mercoledì 23 gennaio 2019

Mai giudicare un libro dal suo film... e viceversa! - Cloud Atlas



ATTENZIONE!
Avvisiamo i nostri gentili lettori che questa rubrica conterrà spoiler sia sui libri che sui film che verranno trattati. Inoltre ci teniamo a sottolineare che non è una battaglia in cui uno dei due mezzi comunicativi vince sull’altro, ma è un confronto degli aspetti positivi e negativi di ciascuno per cercare di capire se l’adattamento cinematografico ha trasmesso l’idea originaria dell’autore o se invece se ne è discostato per raccontare qualcosa d’altro. Non parliamo di meglio o peggio ma di un confronto alla pari tra due canali comunicativi differenti.ù

Buon giorno a tutti, cari lettori!
Di recente, su questo blog, avete sentino nominare il titolo “Cloud atlas un po’ troppe volte. Tutto, devo ammetterlo, per colpa mia. Me ne assumo orgogliosamente la responsabilità, ci tengo a precisarlo. Il capolavoro di David Mitchell lo trovo perfetto per il periodo.
Che ci posso fare? Quando si parla di “buoni propositi” mi viene in mente questo romanzo che, tra tutti quelli che ho letto, maggiormente si sofferma sulla fratellanza del genere umano e sull’idea che ogni singola persona possa fare molto, per il pianeta. “Cloud Atlas”, appunto.
Nella storia di Mitchell si sente moltissimo questa connessione e questo senso di appartenenza verso qualcosa di più grande, che rendono ogni personaggio molto più sentito e molto più vicino al lettore, anche nei casi in cui, con il protagonista del momento, non si ha proprio nulla a che fare. Si, perché “Cloud Atlas” possiede niente meno che sei protagonisti. Sei storie diverse, sei epoche storiche e sei registri narrativi differenti. Avete l’imbarazzo della scelta! Anche se devo dire che poco importa quali gusti avete, perché ognuna delle sei storie vi piacerà, fidatevi. Chi più chi meno, ma vi piaceranno tutte. Sono ancora dell’idea che questo scrittore sia affetto da personalità multipla. Oppure che sappia fare magistralmente il suo lavoro. Dev’essere per forza una fra queste due motivazioni. Se poi il risultato è un romanzo come questo, mi va bene in entrambi i casi.



