venerdì 10 luglio 2020

Horror - Capitolo 6




Buongiorno a tutti!
Oggi grande ritorno dell’Horror sul Blog e, udite udite (o leggete leggete, sarebbe più corretto), non parleremo di Stephen King e non è nemmeno periodo di Halloween!

Il titolo odierno è “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson, di cui già avevamo letto e commentato “Abbiamo sempre vissuto nel castello”, che non era prettamente horror, ma un po’ di inquietudine la trasmetteva. Dunque, dopo aver amato la nostra prima lettura dell’autrice non potevamo che ritornare a leggere qualcosa di suo. Per il mio compleanno, quest’anno, mi hanno regalato anche questo titolo e come potevo io esimermi dalla lettura? È uno dei primi regali ad essere stati letti.
La trama narra di uno scienziato, il professor John Montague, e della sua curiosità per il paranormale, motivo per cui contatta otto persone che in qualche modo sembrano essere collegate ad esso, per avvenimenti noti, ma di cui nel libro non si fa alcun accenno chiaro. A tale richiesta, che consiste nel passare un periodo di tempo tutti insieme ad Hill House, una casa che sembrerebbe essere stregata, rispondono due persone: Eleanor e Theodora. Ad esse si uniscono il professore e Luke, nipote della proprietaria della casa.
Durante il loro soggiorno il lettore assisterà a degli avvenimenti particolari, rumori notturni e, addirittura, allucinazioni tattili. Il loro compito sarebbe quello di registrare gli avvenimenti, scrivendo ciò che avviene di volta in volta, per capire con metodo se tali avvenimenti possono essere considerati paranormali.
Lo stile dell’autrice è molto riconoscibile, infatti mi ha ricordato molto “Abbiamo sempre vissuto nel castello”, non solo per l’atmosfera creata ma anche Eleanor, in questo libro, mi ricorda Merricat, il suo isolamento, il suo sentirsi rifiutata dalla famiglia (nel caso di Eleanor dalla sorella). Le ambientazioni cupe, i pensieri della protagonista che risultano da un lato infantili, dall’altro bizzarri, forse tipici di una persona isolata dal mondo, abituata alla solitudine.
Questo libro rientra nel genere horror, anche se la paura che incute nel lettore è diversa dall’horror a cui siamo abituati oggi: ad esempio rispetto alle opere di King, qui la paura è molto più sottile ma costante. Una sorta di inquietudine che va oltre la semplice sensazione che stia per accadere qualcosa ma non si verifica mai realmente qualcosa di spaventoso e improvviso. Certo, si sente bussare alla porta la notte, la maniglia si muove come se qualcuno cercasse di entrare, ma non c’è nulla di visivo. O meglio non viene presentato nulla come se fosse apertamente paranormale, e proprio questo suo restare sul vago, sul confine tra realtà e paranormale è ciò che lo rende tanto inquietante.
Ho trovato nella sua descrizione della casa e dell’atmosfera una certa somiglianza con il racconto di H. P. Lovecraft “La casa stregata”, più che altro mi ha suscitato le stesse emozioni e lo stesso stato di inquietudine che si prova quando gli avvenimenti sono vaghi quel tanto da disorientare il lettore, che a causa dello stile di scrittura e dell’argomento trattato suscita paura nel lettore.
Un’altra differenza rispetto a Stephen King, che riguarda lo stile, è che Shirley Jackson ingrana pian piano, raccontando poco a poco, e la paura si sviluppa come un crescendo. King invece ti trascina nella storia in modo molto più rapido, più incalzante. E onestamente non saprei dire quale dei due sia più pauroso.
Dopo aver letto il libro, per curiosità, sono andata a vedere la serie TV di Netflix, perché ricordavo di averne sentito parlare quando era uscito. Volevo vedere come il libro venisse trasposto sullo schermo e devo dire che, in realtà, non è una trasposizione della storia ma semplicemente una reinterpretazione, o meglio, hanno tratto ispirazione dal racconto, ne hanno estrapolato la casa e qualche altro piccolo elemento, e hanno poi costruito una trama completamente differente. Hanno richiamato i nomi dei protagonisti (Eleanor, Theodora, Luke , i Dudley) ma è decisamente differente, un’altra storia, più un horror dei nostri tempi, con i jumpscare e i fantasmi, allucinazioni visive eccetera.
Tra i due ho preferito il libro, che ad una fifona come me fa abbastanza paura senza però turbarmi il sonno.
Il finale è a parer mio un finale da horror classico, i vecchi horror di Lovecraft per intenderci, amaro, triste e aperto.
Consigliato dunque ai cuor di leone o a chi come me, ha paura ma è curioso. Promosso a pieni voti.
A presto!
-Pearl

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