sabato 27 febbraio 2016

Letteratura italiana - Capitolo 1


“Educazione siberiana” è un libro pubblicato per la prima volta nel 2009, ad opera dello scrittore russo Nicolai Lilin. Sembrerebbe essere, e viene descritto come, autobiografico, anche se ci sono dubbi sulla realtà dei fatti raccontati secondo una giornalista russa. Da questo romanzo è stato poi tratto un film con il medesimo titolo, uscito nel 2013.
Questo libro narra di
un gruppo, anche se chiamarlo gruppo potrebbe sembrare riduttivo per i protagonisti, di criminali siberiani che portano avanti le loro tradizioni ed i loro “lavori”. In particolare il protagonista sarebbe proprio questo Nicolai “Kolima” che parla in prima persona spiegando i vari avvenimenti che si trova ad affrontare, credo, tra gli anni ’80 e ’90. Dico “credo” perché in realtà non ci sono dei precisi riferimenti temporali,  ma solo accenni relativi agli anni precedenti in riferimento ad altri personaggi descritti dallo stesso protagonista.
Non so dire, e questo mi confonde molto, se mi è piaciuto o meno, perché ci sono degli aspetti che mi hanno irritato e delle cose invece che ho trovato interessanti e particolarmente stimolanti per la riflessione. Partirei dunque dicendo cosa NON mi è piaciuto di questo romanzo.
Come prima cosa la modalità utilizzata dallo scrittore per la narrazione, in quanto a me ha causato non poca confusione nonché irritazione: senza chiaramente voler offendere nessuno, la descrizione che riesco a fare di questo stile, se così lo si può chiamare, è quello di un logorroico sotto forti dosi di caffeina. Questo perché il racconto di un evento o di un fatto, ma anche le descrizioni stesse dei personaggi, vengono continuamente interrotte per infilarci racconti o descrizioni improvvisate di qualcosa che è appena stata citata. Per chiarirci le idee, io ho un cugino di 7 anni che, quando mi racconta le sue avventure, continua ad interrompere il racconto per specificare di quale amico sta parlando, dove l’ha incontrato, cosa fanno insieme, oppure si ricorda che doveva prima precisare qualcosa perché il suo racconto avesse senso, e quindi si dilunga in racconti più o meno infiniti, in cui risulta difficile trovare un filo logico. Ecco, la sensazione che questo libro mi ha dato è la stessa.
Inoltre lui è uno scrittore russo, ma il romanzo è stato scritto direttamente in italiano, quindi è normale che possa aver commesso degli errori grammaticali, ma la casa editrice non li ha corretti. 
Un altro aspetto irritante per me, è stato l’inizio in cui la famiglia criminale viene descritta come una specie di mafia, fatta di rituali, i poliziotti vengono chiamati “infami”, i giovani che vogliono cambiare le regole sono visti come negativi e la perdita di regole corrisponde alla perdita dell’identità: se vieni espulso dalla famiglia non sei più nessuno, non puoi essere avvicinato e nemmeno toccato, nessuno può più parlarti. Ci sono molte strane formule di comunicazione da rispettare, cose che non vengono e non devono essere dette ma che tutti sanno.
Ciò che ho trovato positivo, dopo il momento iniziale di irritazione è stato proprio il racconto dall’interno, dal punto di vista di qualcuno che in queste cose ci crede veramente, che le ha vissute ed è cresciuto così.  Questo fa pensare e riflettere su come la vita e i punti di vista possano cambiare a seconda della cultura che ci viene trasmessa. Quello che per lui era assolutamente normale e giusto sarebbe per il lettore quantomeno opinabile. Riguardo a ciò si può notare il contrasto tra bene e male e su come questi siano due poli che è possibile riscontrare in tutte le persone contemporaneamente (es. Lo zio è in galera, ma lui può usare la sua casa per fare una festa, basta che dia da mangiare ai gatti e da bere ai fiori).
Per quanto poi la famiglia possa essere legata al crimine e trasmettere convinzioni che personalmente non condivido, ci sono però anche delle visioni interessanti soprattutto rispetto alla religione, al rispetto degli altri, alla disabilità e alla malattia mentale: “Sono cresciuto con i malati mentali e ho imparato da loro molte cose, così sono arrivato alla conclusione che hanno dentro una purezza naturale, qualcosa che non si può sentire se non si è liberati completamente dal peso terrestre.”
Nel complesso è un libro che può offrire parecchi spunti di riflessione su di sé e sugli altri, e magari su come noi a volte ci rapportiamo agli altri senza riuscire a vedere il loro punto di vista e anzi, focalizzandoci troppo su ciò che noi pensiamo sia giusto. Ma ciò che noi reputiamo giusto è anche frutto della cultura da cui proveniamo, e questo  necessario tenerlo sempre a mente.
Sottolineo ancora una volta che questa è solo un’opinione personale e anzi, se qualcuno ha visto altro in questo romanzo, o se c’è un motivo o una ragione per cui il libro è stato scritto in questo modo ed io non l’ho capito o intuito, scrivete o fatemi avere il vostro punto di vista.

-Pearl

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