lunedì 29 maggio 2017

Teatro - Atto III


Ciao a tutti!
Ripetiamolo ancora una volta: leggere un testo teatrale, cioè pensato per vederlo a teatro, non è la stessa cosa che vederne la sua rappresentazione e quindi non lo si può capire nella sua interezza se non andando a vedere il suddetto prodotto artistico sul palcoscenico. Se non che, a fare proprio gli scrupolosi, le varie declinazioni dei diversi

stili registici possono rendere praticamente impossibile la visione pura di un’opera scritta settordici secoli fa. Siamo fregati? Non del tutto! Dite: “Shakespeare” e andrete sul sicuro. Non so se l’ho già detto, ma credo sia importante quindi lo posso ripetere ad oltranza: Shakespeare è immortale. Possiamo ambientare “Macbeth” ai giorni nostri, all’epoca in cui è stato scritto, all’epoca in cui si raccontano i fatti, nell’antica Grecia, o nello spazio e il risultato non cambia, perché la grandezza del commediografo e drammaturgo più famoso di tutti i tempi è proprio questa: il fatto di essere sempre attuale e questo è possibile proprio perché Shakespeare parla all’essere umano; alle sue caratteristiche imprescindibili e immutabili, alla sua psiche, all’essere umano in quanto tale e non in quanto prodotto di un gruppo sociale. Questo, signori, è fare teatro. Shakespeare scrive e ha contenuti più “alti”, che vanno al di là del contesto storico, o culturale. Non voglio certo sminuire il resto del mondo letterario che, vissuto e influenzato dal preciso contesto storico in cui è vissuto, di quello parla e a quello è devoto, permettendo a noi lettori di comprendere meglio la nostra realtà e guardandola con una visuale infinitamente più ampia. Tuttavia è questo che penso di Shakespeare. Un enorme talento e un’altrettanta enorme fortuna nell’essere nato e vissuto in un’epoca in cui, ad un poeta (uomo) inglese, veniva permesso quasi tutto. Probabilmente, al momento della sua nascita, gli astri dovevano essersi allineati in modo perfetto. Capacità dialettiche e poetiche: in buca; Sesso giusto: in buca; Paese più tollerante della media: in buca; secolo d’oro: in buca. Billy, dico, vuoi anche una fetta di… Ok stop! Cominciamo a parlare dell’opera che ho scelto di recensire, ovvero: “Sogno di una notte di mezza estate”. Una commedia. Una commedia leggera, delicata e divertente come una piuma che fa il solletico, anche se non è esente da riflessioni.
La storia è ambientata ad Atene, nell’antica Grecia, dove Teseo ed Ippolita stanno per sposarsi. Alla vigilia delle nozze, mentre infervorano i preparativi, Egeo si presenta al cospetto di Teseo con una patata bollente fra le mani: Ermia, sua figlia, ama Lisandro e Lisandro ama Ermia, ma la ragazza ha conquistato anche il cuore di un altro giovane, Demetrio, il pretendente preferito dal padre della fanciulla. L’udienza al cospetto di Teseo è breve e si risolve con una soluzione abbastanza sfortunata per Ermia, la quale dovrà rispettare la volontà di suo padre e sposare Demetrio. Se non acconsentirà al matrimonio le strade da percorrere, per lei, sono due: o la morte, o la segregazione in un convento. Lisandro e la sua amata non ci stanno e decidono di scappare la notte stessa, attraversare il bosco per poi sposarsi in segreto una volta lontani da casa. La fuga, in effetti, riesce e i due si apprestano a passare la notte nel bosco. Tuttavia qualcosa va storto. Demetrio, avvisato da Elena, li insegue, intenzionato a riprendersi la sua promessa sposa. Elena è innamorata di Demetrio e a sua volta insegue quest’ultimo nel bosco, chiudendo il quartetto di giovani protagonisti che, nel verde abitato da creature magiche e mitologiche, si caccerà in un mare di guai. I quattro umani, infatti, non sanno che nel mondo fatato è in corso una guerra e che quindi sarebbe meglio tenersi alla larga dal loro mondo.
Titania e Oberon, la regina e il re di ninfe e fauni, moglie e marito entrambi orgogliosi e testardi, battibeccano ormai da troppo tempo per i capricci dell’uno o dell’altro e nessuno dei due fa un passo indietro in favore dell’altro. Anzi, sono capaci dei più infimi bisticci e i quattro giovani innamorati ci finiranno proprio in mezzo, dando vita a una notte di equivoci e sogni ad occhi aperti.
Da qui sta a voi, io l’incipit (e anche bello lungo) ve l’ho dato. È una storia perfetta per l’estate, quest’ultima citata a ragion veduta anche nel titolo e impalpabile proprio come un sogno. Il fatto che Shakespeare scelga di parlare proprio di questi temi, dell’amore giovanile, in un certo senso anche dell’inconscio, dello scherzo e dell’incanto e che quindi anche il suo linguaggio e la trama restino leggieri e indefiniti, non gli preclude minimamente la possibilità di parlare di quello che ormai penso sia l’argomento preferito del poeta: il potere. “Amleto”? Giochi di potere che Trono di spade levate; “Macbeth”? Non ho neanche bisogno di dirlo, con tutti quelli che il signore e la signora Macbeth hanno calpestato sul loro cammino; “Otello”? La gelosia come debolezza e la gelosia come desiderio di potere sull’altro; “Romeo e Giulietta”? Il potere del sangue e della famiglia; “La bisbetica domata”? Il potere fra i sessi e via, decidiamo chi porta i pantaloni in famiglia; “Il mercante di Venezia”? La vendetta come potere. Chi più chi meno, chi in modo divertente e chi nella tragedia. Tutte le opere di Shakespeare hanno una sfumatura diversa di ciò che significa “potere” e di ciò che significa per l’essere umano. Così è anche “Sogno di una notte di mezza estate”, dove un’intera realtà è soggetta ai capricci di un Dio vanitoso. E con essa anche i sentimenti, i quali mutano o si trasformano con la magia.
Vi consiglio quest’opera semplicemente perché è bella, ma anche perché è leggera e divertente, senza gravità, ma anche priva di stupidaggini e vuotezza.
Io vi saluto e vi auguro buon inizio settimana!
Alla prossima, lettori!

-Liù

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