martedì 16 maggio 2017

Libri per ragazzi - Capitolo 6


Buona sera bella gente!
Lo giuro, lo giuro, lo giuro: io “Memorie dal sottosuolo” l’avevo anche cominciato. Lo giuro, lo giuro, lo giuro: mi sono anche sforzata di andare avanti, convincendomi che data la brevità, l’avrei finito in due ore. Lo giuro, lo giuro, lo giuro, signori: io ci ho provato! Non ho potuto fare di più: “Memorie dal sottosuolo” è capitombolato nella

pila di libri accanto al mio comodino, cerimoniosamente accostato a: “Il seggio vacante”, “Le quaranta porte” e “Letteratura italiana delle origini”, tutti bollati come: “Non è il libro giusto, in questo periodo, ma voglio leggerlo lo stesso, quindi lo tengo fuori dalla libreria perché DEVO leggerlo a breve!”. Poi torno a casa, sfiancata dalla giornata di lavoro, vedo i nomi di Dostoevskij, Rowling, Shafak e Contini accostati gli uni agli altri e mi sembra un mix troppo strano anche per me. Quindi che faccio? Che fa l’intelligentona? Semplice: appena le si presenta l’occasione, corre in libreria e si compra un altro libro! E visto che quest’anno, a lavoro, mi è capitato di stare gomito a gomito con tre adorabili zucconi adolescenti (e bambini), cosa vado a comprarmi? Mi pare ovvio: un romanzo per ragazzi! E quale migliore scelta di “Berlin”, di Fabio Geda e Marco Magnone? E “Berlin” sia, anche per questa recensione!
Facciamo qualche precisazione sulla mia esperienza con questa saga libresca: il primo approccio che ho avuto con questa storia è stato attraverso un articolo. Il nome del giornale, mi spiace, ma proprio non lo ricordo. Dell’articolo mi aveva colpito molto il fatto che parlasse di una sorta di esperimento, nel quale era stato chiesto a dei ragazzi cosa sarebbe successo secondo loro se tutti gli adulti del pianeta fossero venuti improvvisamente a mancare, insieme ad acqua corrente, luce, gas e innumerevoli altri lussi della vita moderna; come si sarebbero comportati adolescenti e bambini, in uno scenario simile? L’articolo spiegava anche come, una risposta a questa domanda, aveva cercato di darla la saga letteraria “Berlin”, dalla firma tutta italiana, nonostante la chiara ambientazione dedotta dal titolo. Inutile dirlo, ho subito voluto saperne di più. È strano che, alla veneranda età di quasi ventisette anni, “Berlin” sia stato il primo libro che ho letto perché ne ho sentito parlare in un articolo di giornale. Non su internet, non direttamente in libreria, non per mezzo dei passa parola tra amici, bensì su una rivista. A me sembra stranissimo anche solo pensarci, eppure “Berlin” è una storia che mi sembra letteralmente circondata dalla stranezza! Dirò di più: la cosa mi ha affascinato ulteriormente.
Passando alla vera e propria praticità: attualmente, sul mercato, sono presenti i primi quattro volumi di una saga che non si sa ancora come, né quando si concluderà. O meglio, mi correggo: non ho cercato informazioni dettagliate a riguardo, perché sono pigra e perché tanto non è questo il punto della mia recensione, anche se auspico una possibile diffusione di notizie da “Il carattere mobile”, non appena riuscirò a saperne di più. Per ora basti sapere che i libri, attualmente, sono quattro: “I fuochi di Tegel”, “L’alba di Alexanderplatz”, “La battaglia di Gropius” e l’ultimo, uscito recentissimamente, “I lupi del Brandeburgo”. I primi tre me li sono procurati quest’inverno e non ho avuto nessuna difficoltà a finirli in fretta, uno dietro l’altro. “I lupi del Brandeburgo”, invece, è stata la mia recente tentazione in libreria; tentazione che, oltretutto, non ho ancora finito di leggere. Mi mancano pochi capitoli e non è il libro conclusivo della saga, quindi confido nel fatto che quello che avrò da dire – e che si basa completamente su ciò che ho già letto – sia ugualmente interessante. Dopotutto “Berlin” è interessante in sé e per sé. Di fatto, “interessante” è l’aggettivo che userei più frequentemente per cercare di descriverlo. Non straordinario, per nulla disgustoso, ma anzi: decisamente interessante e curioso. È interessante e curioso il solo fatto che due scrittori italiani, uno classe 1972 e l’altro 1981, si siano messi insieme in un progetto che raccontasse di adolescenti berlinesi, in una Berlino post-apocalittica, ma allo stesso tempo ambientata nel 1978, infastidita ancora dal muro, ma distrutta da un misterioso virus che si è portato via tutte le persone dai 18 anni circa in su. Non è strano tanto il fatto che la generazione dei due scrittori sia stata fortemente influenzata dal muro di Berlino, dalla sua caduta e dal background culturale che ci è girato attorno tra gli anni ’70 e i ’90. La Germania divisa e le motivazioni – sia per le quali è stata tale, sia per le quali si è riunificata – è stato e rimane tutt’oggi un discorso storico-sociale importante, che è stato (e rimane tutt’oggi) in grado di influenzare chi è della mia generazione, o ancor di più chi fa parte delle due generazioni venute appena prima della mia. Tuttavia, un prodotto del genere, resta una scelta che può risultare strana, semplicemente perché nessun italiano aveva mai fatto niente di simile, o sulla stessa linea d’onda. È un fatto strano quando “strano” diventa sinonimo di “innovativo”, o “nuovo” ed è un fatto curioso quando “curioso” significa “che incuriosisce da morire”. E ancora: non è strano tanto il fatto di trovarsi in presenza di una storia che mostra uno scenario post-apocalittico e distopico, soprattutto adesso: the 100? Hunger games? Ma è strano, interessante, innovativo e curioso il fatto che questo scenario sia ambientato nel 1978, dopo la comparsa di un misterioso virus che ha decimato l’intera popolazione e che si è lasciato alle spalle i più giovani, in angosciante attesa dell’età adulta, la quale segnerà la loro tragica condanna a morte per mano di una malattia che chiama a sé solo gli adulti. Che idea geniale! Ma soprattutto, perché non è venuta in mente a me? Ergo: ben vengano le stranezze, se questo è il risultato finale!
