sabato 10 giugno 2017

Romanzo rosa - Capitolo 4


Buona sera bella gente!
Prima o poi doveva tornare. Diana Gabaldon non si esclude! Lei è l’anima della festa! Una festa un po’ osé e con svariati addobbi trash, ma pur sempre una festa, quindi riempite i calici di buon vino e partiamo subito!
“Tamburi d’autunno” e “’Passione oltre il tempo” costituiscono il quarto capitolo della saga “La straniera”, che vede

come protagonista Claire Randall, i suoi viaggi nel tempo e il suo amore incondizionato e illimitato per l’highlander James Fraser.
Breve riassunto della storia fin dove siamo arrivati con le recensioni: dal primo dopo guerra Claire viene catapultata nel ‘700 scozzese, incontra Jamie, si sposano e si innamorano, rivolta giacobita, Claire incinta torna nel futuro, passano vent’anni e si scopre che Jamie è sopravvissuto alla rivolta, ritorno nel passato, incontro delle due anime perdute, salpiamo tutti per le Americhe.
Perché fare un riassunto dei primi volumi? Perché da questo momento in poi, salvo qualche rarità, sarà un unico piattume deforme e i primi libri ci mancheranno tantissimo! Con tutto che “Tamburi d’autunno” prometteva bene, aprendosi con una prefazione molto carina e scritta abbastanza bene sui fantasmi, sui propri avi e in un certo senso su ciò che ci hanno lasciato in eredità… Anche se non si capisce chi stia parlando e non si capirà mai. A dire il vero non si capisce neanche se sia davvero la stessa storia su Jamie e Claire, o se invece la Gabaldon abbia sbagliato a battere a macchina e abbia infilato questo foglio nel plico sbagliato, ma a quanto pare tutto fa brodo e si va avanti.
Claire, Jamie, il suo ex compagno di cella Duncan, il giovane Ian, Fergus e moglie al seguito sono giunti nelle colonie, del tutto intenzionati a rifarsi una vita. Ian, provato dall’esperienza di sfruttamento sessuale da poco subita, comincia già da subito a rimettersi in sesto vincendo a carte un canide spelacchiato il quale darà inizio a una piccola discussione fra chi sostiene che è un cane e chi lo riconosce come un lupo.

Non è cane, non è lupo…
Su la zampa per Balto! Balto uno di noi!

Questa è stata la mia ovvia associazione mentale. In realtà poi si deciderà che Rollo è un lupo a tutti gli effetti e sarà anche uno dei personaggi più simpatici del libro.
Il gruppetto continua a frammentarsi, riunirsi, poi a dividersi nuovamente. Non chiedetemi dove, come e quando perché questa parte è noiosissima, i libri sono tanti, i personaggi pure ed è un casino ricordarsi. Fatto sta che entra sulla scena il secondo cattivo davvero cattivo della saga e tu ti chiedi da dove la scrittrice le tiri fuori  certe idee per gli antagonisti. In fatto di brutte persone depravate, Diana Gabaldon sa il fatto suo, non c’è che dire ed eccoci presentato Stephen Bonnet. L’affascinante e irrecuperabile delinquente che ruberà gli averi di Jamie e Claire, nonché la fede del primo matrimonio di lei (questo è importante, ricordiamocelo). Stephen Bonnet è ben scritto e ha una personalità abbastanza complessa. Soprattutto si apprezza il fatto che non ci sia, per lui, speranza di redenzione. È descritto come un uomo molto affascinante, che emana mistero da tutti i pori, ma che ha tutta l’aria di restare (e ci resterà) un personaggio profondamente e schifosamente negativo: appunto, depravato. Nonostante questo, però, la nota dolente arriva: Bonnet viene subito associato al termine “magnetismo animale” e al lettore cadono le braccia in due secondi netti. Siamo solo a pagina 48: teniamo duro! Certo che tenere duro risulta molto difficile andando avanti, visto che questa storia ha l’amara abitudine di descrivere certi frammenti degli episodi erotici in un modo che neanche la Wertmuller ai tempi d’oro avrebbe usato. Non vi svelerò per cosa viene usato il termine “spada”: divertitevi a scoprirlo! Fatto sta che subito dopo “la spada”, appena tre righe più sotto, ecco invece apparire quella frase armoniosa, poetica, per nulla volgare che descrive lo stesso identico momento. Dico, ma se sai scrivere bene, perché non lo fai sempre? Bah, i misteri del settecento gabaldiano.
Con pochi soldi e poche speranze, arriviamo a casa di zia Jocasta, la zia di Jamie, nonché sorella dei compianti Colum e Dougal MacKenzie. La cieca zia Jocasta è uno dei personaggi più odiosi che si siano mai visti. Falsa, scaltra, più macchiavellica e manipolatrice dei suoi fratelli e man mano si andrà avanti, man mano la cara zietta peggiorerà. Tuttavia è un personaggio voluto esattamente così, quindi resta un punto a favore. Si voleva che fosse detestabile e così è stato. Riconfermo: coi personaggi negativi la Gabaldon se la cava benissimo. Si consideri anche il fatto che Jocasta non svela subito tutte le sue carte, ma si rivela pian piano, libro su libro, mezzuccio dopo mezzuccio.
Resta il fatto che, mi costa dirlo e mi è sempre costato dirlo, la psicologia dei personaggi di questa saga è sempre apprezzabile. Sono umani, realistici e quindi fortemente credibili. Se Claire è un medico, lo è sempre, in tutti i suoi gesti quotidiani e se Jamie è un leader lo è giorno per giorno. C’è un legame molto stretto tra ciò che viene descritto delle loro personalità e ciò che effettivamente fanno, il modo in cui si comportano; c’è una spiegazione logica, ben studiata e mai campata in aria che ti fa pensare: “Ok, questo libro non è solo aria fritta, ma c’è qualcosa di più”. Per questo motivo mi stupisco sempre quando, durante le numerose descrizioni, saltano fuori espressioni brutte e in qualche modo stonate.

