lunedì 24 luglio 2017

Romanzo rosa - Capitolo 5


Buona sera lettori!
Stasera parlerò di un libro molto romantico, abbastanza famoso e verso il quale il mio giudizio non sembra per niente certo. Forse parlarne sul blog potrebbe aiutarmi a fare un po’ di chiarezza.
“Il cavaliere d’inverno”, di Paullina Simons, è un romanzo di cui avevo sentito parlare su più fronti: internet e youtube, passaparola, biblioteche varie, ecc. Mi aveva

incuriosito il fatto che fosse ambientato nell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale e per mesi ho continuato a prefigurarmi questo titolo nella testa senza mai dimenticarlo del tutto. Era un ronzio incostante, come una zanzara fastidiosa.
Ormai lo so: se ci sono di mezzo gli anni ’40, che si parli di film o libri, io devo esserci. È un periodo storico che mi affascina moltissimo e di cui sono sempre pronta ad ascoltarne le storie. Non scambiatemi per Miss Italia: a parte il fatto che non sono una stangona super-gnocca, non vorrei mai vivere sullo stesso pianeta abitato da Adolfo. Il mio punto di vista è un pochino diverso.
In ogni caso, torniamo al romanzo nello specifico e partiamo col riassumere la trama: Tatiana Metanova vive nel quinto soviet di Leningrado con i suoi genitori, la nonna, il fratello gemello e la sorella maggiore. Tatiana ha sedici anni, è il 1941 e attraverso l’assedio di Leningrado da parte dell’esercito tedesco, è appena scoppiata la seconda guerra mondiale, quando per le strade della città, in un giugno caldo e ancora ignaro dei pericoli bellici, la ragazza fa la conoscenza del soldato Alexander Belov. La storia d’amore più frignona e frignante della storia dei romanzi d’amore. No, scherzo: molto probabilmente non è la più strappalacrime, ma ci andiamo molto vicini. Si, perché da quando si conoscono, Tatiana e Alexander vedranno il loro amore perennemente ostacolato. Prima dalla sorella di Tatiana, poi dall’amico di Alexander, poi sarà la guerra stessa a mettersi in mezzo, ma i due continueranno ad amarsi e a cercarsi, in una serie di episodi lenti come lumache, languidi e struggenti, che danno il tempo al lettore di assaporare ogni secondo di melodramma. Questo è sostanzialmente quello che dovrebbe fare un romanzo d’amore (forse), per cui niente sbilanciamenti di giudizio, per ora. La storia è sicuramente innovativa per ambientazione, risvolti di trama e trama stessa, ma non dobbiamo confondere la novità e l’inventiva, con il “ci metto questa cosa qui perché ho la necessità di trovare una scusa e una spiegazione alla mia voglia irrefrenabile di far piangere i lettori ad ogni pagina”. No no, Simons! Che sia andata così o meno quando hai scritto il tuo romanzo, non si sa per certo, ma io me lo sono chiesta e già questo non va bene.
La narrazione, l’arte del raccontare, dev’essere qualcosa di fluido, sul quale non ti interroghi della sua veridicità; qualcosa che non sembra artefatto, ma che va giù liscio e che per questo suscita meraviglia esplodendo in gola.
Quello che voglio dire è che non credo si dovrebbe scegliere un’ambientazione o un periodo storico particolare solo perché in questo modo avremmo “la scusa” e non credo che lo scopo del narrare una storia d’amore sia quello di rendere i due personaggi sempre più sfigati, in stile “mai una gioia” nel vero senso dell’espressione, solo perché se una storia d’amore è sofferta attira di più, è più appetibile ed è più vendibile.
Del resto, una cosa sicura la sappiamo e cioè che per scrivere questa storia Paullina Simons si è ispirata alla storia vera della sua famiglia. Scrittrice russa, nata proprio a Leningrado nel 1963, la Simons ha sicuramente molto da dire sull’Unione Sovietica e sulla sua città d’origine. Questo, glie ne si da atto, si vede eccome. Piccole cose sul fondale della storia, tristezze e miserie di una quotidianità vissuta in tempo di assedio e in un inverno freddo, affamato, portatore di morte su troppi fronti. La cosa che mi è rimasta più impressa è sicuramente il racconto del pane dato dal governo sovietico alla popolazione attraverso la redistribuzione del cibo e che si scopre essere tutt’altro che pane vero, bensì segatura, ma che nonostante questo, i personaggi principali, piegati dalla fame, continuano a mangiare anche dopo averne scoperto la natura.