Dunque ci troviamo a Berlino ovest, un vero e proprio personaggio a sé, che per lo più è deserta, a tratti selvaggia, senza elettricità, né visibili ponti di comunicazione con l’esterno. Il fantasma della civiltà e dell’ordine sociale da poco deceduto aleggia sotto forma di edifici vuoti e abbandonati, strade cementate ma non più percorse da automobili e in questo territorio distrutto, nel cuore del vecchio continente, bande di ragazzi e bambini sopravvivono come possono; soprattutto come meglio credono. I ragazzi di Tegel hanno fatto dell’aeroporto la loro dimora e dell’anarchia la loro fede; quelli del Reichstag simulano una dittatura che ha tutto l’interesse a non palesarsi chiaramente; dei bambini dello zoo si sa poco, tranne per il fatto che sono, per la maggior parte, tra i più giovani superstiti; le ragazze dell’Havel si sono rifugiate nel palazzo della Pfaueninsel e quelli del quartiere popolare di Gropiusstad sono riusciti a basare la loro società embrionale sulla solidarietà reciproca. È proprio in quest’ultimo gruppo che troviamo il nostro protagonista. I ragazzi sono molti e tra loro, i personaggi importanti, quelli cioè descritti più approfonditamente, non vengono centellinati, ma il protagonista è uno: Jakob. Perché dico questo? La qual cosa non viene assolutamente specificata dagli autori, eppure questa è stata la mia chiave di lettura. Perché? Perché la peculiarità di Jakob è quella di essere un lettore. Jakob è il leader inconsapevole, il classico eroe che non ha messo ancora a fuoco la sua grandezza, ma che è totalmente destinato ad essere grande come essere umano e quindi a dare una direzione agli altri e questo è possibile perché, simbolicamente, Jakob legge. Jakob non è perfetto, non è il più forte fisicamente, né il più saggio; forse non è nemmeno il più intelligente, ma legge e in un mondo distrutto, quello che può salvarti non è tanto la forza fisica, ma la cultura. Credo sia questo il messaggio tra le righe, o almeno io l’ho interpretato in questo modo.
Oltre a Jakob, un grande coro di voci dissonanti sopravvive nella città. I ragazzi sono tutti diversi. Quelli più piccoli, quelli più grandi, chi più meschino e chi più solidale, ma per la stra grande maggioranza dei casi, ognuno con un’anima e una sua sensibilità; ognuno con una sua storia di vita prima del diffondersi del virus. L’anno in cui è ambientata la storia permette anche di parlare di un’epoca storica che molto probabilmente gli adolescenti di oggi, nell’ora di storia, non fanno in modo molto approfondito. In “Berlin” si riscopre tutta l’importanza storica di questo periodo. Da modo di far riflettere il lettore a cui questo libro è destinato principalmente, cioè un lettore giovane e in crescita, sul senso di democrazia e sulla libertà come responsabilità dell’altro e soprattutto mette il ragazzo in primo piano, come protagonista e fautore della sua vita e della sua vita all’interno del gruppo sociale.
Ho trovato il linguaggio molto semplice e semplificato, probabilmente una cosa del tutto voluta dal momento che si vuole parlare ai ragazzi. Alcuni fatti sono, come si suol dire, “telefonati” e in molti tratti si attuano dei grandissimi spiegoni per non far perdere il filo. Per me, in generale, sono note negative, ma posso anche dire che, in un certo senso, capisco questa scelta e l’esigenza di avere un testo di questo tipo.
In definitiva sono rimasta molto soddisfatta, almeno fin’ora, riguardo questo piccolo, interessante capolavoro e spero che andando avanti con la lettura si sviluppi sempre al meglio.
Consiglio la saga a tutti gli adolescenti e pre-adolescenti del mondo, oltre a chi vuole una lettura non troppo impegnativa, ma tuttavia carica di significato e senso.
Ci sarebbero moltissime altre cose da dire, ma questa recensione sta diventando lunghissima e sto cominciando a pensare che, una volta arrivati sul mercato i prossimi volumi della saga, dovrò necessariamente fare una seconda recensione.
Nel frattempo spero di avervi incuriosito abbastanza e vi auguro buona notte e buon inizio settimana!

-Liù

p.s. = se e quando lo leggerete, mi raccomando: trovate il modo di spiegarmi come cavolo sono disposte le mappe di Berlino ovest e Berlino est nell’interno della copertina, perché ve lo giuro che è da tre giorni che sto diventando letteralmente scema nel cercare di capire da che parte passa il muro e da che parte no. Ah, maledetta ignoranza!

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