Avendo già recensito il libro, non mi soffermerò sulla trama e darò per scontato che sappiate già di cosa sto parlando, o che almeno ve ne siate fatti un’idea. Quindi bando alle ciance e cominciamo il nostro confronto-non-confronto con il corrispettivo filmico, prodotto dalle ingegnose e assolutamente non convenzionali menti creative di Tom Tykwer e dei fratelli Wachowski, dei quali plaudo con gioia anche la mia adorata serie tv “Sense8”.
I fratelli Wachowski ce l’hanno proprio con la connessione tra esseri umani apparentemente distanti tra loro, basta che guardiate la sopracitata e ormai famosissima produzione di Netflix per rendervene conto. Eppure io non conoscevo nulla di loro, del loro stile o delle loro tematiche preferite, prima di “Cloud atlas” e ad essere onesta è stato un film che, pur avendo avuto la possibilità di vedere al cinema, non ho minimamente saputo apprezzare. Gran parte della responsabilità, su questo, la attribuisco di certo al fatto che ho visto il film quando ancora neanche sapevo esistesse un libro al quale si dovesse fare riferimento. Il che è importante essenzialmente per una ragione. No, non è quella di considerare il libro sempre meglio del film, sapete che non la pensiamo in questo modo su questo blog. No, la vera ragione è essenzialmente questa: sei storie in una. Sei. Se la cosa è stata difficile per David Mitchell con il libro, il quale poteva contenere quante pagine lo scrittore avrebbe reputato necessarie senza nessun limite, non oso immaginare come possa essere stato adattare questa storia al cinema.
Non l’ho mai considerato un film di cattivo gusto. Al contrario, ho sempre guardato con un pizzico di invidia l’abilità tecnica della regia e la scelta assai arguta dei membri del cast e di far loro interpretare personaggi diversi. Susan Sarandon, Tom Hanks, Bae Doona (la quale rivedremo poi nei panni di Sun, in “Sense8”), Halle Barry e Ben Whishaw, che da quando ha interpretato Keats in “Bright stars” è diventato “IlmioadoratoBenWishaw”. Insomma, un buffet di attori di tutto rispetto, che appena uscita dal cinema, nella mia delusione post-film, avevo assai criticato per le aspettative disattese. Con Tom Hanks devo proprio ammettere che non ce l’ho fatta, non lo sopportavo più, poveretto.
Eppure non ho giudicato male la parte estetica del film. Concentriamoci, ad esempio, sulla a dir poco epica sequenza di scene in cui vediamo contemporaneamente consumarsi un rapporto tra Hae-Joo e Sonmi, una  distruzione in massa di porcellane per mano di Frobisher e Sixsmith, la vista di un panorama montuoso post-apocalittico all’imbrunire e il monologo fuori campo che ci racconta di quanto siano labili i nostri confini. Molto poetico e con una cadenza di immagini, parole e musiche davvero ben orchestrata. No, non è stato per questioni estetiche se ho disdegnato questa produzione. Semplicemente, non capivo il messaggio. Senza il supporto narrativo, non mi era proprio arrivato. Per questo motivo, ancora oggi, penso si possa considerare un film che per quanto apprezzi, è da ritenere come un’aggiunta al libro e non un sostituto. E sono convinta che, nonostante questo, non si potesse fare meglio di quanto Tykwer e i Wachowski abbiano fatto.
Dopo aver letto il libro ho apprezzato molto di più il film, su questo non v’è alcun dubbio e tante delle scene o dei momenti della storia che, in un primo momento, mi erano sembrati nebulosi e poco chiari, sono diventati trasparenti. Mi riferisco, soprattutto, alla parte della storia ambientata nella Corea futurista. La sezione del libro più lunga e quella che in fin dei conti ritroviamo un po’ come la parte che da un vero, grande ed epico senso a tutto il resto. Ecco, questa parte, nel film, è purtroppo stata “vivisezionata” e modificata in modo da tradirne un po’ l’essenza. Probabilmente è stato necessario fare ciò per esigenze di copione. Ciononostante, una volta letto il libro, è stato comunque difficile da accettare il cambiamento su pellicola. È stato necessario per il film? Altamente probabile. Ci dispiace comunque? Assolutamente si.
Per questo il mio giudizio concreto, alla fin delle finite, è questo: consiglio moltissimo la lettura del libro e non di meno la visione del film. Consiglio altresì di leggere il libro e soltanto in un secondo momento di godersi il film. Sono fermamente convinta che lo apprezzerete di più. Ed essenzialmente vi do questi consigli spassionati in merito a “Cloud atlas”, perché “Cloud atlas” è senza dubbio da considerarsi come una delle storie più belle del nostro tempo, avanti anni luce sul senso dell’umanità e sulla necessità che essa abbia una morale capace di guardare al di la del proprio orticello, ma in virtù di un benessere comune, di un obbiettivo più ampio che coinvolga l’umanità stessa nella sua interezza. I Wachowski non potevano scegliere uno scrittore a loro più affine di Mtichell. Due mondi molto simili, novità assolute, freschi e comunque attuali. Che, insomma, “stanno sul pezzo”.
Ho proprio sentito questo romanzo come necessario e sono ancora convinta della cosa, penso che ne sarò sempre convinta, ancor di più pensando al film.
Non vi resta che leggerlo, guardarlo e se vi va, dirmi cosa ne pensate.
Per ora ci salutiamo qui, io vi auguro buona lettura e buona visione!

-Liù

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