Il dramma della guerra e della dittatura è sicuramente sentito e descritto molto bene, anche se resta dietro e fa da sfondo alla storia d’amore; una storia d’amore che, tra l’altro, presenta troppi dei cliché più famosi. Vogliamo parlare di Alexander? Alexander è bello, forte, intelligente, indistruttibile, tutte le donne svengono al suo passaggio; è uno sciupafemmine, ma da quando conosce Tatiana smette subito col sesso occasionale, perché lei è la donna della sua vita, quella in grado di cambiarlo; geloso e con una sfumatura di autoritarismo negli atteggiamenti, perché se non è autoritario significa che di te non glie ne frega un beneamato e ovviamente, ha anche un passato tragico, povero cuore. No, Alexander non mi piace, si nota? Non mi piace principalmente perché ha la stessa consistenza di una figurina dei calciatori Panini e risulta altrettanto finto, ma a dire la verità se esistesse davvero lo caccerei a pedate.

Bitch, please!

Parliamo dell’antagonista? Dimitri è il contrario di Alexander, ma risulta essere altrettanto finto e altrettanto irritante. All’inizio non capivo il perché di tanto astio nei suoi confronti, perché non si rivelano subito certe sue peculiarità e successivamente, soprattutto nelle ultime pagine, non vedevo l’ora che se ne andasse all’inferno. L’odio iniziale nei confronti di Dimitri, almeno all’inizio, non è giustificato. Traduzione: non è stato descritto bene, secondo il mio punto di vista.
Si tenga conto del fatto che è un romanzo, questo, scritto nei primi anni duemila. In un periodo cioè, libero dal filone iniziato con “Twilight”, dalla critica intellettuale alla portata di tutti su youtube e su internet in generale, dalla quarta ondata di femminismo che non accetta più determinati preconcetti sentimentali molto più consueti e ordinari nel secolo scorso.
Tatiana, tutto sommato, non è un personaggio disprezzabile, anzi tutt’altro. È dotata di grazia e di ostinazione, senza essere né sottomessa, né un’eroina senza difetti. È gentile; soccombe, ma sopravvive alla sua epopea, anche e soprattutto moralmente, fino all’ultima, sofferentissima pagina. Si può anche notare, nei suoi confronti, un sottile percorso di crescita da bambina a donna e la cosa è del tutto apprezzabile.






Come dissi per “La straniera”, questa è una storia d’amore… Punto. Nessun risvolto psicologico, salvo un leggero eco del dramma della guerra sul fondo, ma principalmente è una storia d’amore e di quella si racconta. Niente per cui indignarsi troppo: questa impostazione è avvertita se non del tutto sbandierata, quindi se non altro è un libro onesto e chissà che non migliori nei due libri successivi. Non so se, o quando mi passeranno sottomano e se, o quando avrò voglia di leggerli. In ogni caso restate sintonizzati e può darsi che lo scoprirete.
Nel frattempo, in questa pausa da libri che non riesce a passarmi, non ho idea di cosa leggere, né di cosa potrebbe ispirarmi. Sono bloccata in un limbo dal quale vorrei proprio uscirne, visto che la voglia di leggere non mi manca. Ciò che mi manca è il libro giusto e il sapere quale esso sia. Consigli?
Continuando la mia ricerca e sperando che comunque questa recensione venga apprezzata, io vi saluto, vi ringrazio e vi auguro buona settimana!


-Liù

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