venerdì 20 marzo 2020

Letteratura tedesca - Capitolo 3




Buongiorno gente!
In questi giorni di quarantena mi sarei immaginata di leggere molto di più, invece ho scoperto che in realtà leggo meno spesso, ma per tempi più prolungati. Andando al lavoro con i mezzi pubblici infatti dedico ai libri il tempo del tragitto, circa 30 minuti al giorno. A casa posso leggere per ore, ma meno frequentemente, infatti la stanza che assorbe la maggior parte del tempo è la cucina.
Mi so dedicando a tutte le ricette che avrei sempre voluto provare  ma per le quali mi è sempre mancato il tempo. Ma torniamo ai libri.
Ho letto in questi giorni un titolo molto famoso ma per nulla recente, risale infatti all’anno 1929 ed è la prima opera di Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
Narra la storia di Paul Bäumer, un diciannovenne che si trova arruolato tra il 1914 ed il 1918 sul fronte tedesco, nella Prima Guerra Mondiale. Con lui ci sono i suoi compagni di classe, tutti arruolati insieme su suggerimento del loro professore di scuola, e altri personaggi adulti, come Katzinski, che condividono la vita con loro in quanto parte della stessa camerata. Si percorre insieme ai personaggi tutta la tragica vicenda del conflitto, dall’entusiasmo iniziale di giovani uomini che vogliono essere eroi, all’orrore delle esplosioni, delle morti, della stanchezza e della solitudine.
Lo stile di scrittura è piuttosto semplice, anche se particolarmente accurato in alcuni dettagli, si nota infatti come l’autore abbia vissuto realmente il pericolo e le trincee. Anche lui diciannovenne, infatti, era stato arruolato e successivamente, nel 1917, ferito, quindi rimandato in patria per poter essere curato. Non si può certo parlare di un’autobiografia, ma sono sicura che la sua esperienza personale abbia avuto un ruolo importante per la trama, credo che l’abbia resa molto realistica ed allo stesso tempo più semplice. È difficile raccontare e descrivere in modo allo stesso tempo preciso e chiaro un avvenimento o un concetto, se non lo si conosce bene, e una delle modalità di apprendimento, spesso sottovalutata, è l’esperienza. Per questo, secondo me, è riuscito a trascrivere e a mettere in parole la tragicità della guerra.
È stato però comunque difficile da leggere, per le tematiche trattate e per la drammaticità della Prima Guerra Mondiale, nonché a causa della consapevolezza che, anche se i personaggi non sono realmente esistiti, sono esistiti dei loro corrispondenti: quello che i protagonisti vivono nelle pagine del romanzo sono situazioni veramente vissute da chi nella vita reale la guerra l’ha combattuta davvero. Trovo inoltre che tra gli aspetti peggiori di tutto ciò vi siano la distruzione psicologica ed il crollo delle speranze a cui questi giovani sono corsi incontro senza sapere che invece correvano incontro alla morte. Ci sono dei passaggi all’interno del libro, che lo mostrano chiaramente, come i pensieri sulle motivazioni alla base della guerra e sulla speranza di progetti futuri di Paolo (sì, perché nella versione italiana i nomi sono stati tradotti) a cui lui stesso cerca di porre un freno per non perdere la lucidità e non cedere alla disperazione. C’è inoltre un enorme scollamento tra la vita a cui i ragazzi erano abituati e a come la guerra ha trasformato la loro normalità. E questo si nota molto bene quando, in licenza, il protagonista si trova al bar con un vecchio professore. C’è un enorme differenza tra quando le cose vengono vissute in pima linea, direttamente, e quando invece vengono vissute dalle retrovie, da chi la guerra la immagina soltanto e non fa altro che essere bombardato di propaganda e di false speranze.
L’aspetto psicologico comporta anche un grossissimo problema che in realtà è stato messo a fuoco ed accettato solo molto tempo dopo: il PTSD – Post Traumatic Stress Disorder oppure, in italiano, DPTS – Disturbo Post Traumatico da Stress. Quando Paolo torna a casa in licenza mostra molti dei segnali tipici di questo disturbo, e man mano la situazione peggiora, di pari passo peggiorano anche i sintomi. Proprio durante questa guerra sono cominciati gli studi al riguardo, continuati poi con la Seconda Guerra Mondiale, la guerra di Corea e la guerra del Vietnam e solo nel 1980 è stato inserito come vero e proprio disturbo nel DSM III (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, terza edizione).
I personaggi, così come la trama, risultano realistici ed è facile immedesimarsi ed affezionarsi, se non a tutti, almeno ad alcuni di loro.
Credo che aver letto questo libro proprio ora mi abbia spinto a fare delle riflessioni che mi hanno colpito emotivamente molto più di quanto avrebbero potuto fare in una situazione diversa. Noi siamo a casa, per arginare un virus pericoloso, soprattutto per una parte della popolazione, ma non solo, e per interrompere il suo contagio, dentro e fuori il confine del paese. Eppure ci stiamo rendendo conto di come sia difficile per noi accettare dei limiti imposti dall’esterno, anche se richiedono solamente di non uscire. Ai nostri nonni, ai nostri bisnonni, ai nostri genitori, è stato chiesto molto di più in passato, perché chi aveva avuto la possibilità di farlo (Capi di Stato, Imperatori e quant’altro) non hanno scelto di essere responsabili dal punto di vista umano e hanno scelto di non pensare al bene comune, per la propria gente, ma ad altro, fosse esso orgoglio, potere, denaro, territori, eccetera.
Oggi stiamo provando a mettere il bene comune davanti a tutto, stando tranquilli a casa, ci sono offerti servizi gratuiti e comodità di vario tipo. Siate responsabili, e state a casa.
Vi lascio una piccola parte spoiler perché vorrei dire due cose sul finale, quindi per chi non ha letto “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, vi consiglio di recuperarlo appena potete e noi ci aggiorniamo alla prossima volta.
A presto!
-Pearl




















ATTENZIONE!!!


SPOILER


Tra le morti che mi hanno colpito di più e di cui mi è dispiaciuto moltissimo c’è l’ultima morte, quella che lascia Paolo da solo al fronte, ovvero la morte del mio personaggio preferito Katzinski. Dispiace sempre quando muore qualcuno, ma lui era un uomo di mezza età, un calzolaio con famiglia e figli. Però era una morte che mi aspettavo fin dall’inizio, perché si sa, i personaggi svegli, intelligenti, con un sesto senso, insomma, quelli che sembrano troppo per essere reali, finiscono sempre per morire, e non sono mai i protagonisti.
Un’altra cosa che mi ha lasciato un po’ perplessa è che alla fine si dice:
“Egli cadde nell’ottobre 1918, in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: «Niente di nuovo sul fronte Occidentale». Era caduto con la testa in avanti e giaceva sulla terra come se dormisse. Quando lo voltarono si vide che non doveva aver sofferto a lungo: il suo volto aveva un’espressione così serena, quasi che fosse contento di finire così.”
Non ho capito subito che si riferiva a Paolo, anche se adesso in realtà sembra assolutamente ovvio. Mi è dispiaciuto, soprattutto perché era ottobre 1918, e la guerra è finita, ufficialmente, l’11 novembre 1918, quindi circa un mese e forse meno dalla sua morte. Si è fatto tutta la guerra, per poi morire alla fine. L’ho trovata una fine molto tragica e triste, quindi sicuramente un libro molto bello, ma non certo un libro leggero.


Nessun commento:

Posta un commento