mercoledì 3 maggio 2017

Letteratura americana - Capitolo 6


Buona sera, lettori!
Il libro di cui sto per parlare mi ha letteralmente fritto il cervello su più fronti, ma in senso totalmente positivo.
Non avevo mai letto nulla di Donna Tartt prima de “Il cardellino” e posso tranquillamente dirvi che se tutti i suoi libri sono così intellettualmente impegnativi, nella sua bibliografia mi ci tufferò volentieri anche in futuro.
Con la sua

mole e prestanza fisica di ben 892 pagine, si intuisce alla prima occhiata che Donna Tartt ha sicuramente qualcosa da dire. A chi si rivolge e con quale talento, lo confermiamo leggendo.
Vi dirò, per quanto sia stato forte e apprezzabile, l’ho collocato su uno scalino appena appena più in basso rispetto a “Pastorale americana”, ma siamo li: questione di centimetri. Non solo, trovo anche difficile inserirci nel mezzo altri romanzi americani che parlano così bene e in modo così dissacrantemente realistico degli Stati Uniti. C’è Fitzgerald che mi sta mettendo il broncio in questo preciso momento, ma è l’unico che ho beccato in flagrante.
La storia si concentra sulla vita di Theodore Decker, dallo sventurato giorno in cui perde la madre a causa di un attacco terroristico all’interno di un museo di New York, fino alla sua completa maturità.
Il giorno in cui la madre di Theo perde la vita non è solo drammatico, ma è anche l’inizio di un cambiamento radicale nella vita del ragazzo. Destino vuole, infatti, che per una serie di eventi consequenziali, Theo tornerà a casa con l’anello di un singolare, anziano visitatore e con il quadro di un cardellino, sottratto al museo (e quindi alla società) dopo lo scoppio della bomba all’interno dell’edificio. La perdita del genitore e l’acquisizione improvvisa ed illegale dell’opera, cambieranno per sempre le carte in tavola. Fin da subito, il centro morale del protagonista comincerà a vacillare pericolosamente e i suoi traballamenti coincideranno sempre più con la sua crescita.
Certo, Theo non ha avuto fortuna: l’improvvisa riapparizione del padre, una figura totalmente diseducativa, che l’aveva abbandonato e che lo porterà a Las Vegas solo per appropriarsi dei suoi soldi; la caduta nel tunnel della droga e di una pseudo-depressione mai ammessa completamente, la vita professionale che lo tenterà sempre maggiormente verso il ruolo di truffatore professionista, l’amore non ricambiato e un’abbondante dose di vuoto sia sociale che interiore, non sono certo d’aiuto. Tuttavia Theo non è un personaggio in balia degli eventi. È, anzi, estremamente intelligente. Non sempre onesto, forse a tratti perbenista, ma di sicuro molto sveglio e arguto. La responsabilità della sua vita è decisamente sua e si: tanto può essere sensibile, tanto può diventare meschino e presuntuoso.
Vediamo se mi riesce di dire tutto ciò che voglio dire a proposito di questo romanzo. Per prima cosa “Il cardellino” non insegna una morale; non vuole farlo e non è questo il suo scopo, ma ne parla e tanto. Scava a fondo nell’animo umano, che il più delle volte significa scavare nel profondo dei nostri schifosi difetti ed errori e porta in superficie la dura verità. E il fatto che dica la verità è certamente testimoniato dalle innumerevoli volte in cui il lettore si riconosce fra le pagine. La sensazione di essere un minuscolo granello in mezzo alla folla che non è consapevole del contributo del singolo, il sogno quando sembra più reale della realtà stessa e che allo stesso tempo ha delle sfumature oniriche per le quali ti rendi conto che c’è qualcosa che non quadra, il naso puntato all’insù in direzione dell’ irraggiungibile soffitto di un edificio antico che ti da la sensazione di essere leggiero come una piuma. E ancora la sensazione dell’ ordinarietà di una vita più che dignitosa, ma nella quale non