venerdì 31 gennaio 2020

Poesia - Ogni volta che mi baci muore un nazista



Forse mi è già capitato di dirlo. Con la poesia ho un approccio che non è soltanto sporadico e rado, ma anche, per così dire, “saltellante”. Nel senso che non solo ne leggo poca, ma salto anche da un componimento poetico all’altro senza sentire la benché minima necessità di leggere in maniera integrale e lineare un libro intero, così com’è stato pubblicato. Preferisco piuttosto assaporare ogni poesia singolarmente, cercando di fare mie rime e parole, metafore e significati sottesi e ancor più frequentemente, la semplice e primaria sensazione che sanno darmi di primo acchito.
Un amore che se non è un colpo di fulmine, mi dispiace, ma non fa per me.
In maniera analoga, seppur differente, è l’approccio che ho con le canzoni, visto che apprezzo maggiormente una lista fatta da generi e cantanti diversi, piuttosto che un unico cd con le stesse voci e lo stesso stile.
Del resto, la poesia è fra le forme letterarie che più si avvicinano alla musica, anche con le dovute distinzioni. La canzone, per quanto faccia largo uso delle parole, ha un linguaggio primario fatto puramente di note e suoni. La poesia, per quanto ci possa “suonare” ritmica e “musicale”, è pur sempre dominata dal verbo. Tuttavia, per questa loro vicinanza, ho sempre trovato la poesia come una forma letteraria ottimale per avvicinare i più giovani alla lettura, in particolare gli adolescenti.
So per esperienza sia diretta che indiretta, che gli adolescenti hanno enormemente bisogno di musica, come la nave di una vela; che per la sua immediatezza e possibilità di astrazione, la musica può essere una vera e propria ancora di salvezza. La poesia ha un potenziale simile e potrebbe fare altrettanto, ma spesso e volentieri resta di nicchia, confinata a materiale noioso proprio delle lezioni scolastiche mortalmente complesse, lente, in cui solo la poesia aulica può accedervi.
Che sia così da sempre, non significa certo che dovrà esserlo ancora in futuro. E sappiamo che di poeti a noi contemporanei, o di poco precedenti, bravi e di più veloce comprensione a noi comuni mortali ce ne sono, validi e con tanto da dire.
In passato ho parlato di Francesca Genti, che personalmente trovo meravigliosa. Oggi vorrei parlare di Guido Catalano, che non trovo così meraviglioso.
“Ogni volta che mi baci muore un nazista” è il bizzarro, poetico e romantico titolo dell’opera che ho avuto tra le mani nell’ultimo periodo e che, come ogni volta che leggo poesia, ho gustato a spizzichi e bocconi, godendomi i versi con questo approccio barbaro fatto di salti a piè pari e lettura altalenante. Il giudizio che ne consegue è positivo. Molto positivo, ma resto tuttavia dubbiosa. Non mi convince fino in fondo e devo ammettere che mi dispiace tanto dirlo.
Lo stile di Catalano è autoironico e alla mano. Nelle sue poesie sembrano essere molte le presenze femminili, di differente natura, carattere, fisicità e storie personali. Questa varietà è bilanciata da una costante che invece non manca mai di sbirciare tra le righe: se stesso. È molto forte la presenza dell’autore stesso, che si muove in modo buffo, compensato da un suo proprio stile personale, con il quale può cavarsela anche senza avere le carte migliori in mano. Aggiungiamoci le parolacce (troppe, per i miei gusti), frequenti dialoghi diretti (apprezzatissimi nella loro musicalità) e un quadro quotidiano che racconta la realtà contemporanea di tutti i giorni; una vita che potrebbe essere la vita di molti di noi, ovviamente in chiave romantica. Perché se c’è una certezza in questo compendio di poesie, è proprio l’amore come unico e vero tema principale.
Non ho mai pensato che la poesia, per utilizzare un linguaggio più colloquiale, dovesse necessariamente mancare di profondità e ricchezza lessicale. Avevo aspettative leggermente più alte circa le metafore, il lessico e anche un po’ riguardo all’estetica globale. Invece, l’ho trovata molto terra terra, delle volte troppo e ciò che in alcuni casi diventa un bel gioco di parole, una gradevole assonanza, un concetto a noi molto vicino e che possiamo sentire come nostro, può facilmente trasformarsi in banale, quasi scontato, o non completo, come se l’autore avesse potuto fare di più ma gli fosse mancato uno step.
L’approccio di lettura da me impiegato abitualmente per le poesie, in questo caso, potrebbe essere stato un colpo di fortuna; un modo per approcciarmi a questo tipo di poetica senza venirne annoiata o senza sentirmi frustrata per non ottenere quel gradino qualitativo in più in cui io, Catalano, già ce lo vedevo benissimo.
Perché diciamocelo: le storie romantiche che racconta sono dei veri e propri gioiellini; dei piccoli tesori in cui ci si addentra fino in fondo. Il nostro poeta torinese ci prende per mano e ci mostra i minuscoli dettagli. I nei, le lentiggini e i pori; le pagliuzze nelle pupille, le piccole imperfezioni che solo nell’intimità più profonda del rapporto sentimentale si riesce conoscere e nelle quali è catalizzata tutta la bellezza del sentimento amoroso. In un universo poetico fatto di grandi imprese, di scenari eroici in cui per amore si rischia la vita, è bello ritornare a raccontare di un’intimità vissuta sotto le lenzuola, nel baretto sotto casa, nel panorama di una città che potrebbe essere il panorama di tutte le città del mondo. Peccato che ogni tanto, sotto le lenzuola, capiti Sandra Mondaini che fa la matta con le coperte.
Nel complesso approvo l’operato di Catalano, anche se spero e mi auguro che possa fare di molto meglio!
Detto ciò, vi lascio con un augurio: quello di ricoprirvi, sempre e comunque, di poesia. Fa bene al cuore e a qualsiasi altro organo.
Buon week end, lettori!
-Liù

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