora Gabaldon, mi creda lo dico con affetto, se lei nella prima pagina scrive una dedica del genere (“A mio marito Doug Watkins ringraziandolo per la materia prima”) non puoi aspettarsi di essere presa sul serio. Nella mia copia del libro ho un appunto in matita, scritto da mia sorella, che più o meno ha lasciato detto che si era fermata li, sconvolta dalla dedica!
Vi lascio sperando di farvi riflettere su questa dedica, di avervi incuriosito nonostante tutto anche con questa storia e vi auguro buona serata e buon inizio settimana!

-Liù

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