ci avremmo mai contato se solo ce l’avessero detto qualche tempo prima della sua concretizzazione. Si, è decisamente un libro in cui si possono riconoscere e scorgere sensazioni che tutti nella vita possiamo aver provato benissimo. Il trucco è esprimere tale sensazione in modo originale, creativo e contemporaneamente efficace perché il lettore, chiunque esso sia, possa quasi sentirla e riviverla. Questo fa la scrittrice, che a tratti racconta la bellezza della fragilità umana, sfumando in una tristezza malinconica da pelle d’oca e a tratti diventa irriverente, se non addirittura ansiogena. “Il cardellino” è triste e malinconico quando parla delle emozioni e delle persone che le provano; quando ti porta a considerare le differenti personalità di ognuno come i differenti tipi di legno che Hobie l’antiquario lavora nella sua bottega; quando parla dell’amore che Theo prova per Pippa, la ragazza che non è né particolarmente bella né totalmente sana, ma che racchiude una certa musica, una certa luce. Allo stesso modo, questo libro è ansiogeno quando si trasforma in uno pseudo-thriller e concatena eventi pericolosi e velocissimi, uno in fila all’altro, parlando della criminalità organizzata in cui il protagonista si imbatte. È onirico, non solo quando racconta dei viaggi interiori che Theodore compie, con o senza la droga, ma anche quando parla della sua stessa dipendenza dalle sostanze stupefacenti e ancor di più del suo rapporto semi-dipendente con Boris. Per chi conosce “Shameless”, io Boris me lo sono immaginato con l’aspetto di Mickey Milkovich e da quella visione non mi sono più schiodata, ma c’è anche da dire che a un certo punto mi sono immaginata pure Mr Chao di “Una notte da leoni”, quindi no: mi sembra evidente che io abbia lasciato la mia sanità mentale sull’isola che non c’è.
In questo libro c’è tutto. Non vuole fare la morale a nessuno e non esistono personaggi integerrimi, ma parla tantissimo di etica, soprattutto del modo in cui Theo ci si aggrappa nei punti estremi della sua vita, per poi scivolarne via e ricadere in un comportamento discutibile, ma talvolta necessario. Parla di arte, di cosa sia e di ciò che l’uomo è in rapporto ad essa; parla di città come se fossero personaggi fisici con caratteristiche quasi umane; parla di finzione, di verità e dei confini non sempre netti fra le due cose; abbiamo un oggetto, il quadro, che racchiude mille e più significati e che si eleva a simbolo, se non ad unica ragione di vita del protagonista; descrive esperienze sensoriali e personaggi dalle psicologie complesse. Giusto: la psicologia. Qualcuno, prima o poi, mi spiegherà perché la cultura statunitense non ama la psicologia e chi la studia, mostrando sempre e comunque figure al limite dell’imbecillità solo perché studiano e aiutano la mente umana a fare un percorso di crescita. A parte questo, probabilmente l’unica pecca individuata, c’è tutto. È un libro che compie un giro completo, a 360 gradi e che dimostra anche una cultura abbondante e vasta da parte della scrittrice, la quale non si fa problemi né a citare grandi della letteratura mondiale, né a lasciare lievi sfumature da leggere fra le righe.
Ho detto tutto? Non credo che ci riuscirei mai. “Il cardellino” è un’esperienza che consiglio vivamente a tutti. È impegnativa, questo sia chiaro. Sia per quanto riguarda la quantità di pagine da leggere, ma anche e soprattutto per il contenuto. Se siete in cerca di letture relativamente leggiere passate oltre, per il momento, ma con la promessa di ritornarci non appena sarete nello stato mentale giusto, perché è decisamente un romanzo che merita tutta la sua fama.
Detto questo spero di non avervi annoiato, vi auguro buona notte e buon inizio settimana!
Alla prossima!

-Liù

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