…e mi rivolse un’occhiataccia tipo: <<Adesso sarai soddisfatta>>…

…con le scarpe che facevano cic ciac…

Solo a me suonano male? D’accordo che non dovrei pretendere tanto, ma da uno scrittore che è in grado di scrivere questo:

<<È stata colpa mia>>, riprese, raddrizzando nobilmente le spalle per incassare meglio i rimproveri.

Non è niente di che, è una frase carina e basta, ma tra questa e quelle di prima ci passa un oceano e io qualcosa in più me l’aspetto.
Ad ogni modo, dopo il breve (si fa per dire) spazio dedicato a Jocasta Cameron, Jamie e Claire si rimettono in marcia. Troveranno un grande appezzamento di terra vicino alle montagne, isolato e tranquillo, dove decideranno di costruire la loro casa e di creare un nuovo insediamento di coloni, la maggior parte dei quali “reclutati” tra le vecchie conoscenze carcerarie di Jamie: Fraser’s Ridge comincia a vedere la luce. Ovviamente, non prima di aver fatto amicizia con le vicine tribù indiane e aver lottato a mani nude con un orso bruno. Jamie ha la meglio e l’orso viene ucciso. Molto realistico, vero? Si, lo penso anch’io. Andiamo avanti, che è meglio… Beh, in realtà non so quanto meglio: “Passione oltre il tempo” dimostra gran parte dell’imbecillità di Brianna Randall, la figlia di Claire e Jamie. La ragazza, rimasta nei sicuri anni ’70 con il suo amato Roger, riesuma un articolo di giornale storico, in cui viene detto che i suoi genitori sono periti in un incendio scoppiato nella loro casa a Fraser’s Ridge. Cosa fa l’intelligentona? Esatto: attraversa le pietre per avvisarli, con l’intenzione poi, una volta scampato il pericolo, di tornare nel futuro. C’era da aspettarselo, le cose non andassero esattamente secondo i piani, dal momento che Roger la segue, la trova, passano una notte d’amore in qualche posto lercio – non scherzo, ma in realtà questa parte è scritta bene, senza “spade” vaganti – e si dividono nuovamente. Peccato che poi, quando si dividono, Brianna si scontra con Stephen Bonnet e vedendo che l’uomo ha con sé la fede di sua madre, decide di affrontarlo da sola per recuperare il prezioso tesoro. No Brianna, tranquilla, non ti stuprerà mai. E infatti proprio quello succede, col risultato che Bree rimane incinta e non solo dovrà aspettare per tornare nel futuro, ma nemmeno sarà sicura della paternità del figlio. Questi episodi da telenovela brasiliana potevano risparmiarceli. Ho apprezzato un po’ di più gli equivoci ruotanti attorno alla figura di Roger, che lo portano a diventare un prigioniero degli indiani e che verrà salvato solo dal sacrificio di Ian, deciso a restare nella tribù al posto suo, diventandone un membro a tutti gli effetti.
Nonostante i vari momenti tamarri, l’incontro tra Brianna e suo padre è strano, buffo e imbarazzante, ma a suo modo tenero e quindi si apprezza, come si apprezzano le apparizioni saltuarie di Lord John Grey e le varie minuzie storiche a cui la Gabaldon è sempre molto devota, come per esempio l’adunanza: la grande festa che riunisce gli scozzesi emigrati in America e che ogni volta conferma conoscenze, accetta socialmente i clan, permette accordi economici e riconsolida una cultura. Ed è proprio qui che la storia si interrompe.
Il quarto volume della saga è stato il più lento, il più noioso, il più assurdo in senso negativo e sto ancora cercando di capire come io abbia fatto ad andare avanti a leggere. Probabilmente devo ringraziare il giovane Ian, John Grey e Fergus. In ogni caso sappiatelo: continuerò le recensioni sulla Gabaldon, ormai è una di famiglia, la zia un po’ stravagante e un po’ attempata! Non posso tagliarla fuori!
Nel frattempo vi auguro una buona notte e un buon weekend!
Alla prossima, lettori!


-Liù

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