venerdì 8 gennaio 2021

Poesia - La divina commedia. Purgatorio.

 

Buon giorno, amici lettori e letterati!
Eccolo, il libro che mi fa impazzire da più di tre mesi.
Eccolo, il poema che mi causa rughe precoci, borse sotto gli occhi e attacchi schizofrenici.

Il “Purgatorio”, di Dante Alighieri. La cantica più sottovalutata, più snobbata e bistrattata. Quella che, per capirci, non se la fila mai nessuno e che, invece, a me tocca sapere a mena dito dall’inizio alla fine, in vista della sessione d’esami invernale.
Come probabilmente già saprete, questo è un anno importante per l’Alighieri e per tutti gli appassionati, commentatori e storici del personaggio; il caposaldo più illustre della nostra letteratura, nonché la vera e propria culla della nostra lingua.
Si, perché quest’anno ricorre il settecentesimo anno dalla morte del grande poeta fiorentino; fiorentino per nascita e ravennate per morte, se così possiamo dire, dal momento che dopo l’esilio non riuscì mai a tornare in terra natia e pur anelando la cosa con tutto sé stesso, morì invece su suolo straniero a Ravenna, dove i suoi resti tutt’ora riposano.
Ai miei occhi, Dante Alighieri appare un personaggio controverso. Né totalmente buono, né totalmente cattivo. Non da idealizzare, non da condannare senza processo.
Proprio come la sua cantica “mezzana”, proprio come il “Purgatorio”, L’Alighieri si barcamena tra bene e male; ossequiosità, rispettosa fascinazione dell’universo, consapevolezza dei propri limiti terreni, rara sensibilità da un lato e subdolo ingegno, stoccate pungenti, arguzia sottile e pura vanità dall’altro.
Alighieri è un arrogante, borioso e superbo, ma allo stesso tempo e l’umiltà fatta persona. Il genio che si finge piccolo per dimostrare ancora di più la sua grandezza poetica. E tuttavia si abbandona sinceramente alla bellezza del creato, alla concezione cristiana del mondo, cui credeva con tutto sé stesso, esattamente come un perfetto uomo del suo tempo.
Dante Alighieri è tutto questo e molto altro. Le sfaccettature sono tante e diversissime, non sarei in grado di spiegarle tutte, come di certo tantissimi commentatori e studiosi saprebbero fare ben meglio della sottoscritta.
Primo fra tutti, consiglio Alessandro Barbero, il quale tra Dante Alighieri ed altre meravigliose pillole storiche che si possono facilmente reperire in rete, potrebbe considerarsi tranquillamente superiore alla famiglia Angela per capacità di spiegazione e conoscenza storica.
Si, il “Purgatorio” non affascina certo come le altre due cantiche, esattamente come potrebbe affascinare di meno un’incerta presa di posizione rispetto a chi, invece, è più sicuro di sé.
“Né carne né pesce”, sembra gridare il poema dal giardino dell’Eden. Niente di più falso.
Qui, Dante, ripone molto di sé e molto della sua formazione poetica, cosa che non ci è sempre arrivata come ben chiara, ma che sicuramente, stando al “Purgatorio”, si è basata totalmente sui classici greci e latini. Con essi, Dante ha un rapporto molto contrastante: da un lato il rispetto per i maestri pagani, dall’altro la superbia nel considerarsi non solo erede di quella creatività, ma di essere anche migliore di loro, avendo conosciuto la fede cristiana.
Inutile dire come la poesia di Dante, nella sua opera più completa e importante quale la “Divina commedia”, sia ricca di significati sottesi, ragionamenti teologici, morali, filosofici. Inutile dirvi la ricchezza del linguaggio vivido e sanguigno, dell’estetica delle espressioni in volgare, quest’ultimo nobilitato dalla penna dell’autore con un ingegno di cui, in settecento anni, ancora si parla.
Qualsiasi italiano sa, anche solo per sentito dire, anche solo per aver copiato dal compagno di banco nella verifica di terza superiore, che la grandezza del fiorentino si sarebbe srotolata nei secoli a venire e che continuerà a farlo in futuro.
Tuttavia vi posso dire che esiste anche una gioia nascosta nel riscoprirlo nuovamente, ancora ed ancora, andando, ogni volta, sempre più in profondità e sempre a conquistare nuove vette, come la cima del monte del purgatorio.
Si, perché è certo che ogni volta che si legge Dante, si scopre qualcosa di nuovo, che prima non avevamo considerato.
Dante è furbo, rimette tutto nelle mani del suo Dio. Si fa, appunto, piccolo piccolo. Eppure è lui che scrive. È lui che condanna i dannati e salva i salvati. Il suo viaggio ultraterreno sembra quasi fornire una presentazione del poeta , uno sbandieramento della sua visione del mondo, che però rimette nelle mani di figure più autorevoli di lui, come Virgilio, Beatrice e Dio stesso.
Divertente, disgraziato, farabutto e delicato. Era del segno dei gemelli, dopotutto.
Questo e molto altro vi consiglio, di Dante Alighieri. Anche il “Purgatorio”. Anche e soprattutto. E non una sola volta, ma tutte quelle che potete.
Buone letture, amici.
-Liù

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