lunedì 7 agosto 2017

Libri per bambini - Capitolo 4


Avvertenze: prima di leggere questa recensione assicurarsi di avere una tavoletta di cioccolata a portata di mano da poter sgranocchiare.

Buongiorno lettori!
Oggi vorrei scrivere di un classico della narrativa per l’infanzia. È chiaro che quando si parla di classici e infanzia, Roald Dahl deve per forza spuntare fuori. Infatti eccoci qui,

con “La fabbrica di cioccolato”.
I ricordi sono confusi e non posso affermarlo con certezza, ma credo di NON aver iniziato la lettura di Roald Dahl da questo romanzo: ho un vago ricordo di una copia di “Streghe” fra i banchi della mia scuola elementare. Come poteva essere diversamente? Passione per le streghe, ricordate?
Anyway, questo non significa che non abbia mai avuto una certa passione anche per il cioccolato! “La fabbrica di cioccolato” è una storia che è rimasta tra i miei affetti letterari. Nonostante sia stata una scoperta più tardiva, è anche vero che entrambe queste letture sono avvenute grazie all’influenza delle scuole. Più precisamente, per quanto riguarda il libro di cui parlerò, la storia del nostro incontro è questa: ogni anno era in corso una gara letteraria fra le varie classi della mia scuola media. Le sezioni avrebbero letto tutte lo stesso libro e si sarebbero sfidate in una serie di quiz a eliminazione. Non siamo mai stati una classe particolarmente studiosa, non ricordo che nessuno del nostro gruppo abbia mai raggiunto risultati soddisfacenti in una di queste gare, ma i libri letti mi sono rimasti molto cari: “Il diario segreto di Adrian Mole”, “Storia di Iqbal” e appunto “La fabbrica di cioccolato”. E fu amore, attrazione, passione, quello che preferite, ma scattò la scintilla.
Ora, invece di dilungarmi noiosamente nel riassuntazzo del libro, ho deciso deliberatamente – e in modo molto democratico – di saltare a piè pari la trama di questa storia (difficile non conoscerla), per passare direttamente alle considerazioni personali; facciamo che nessuno me ne voglia per questo e andiamo tutti allegramente avanti.
No, aspettate! Per sicurezza lo richiedo: avete il vostro dolciume preferito a portata di mano? Lo state già mangiando? Perché discorrere di questo libro è come guardare “Chocolat”: devi per forza mangiare qualcosa di dolce mentre lo fai, altrimenti ci ripensi tutto il giorno e se riesci a resistere con la luce del sole, ti vengono comunque le voglie notturne! Pronti? Ok, ripartiamo.
“La fabbrica di cioccolato” è un libro bellissimo, soprattutto per un bambino. È letteralmente un sogno ad occhi aperti (chi non vorrebbe visitare una fabbrica di cioccolato e dolci come quella di Willy Wonka?). Sicuramente suscita meraviglia, che è un ingrediente necessario per un libro per bambini. Altra cosa importante: è profondamente educativo e lo è attraverso la risata e il divertimento. Mai avevo letto di una storia in cui la quasi totalità dei bambini presentati erano di natura odiosa e secondo così tante sfaccettature diverse. In loro ritroviamo i vizi e i difetti più comuni dei bambini del nostro tempo: essere ingordi, essere viziati, essere talmente competitivi da risultare aggressivi, essere ossessionati dagli oggetti computerizzati e dalla televisione. Insieme a loro, troviamo anche dei genitori ancora più inetti, ciechi e sordi di fronte ai seri problemi comportamentali dei loro pargoletti, i quali hanno troppo, vogliono sempre di più e nulla stringeranno alla fine. Un bell’insegnamento se si pensa che, a leggere questo libro, sono stati e sono tutt’ora generazioni completamente in preda alla febbre da social e ad un’avida fame generalizzata, sul cibo-spazzatura come sui successi quotidiani, non in grado di sopportare (e superare) un “no”, o una banale sconfitta della vita di tutti i giorni. Ovviamente non mi riferisco solo alle nuove generazioni. La mia è una critica che si estende anche e soprattutto alla generazione che conosco di più: la mia. Nessuno vorrebbe essere Veruca Salt, o Mike Tivù e nessuno ammetterebbe mai di esserlo. I bambini antagonisti di questo libro rappresentano i difetti del lettore, ingigantiti all’ennesima potenza e aleggia per tutto il romanzo l’idea che, presto o tardi, ognuno di loro raccoglierà ciò che ha seminato, niente di più.
“La fabbrica di cioccolato” non è solo un libro bellissimo, è anche un libro cattivo, che sgrida e rimprovera senza indulgenza e che, attraverso la fabbrica, espelle ciò che non va bene.
Lo stesso Willy Wonka non appare come un personaggio totalmente buono e generoso, anzi mi è sempre sembrato molto impertinente, sicuramente menefreghista, dalla battuta pungente, ma sempre schifosamente sincero. Willy Wonka è un altro bambino, o se preferite un adulto mai cresciuto. Wonka ha atteggiamenti da bambino, la sua storia è una storia straordinaria e difficile da credere, come quella che potrebbe raccontare un bambino e proprio per questo può permettersi di essere politicamente scorretto, diseducativo in un certo senso, quando cioè l’arte dell’educare si fonda su convenzioni e convinzioni errate. A Willy Wonka questo non interessa. Non interessa se una delle bambine diventa un gigantesco mirtillo viola, o se uno dei bambini diventa un lillipuziano, perché non ha la moralità di un adulto, ma quella di un bambino: se non ascolti e fai sempre i tuoi comodi, ben ti sta ciò che ti capita. Non è una moralità più buona, ma forse più equa; fra pari. A fare la parte dell’adulto, qui non sono gli adulti, ma Charlie, il protagonista. Charlie è un bambino maturato sotto la dolorosa spinta della povertà e che per questo risulta il vero adulto della situazione e in quanto vero adulto, è colui che da l’esempio al lettore. Tutti vorrebbero essere Charlie, non importa quanto egli possa essere povero o sfortunato.
Ho amato questo libro da piccina, lo amo ora da adulta e, mi duole dirlo, non credo che Tim Burton gli abbia reso giustizia. È un film piuttosto godibile, ma niente di minimamente paragonabile al libro. Chiariamoci: io non sono una di quelli che pensa che il libro sia sempre meglio del film, quindi Tim, ti dai una mossa per cortesia? È da anni che non si può parlare di una tua pellicola senza trovarci qualche difetto.
Immagino sarò costretta a vedere anche la versione del 1971, con Gene Wilder. Che sacrificio! Prepariamo ancora più dolci… E diciamo addio alla dieta. Ah, i libri! Causano danni sul serio, allora!
Buona serata, amici! E buon inizio settimana!


-Liù

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