venerdì 24 gennaio 2020

Racconti - Capitolo 2




Buongiorno a tutti.
Oggi ci dedichiamo ad una raccolta di racconti. Io ho la tendenza a ritenere i racconti più leggeri dei libri, perché sono semplicemente più corti, permettono di non perdere il filo quando si è stanchi e non si riesce a leggere più di un capitolo per volta. Ma oggi porterò la dimostrazione di quanto io abbia sempre sbagliato finora in questa considerazione.

Questa raccolta l’ho trovata casualmente, nella cantina del mio affittuario, che non era interessato a tenere alcun libro (e ce n’erano parecchi). Dopo una selezione, ci siamo divisi libri tra amici e il resto lo abbiamo portato alla biblioteca. Tra quelli che ho tenuto c’è questa raccolta di un autore molto controverso: Charles Bukowski. Io non avevo mai letto nulla di suo, ma ne ho sentito molto parlare come autore scomodo, che appartiene alla corrente del realismo sporco, ovvero soprattutto un racconto breve, con pochi elementi sia a livello di ambientazione che di personaggi, che lascia molto spazio al contesto, elemento da cui si può trarre il significato dell’opera. È uno stile minimalista che si concentra specialmente su personaggi poveri o che versano in cattive condizioni, generalmente reietti della società o protagonisti scomodi.
L’autore ha sicuramente avuto una vita complessa, articolata e forse anche sfortunata sotto certi punti di vista. I racconti di cui vi parlo oggi li potete trovare nella raccolta “Compagno di sbronze”, volume che segue “Storie di ordinaria follia” del 1972, da noi pubblicato nel 1975/79. Si potrebbe dire che è una raccolta decisamente indigesta, perché gli argomenti di cui parla, unitamente ad uno stile minimalista, schietto e senza pudore o abbellimenti vari diventa in alcuni casi pesante da leggere. E questa è la sua particolarità, infatti senza questa combinazione il risultato non sarebbe affatto lo stesso.
Alcuni dei racconti sono autobiografici ma non viene specificato quali, anche se alcuni sono facilmente riconoscibili, visto che parla in prima persona o si cita direttamente tramite il parlato degli interlocutori.
La prima parte, diciamo pure la prima metà del libro, è più difficile perché è più volgare, esplicita, raccoglie i racconti più violenti e viscerali, mentre la seconda continua sullo stesso filone ma risulta molto meno pesante. Ho avuto inoltre la netta sensazione i racconti autobiografici si trovino prevalentemente nella seconda parte, e questo mi ha spinto a vedere questa prima parte così indisponente come una sorta di muro di protezione, che si può superare solo con una grande forza di volontà.
L’immagine dell’autore che ho percepito leggendo questi racconti è quella di un uomo fragile e molto solo, che usa l’alcol per estraniarsi dal mondo, per isolarsi sempre di più e non dover affrontare la vita. Lo usa per costruire una muraglia attorno a lui, e tenere distanti le persone, che dice di odiare. Allo stesso modo è come se i primi racconti avessero l’obiettivo di spingere il lettore a smettere di leggere, abbandonare la raccolta da qualche parte a causa del fastidio, della nausea, dello schifo che generano. Ma per i lettori che continueranno nonostante tutto questo si aprirà una finestra sul suo mondo interiore. Certo non c’è da immaginarsi una seconda parte piena di buoni sentimenti, di rose, amore, fiori e tanta bontà. Gli argomenti dei racconti restano simili, ma le reazioni del protagonista si modificano, mostrando la sua parte fragile più nascosta, più sola, più disperata.
Il racconto che più mi ha disturbato è quello intitolato “Il demonio”, a pagina 67 dell’edizione che ho, ovvero l’Universale Economica Feltrinelli, per questo vi dico che è come se Bukowski volesse dirci “Vattene, non continuare a leggere, lasciami in pace.”. Fino a quel momento si assiste ad una escalation di depravazione, come se desse libero sfogo a tutto ciò che di peggiore gli possa venire in mente. Dopo il racconto sopracitato invece, si stabilizza per un paio di racconti e poi inizia una lenta discesa in cui la volgarità e la violenza diminuiscono e aumenta invece la sua solitudine.
Non mi sento onestamente di dire che mi sono piaciuti i racconti, perché mentirei, anche se un paio li ho trovati non proprio divertenti ma piacevoli per lo più. Mi ha affascinato molto però questa evoluzione del libro che ha messo in luce l’autore più che i racconti in sé. Certo, avevo pensato di interrompere la lettura dopo “Il demonio”, ma la spinta a vedere fino dove poteva arrivare mi ha portato fino alla fine, soprattutto dopo aver constatato l’andamento decrescente della seconda parte.
Non mi sento nemmeno di consigliarlo spassionatamente. Tutto dipende da voi, da cosa vi piace e cosa no, ma soprattutto da quanto pelo sullo stomaco avete, se mi concedete questo modo di dire. Ad esempio se avete letto “VM18” di Isabella Santacroce e vi è piaciuto potreste leggere anche questo. Se invece il massimo che riuscite a tollerare sono i gialli di Agatha Christie, ecco, forse lascerei perdere.
Insomma non ve lo consiglio tanto come lettura dei racconti quanto come approfondimento dell’autore stesso, per entrare nel suo mondo e scoprire l’uomo dietro il muro.
A presto
-Pearl

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