venerdì 17 gennaio 2020

Fumetti - Capitolo 4

Buon giorno lettori!
Come ogni Gennaio si avvicina il giorno della memoria ed è una data che io personalmente tengo molto a prendere in considerazione, soprattutto scrivendo su un blog di libri e letture.
Ho iniziato questo mese parlando di Angelo Tasca e del suo Mussolini. Oggi voglio continuare su qualcosa di più accessibile al grande pubblico.
Questa settimana sarà la volta di Art Spiegelman e della sua straordinaria opera a fumetti: “Maus”.
Sotto i più disparati aspetti, “Maus” può considerarsi un grande classico, sia che si parli del mondo dei fumetti, sia che si parli di tematiche quali Auschwitz e Shoah. Insieme al “Diario di Anna Frank” e a Primo Levi, i topi di Spiegelman sono una pietra miliare della narrativa riguardante la persecuzione degli ebrei e sono estremamente orgogliosa di dire che, finalmente, anche io ho letto questa piccola perla a vignette.
L’edizione in mio possesso non sarà certo quella completa ed ovviamente non è nemmeno la migliore da un punto di vista estetico. Anche se, devo dire la verità, si difende bene.

Questione di gusti, più che altro, ve lo concedo.
Tuttavia, quel che è certo è che “Maus” entra a pieno titolo nel mondo della letteratura e lo fa meglio e con più facilità di tantissimi tomi da settecento e più pagine, che tanto parlano e alla fin fine non dicono niente.
Per chi non fosse ancora convinto che i fumetti siano roba seria, signore e signori, ecco a voi un’autentica opera che per forza di cose vi farà cambiare idea. Perché se non lo fa, sappiatelo, avete qualche problema serio e sarebbe il caso di farsi prescrivere una cura pesante a base di cultura da assumere in gocce tre volte al dì. Oppure facciamo direttamente in vena.
Che fossimo la società dell’immagine, non è necessario che sia io a dirlo, visto che è saputo e risaputo, detto e ridetto. Tuttavia, mai come in simili casi possiamo renderci conto della veridicità di tale affermazione. “Maus” può certamente far avvicinare anche i meno ferrati in storia ad argomenti che tutti dovremmo conoscere, quanto meno (e sottolineo “quanto meno”) per un livello base di cultura generale. Spiegelman ha i suoi mezzi per catturare il nostro interesse: attraverso immagini semplici, non particolarmente elaborate, dove la figura raramente si concede slanci intrepidi fuori dal riquadro della vignetta di appartenenza, ma che allo stesso tempo sono in grado di comunicare ciò che serve, senza tanti ghirigori, né salamelecchi; il che, va detto, trascina ancor di più nel clima di povertà e disperazione dei ghetti ebraici durante la seconda guerra mondiale. Un modo di impostare la tavola e di disegnare i suoi soggetti che portano la vecchia scuola fino ai giorni nostri, rendendola immortale.
Nonostante questo stile, l’innovazione c’è e ben evidente! Perché fidatevi, non si troverà nessun’altro così abile nell’ introdurre gli animali umanizzati come protagonisti della propria opera, tra l’altro scegliendo non a caso degli animali specifici per diverse etnie: i topi ebrei, i gatti tedeschi, i maiali polacchi. “Zootropolis” non vale, è arrivato molto dopo, cari miei e mi dispiace, ma contro “Maus” anche la Disney perderebbe.
Spiegelman è buio e crudo, essenziale e quasi minimalista. Il che fa del suo stile il tipo di narrazione perfetta per l’argomento che ha scelto. Oltre a questo, l’autore ha ben altri assi nella manica, che si traducono nell’accento ebraico del padre come “io narrante” e nel raccontare l’olocausto da un punto di vista personale, prendendo piccoli e grandi episodi quotidiani realmente accaduti e descrivendone la semplicità insieme all’orrore.
Nella mia ignoranza, io ero convinta che venisse fatto un discorso più ampio, sulla base di una storia comune, sulla base della storia collettiva. Ma sono contenta che non sia stato così, perché ricordare il proprio vissuto personale significa anche aggiungere un tassello in più nella memoria collettiva, il che, per la giornata della memoria, trovo sia azzeccatissimo. La dimensione biografica permette di avvicinare maggiormente il lettore al narratore e di dare un senso più completo al suo dolore e a ciò che ha vissuto.
Fiorenti sono le testimonianze, su questo argomento e non poteva che essere così. Ognuno, poi, traduce la sua storia attraverso i mezzi che ha per raccontarla e Spiegelman ha saputo dare alla sua un timbro originale ed efficace; soprattutto con estremo rispetto per la memoria di suo padre e del suo racconto.
Consiglio questo fumetto perché è veramente accessibile a tutti e allo stesso tempo è un prodotto di grande qualità, che non perde mai di importanza, nonostante gli anni, anzi! In fatto di importanza, ne acquista sempre di nuova.
Buona lettura e buon fine settimana, amici!
-Liù

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